Abel si
sedette sulla tazza del bagno per farsi una ricca e sonora cacata, incurante del telefono
che strillava per tutta casa. Una pisciata si poteva anche trattenere, ma il bisogno
grosso era un altro paio di maniche. E il bisogno di Abel era davvero grosso, quasi quanto
lui stesso. Negli ultimi anni il suo volume era cresciuto a dismisura. Alle volte, quando,
come ora, si trovava sulla tazza del cesso, pensava seriamente che avrebbe dovuto farla
fare più grande, più larga. Poi se ne dimenticava, almeno fino a quando non scopriva di
essersi allargato un altro po.
Abel andava al bagno piuttosto regolarmente. Alle volte, però, doveva restarci per un
tempo indefinito prima di portare a casa qualche risultato. Quella fu una di quelle volte.
Abel conosceva il trucco: non bisognava concentrarsi troppo sul problema. Molto spesso
bastava guardare attraverso il problema per risolvere la situazione. Stavolta
però la stanchezza ed il grasso erano forse troppi per prenderla con filosofia: non
riusciva a far finta di nulla.
Aveva un senso di pesantezza interiore, una brutta
sensazione, come quasi di pericolo. Ma quale pericolo! Si trovava in casa sua, da
solo (come accadeva troppo spesso, ormai), nellattesa di liberare i suoi intestini:
lunico pericolo serio era alzarsi da lì, più che ad intestino vuoto, a mani
vuote. Pericolo! Ah, bella questa!
Lartiglio gli agganciò i testicoli. Prima del dolore, arrivò la sorpresa. Poi, una
prima lacerazione. Abel stava per essere risucchiato dentro. Urlò. Ma, oltre al
telefono che quasi comicamente gli rispose, non ottenne consensi da niente e da nessuno. E
lartiglio continuava a tirare. Seconda lacerazione. La mente di Abel
cominciava a scollegarsi, la tazza del bagno a scricchiolare sotto il suo peso e la sua
mole. Poi, fu tutto insieme. Abel sgranò gli occhi, la tazza si ruppe in mille pezzi e
lui, mentre il suo cervello si oscurava, fu tirato, piangente ed urlante, verso
limmane abisso che si era aperto sotto il suo culo.