Berto si
guarda intorno, grattandosi un sopracciglio. C'è qualcosa che non va, questa mattina, lo
sente fin nelle ossa, da quando si è svegliato. Sarà il freddo che ha preso il posto del
caldo tepore delle coperte, sarà il mal di testa per le consuete cinque birre che beve
prima di coricarsi, sarà per la vescica che si sta lamentando vistosamente, non sa.
Eppure ha la certezza che le cose non vanno per il verso giusto. No no.
Ha nevicato, quello lo può vedere chiaramente. A meno che tutto quel bianco non sia
dovuto a una spolverata di zucchero sul terreno da parte degli angeli. Che abbiano voglia
di qualcosa di dolce? No, c'è qualcos'altro che non quadra. Guarda con più attenzione
fuori dalla finestra, ma, a parte il candido manto, non vede nient'altro. E allora? Cos'è
che lo tormenta? Cosa dovrebbe vedere, poi, di così importante?
Si rimette a posto le mutande, infilatesi come sempre tra le flaccide chiappe, sbadiglia
il più rumorosamente possibile, si mette la vecchia vestaglia rattoppata, si infila le
pantofole al contrario, fa gli scongiuri, poi le mette nel verso giusto. Guarda l'ora:
diciassette minuti dopo le nove. Berto si dà una toccatina laggiù dove non batte il
sole. Essere scaramantici non fa mai male.
Esce dalla camera, già stanco per la giornata che dovrà affrontare. E subito il gatto
inizia a rompere, mettendo in atto una ruffianissima camminata tra le gambe. Miagola
teneramente, perché ha voglia di coccole, questa mattina. Brutta bestiaccia! Gli va male,
perché invece Berto ha voglia di caffè, di un caffè nero e bello forte, di un caffè
con cui scottarsi la lingua. E magari anche di una bella bionda. In carne e ossa, però.
Molta carne. Non quella rinchiusa in una fredda bottiglia di vetro. Ma quando si ricorda
che l'unica donna della sua vita ha preferito fare una passeggiata sulle rotaie in
compagnia del treno delle 17.17, piuttosto che passare il resto della sua vita con lui,
dà un calcio all'animale, quasi fosse tutta colpa del piccolo batuffolo di pelo nero. Poi
si strizza l'amico in mezzo alle gambe, ripensando a quell'orario fatale. La sfiga sembra
essere sempre dietro l'angolo, quella vigliacca!
Berto va quindi in bagno, tira un sospiro di sollievo mentre libera il suo corpo dai
residui dell'alcool, oramai suo unico ascoltatore nelle lunghe conversazioni solitarie
delle sera. Come gli succede da un po' di tempo a questa parte, tiene conto del tempo nel
quale si intrattiene a filosofare con il water: diciassette secondi, inserendoci anche gli
istanti per le ultime gocce. Merda. Prima di tirarsi su le mutande, cerca di scacciare gli
eventi nefasti toccandosi per un istante ancora lì dove non dovrebbe. Poi lascia la
tavoletta alzata, tanto non ha nessuno con cui litigare a proposito di questo argomento. A
malincuore, ma almeno un vantaggio dell'essere soli l'ha avuto.
Anche dal bagno guarda, attraverso il vetro crepato della finestra, il paesaggio innevato.
Sembra tutto a posto, ma qualcosa gli sfugge. Là c'è la casa dove abitavano i
Buonfalpan, poco dopo c'è quella del vecchio rompipalle di Alessandro, mentre lì di
fianco c'è la pizzeria d'asporto di Amedeo. I campi, i fossi, le strade, perfino il
cartello stradale che lui stesso ha incrinato sbattendoci contro con la macchina, sono
lì, al loro posto. Tutto regolare, quindi. Che c'è, allora?
Mah...
Berto lascia il bagno perplesso, ed entra in cucina, mentre la sensazione di smarrimento
continua a ronzargli attorno. Un po' come il gatto, che pare non abbia capito che questa
non è la giornata giusta per le fusa. Berto sbuffa, gli sbraita contro qualcosa di
incomprensibile, lo prende, gli sfugge, gli pesta la coda - forse non proprio per sbaglio
-, gli bestemmia dietro quando gli attraversa la strada, lo riprende ringhiando, apre la
porta e lo getta giù dalla terrazza. Tiè, schifoso animale.
A sentir i miagolii non troppo tranquilli dell'odiato gatto, però, uno strano pensiero
gli bussa alla porta del cervello. Che gli è successo, a quello spelacchiato mangiatopi?
Non può essersi fatto male cadendo. I gatti non si fanno male, cadendo. Berto
guarda giù, a metà tra il preoccupato, ma senza darlo tanto a vedere, e il curioso, che
gli riesce decisamente meglio. Cerca il gatto, cerca e cerca, ma non vede niente. Solo il
bianco della neve.
Fa un freddo boia. Brrr. Che fare? Il caffè o il gatto? Caffè o gatto? Quest'ultimo
riprende a fare casino, poi i suoi versi spariscono improvvisamente.
Oh, che palle!
Berto scende così dalle scale, parecchio controvoglia, facendo attenzione. È in
pantofole, cavolo, mica vuole rischiare di passare il resto delle ferie natalizie
all'ospedale. Si tiene stretto al corrimano, ma è così freddo, porca vacca! Toglie la
mano gelata e... beh, scivola. Dopo diciassette scalini, si ritrova lungo disteso a terra,
con un labbro spaccato giusto a metà ed entrambi gli zigomi spellati. Avrà più o meno
tutte le ossa rotta, ma non ha il tempo per provare dolore, perché ha la mente occupata.
E non è per rimproverarsi di non aver scacciato la perfida sfiga, no!
Chissà se è stato grazie alla botta, o se ha avuto solamente un cosiddetto colpo di
genio, ma finalmente ha capito cosa non va, questa mattina.
È un peccato che quasi non si renda conto che la neve non è la stessa del solito. Quasi
non si accorge che quella stessa neve, a poco a poco, se lo sta divorando, così come ha
fatto con tutti gli esseri viventi sui quali si è posata durante la notte, lasciando
solamente un desolato paesaggio bianco e spoglio. Non sente che, mentre sorride come un
ebete, il suo corpo infreddolito si fonde, si scioglie e diventa parte di qualcos'altro.
Proprio quel qualcos'altro a cui sta cercando di dare una spiegazione da quando si
è svegliato. Niente sangue, niente squarci, niente ferite. Solo Berto che, un po' alla
volta, inizia a far parte di quell'innocente neve bianca come la farina. Fortuna che non
fa male. O forse è per via del corpo malconcio che non sente quello che dovrebbe sentire.
Povero Berto. Non pensa - quel bacucco! - che la neve gli sta portando via tutto quello
che gli è rimasto. Lui stesso. Altro che la sfiga.
Ma è così che, mentre di Berto non restano che le pantofole e la vestaglia, echeggiano
nell'aria le sue ultime buffe parole: "Ma dove sono finiti tutti gli alberi?"