A metà del
sentiero invaso dalle erbacce, lungo il fianco della collina, ti fermi per respirare, col
fiatone a ricordarti che non sei più un bambino. Uno sguardo alle spalle rivela il paese
che si stiracchia nellaria fresca del mattino dautunno, domenica pigra e
indolente. Hai speso linfanzia tra quelle case, ma adesso ti sembra di guardare un
volto di estraneo. È una brutta sensazione, ma dura poco. Scuoti le spalle e riprendi il
cammino: non hai fatto tanta strada solo per piangere sul passato.
Più in alto, ancora avvolta da arbusti e vegetazione incolta, puoi scorgere la meta. La
cima brulla del colle, lunica cosa che spunta dalla matassa di rami: ai suoi piedi,
nascosto, cè il posto in cui passasti un brutto momento, molti anni fa, assieme al
tuo amico Paolo. Lunica preoccupazione, adesso, è che sia rimasto invariato. Lassù
ti sei lasciato indietro un conto in sospeso e non è tua abitudine. Meglio saldare tutti
i debiti, questa è la tua filosofia.
Superi il primo strato di cespugli, quasi un cunicolo nellintrico di spine. Non sei
più quel bambino striminzito, i rovi ti si aggrappano alle maniche e ai pantaloni, devi
camminare curvo come una scimmia. E dire che una volta, voi due, eravate passati di lì
come se niente fosse. Proprio quel giorno destate, cercando nuovi posti da
esplorare. Alla fine eravate fuggiti a gambe levate, spaventati a morte da chissà cosa.
Sorridi al ricordo, gli scarponi che cigolano nel fango. Ma cosa cera, poi, di tanto
terribile? È questo che ti piacerebbe scoprire, ora. Tu non vedesti nulla: fu Paolo,
forse, ma non te lo volle mai raccontare.
Ti senti stupido, pensando alla strada che hai fatto. Una bella scorpacciata di chilometri
e solo per ritrovare la fantasia che, quasi trentanni fa, ha terrorizzato due
bambini fantasiosi. Eppure lhai fatto. Sei tornato al tuo paese natale e adesso ti
arrampichi sulla collina, in mezzo alle erbacce e ai cespugli, per un motivo tanto folle.
E magari è cambiato tutto, hanno spianato la zona per costruirci un paio di villette.
Poco probabile, ti ripeti: è troppo fuori mano, non ci sono vie asfaltate in modo
decente. Eppure, il dubbio rimane.
Ogni riflessione svanisce, quando superi lultimo dosso, sbucando in una spianata
priva di alberi. Ti blocchi, quasi non credi ai tuoi occhi. È proprio come lo ricordavi,
come lo avevi visto con Paolo, quando avevate undici o dodici anni. Ti sfugge un sospiro
di sollievo.
Un piccolo altopiano, verde derba. A sinistra ecco la cima della collina, brulla e
sassosa, che si alza come un picco bizzarro; a destra il terreno scende di nuovo, in un
groviglio confuso di vegetazione spontanea. Ma è al centro ciò che ti interessa: al
centro, dove gli arbusti circondano due stagni. Ti erano sembrati strani anche da piccolo,
per la forma rettangolare e la simmetria nelle posizioni. Uno accanto allaltro, con
una striscia di terra a separarli: li avresti definiti due piccoli bacini artificiali, ma
lacqua era troppo fangosa e le sponde troppo incolte.
Anche questo vi aveva messi a disagio. Il silenzio, che ancora regna, e laspetto
insolito, il modo in cui si mischiano abbandono e geometria. Sono idee che solo adesso
puoi formulare; da bambino ti aveva spaventato qualcosaltro, un dettaglio che devi
ancora trovare. Ti avvicini, sospeso tra i ricordi e il presente, e bastano pochi passi
per notare una grande differenza. Qualcosa è cambiato, nonostante tutto. E ti strappa il
primo brivido della giornata.
Ora cè soltanto uno stagno, quello di sinistra, proprio ai piedi della cima
sassosa. La sua superficie scura continua a riflettere la luce incerta del mattino,
increspata appena da una bava di vento. Ma lo stagno di destra è diventato una buca nel
terreno, completamente prosciugata. Persino gli arbusti sui bordi sono scomparsi, il suo
rettangolo è disegnato perfetto. Ha gli angoli arrotondati e non è molto profondo,
saranno tre metri al massimo. Una conca, con le pareti che calano verso il centro, non
troppo ripide. Ed è proprio lì, in mezzo, che spunta la cosa più assurda.
Una colonna, fatta di una pietra grigia che sembra quasi cemento. Ti fa pensare a un
obelisco, ma la sua forma ha qualcosa di insolito, qualcosa che ti sfugge. Ti avvicini,
lentamente, e nellaria ti pare di sentire di nuovo la stessa tensione di allora,
quellatmosfera inquieta che aveva fatto fuggire due bambini, in un pomeriggio
estivo. Suggestioni senza senso, ti ripeti, eppure capisci che non sarà facile
convincertene. I ricordi si svegliano, pian piano ti sembra di tornare indietro, verso
linfanzia. Fantasticherie, dici, scuotendo le spalle.
Sei sul bordo. Davanti a te una distesa verde, dove lerba è più bassa ma più
rigogliosa. Guardi quel pilastro al centro: ti attrae, ti incuriosisce. Scendi lentamente,
la strada è facile, ancor meno ripida di quanto apparisse da lontano. Gli scarponi
slittano sul terreno umido e melmoso, ma mantieni senza problemi lequilibrio. In
mezzo, la colonna assorbe tutta la tua attenzione.
Pietra grigia, antica, segnata dal tempo che deve aver trascorso sommersa, ma non sono che
leggeri graffi, a paragone della superficie liscia e uniforme. Con prudenza le giri
attorno, stupito di fronte alla sua forma strana. Poco più bassa dei bordi, ha una base a
nove lati e la punta arrotondata. Che senso potrà mai avere? Non riesci a capire quale
potesse essere il suo scopo, ma ogni pensiero si smarrisce, quando trovi una scritta,
lasciata da una normalissima penna. Il nome del tuo amico, una data che risale a pochi
mesi fa.
Dunque è tornato anche lui a visitare il luogo? Sorridi, non lo avresti mai immaginato.
Chissà se poi avrà scoperto qualcosa? Gli telefonerai, al ritorno: sarà interessante
parlarne. Anche da bambini era stato lui il primo a vedere, lui a fuggire terrorizzato,
trascinandoti con sé. Forse aveva bisogno di una conferma, ancor più di te. Ma in un
attimo è già uscito dalla tua mente.
Le tue dita si allungano a sfiorare la pietra. È calda e sembra vibrare, come se qualcosa
si muovesse sotto la superficie. Sembra viva. Ritrai la mano, disgustato.
Quelloggetto non ha nulla di naturale, nulla che suggerisca unidea di
normalità. Ti mette a disagio e vorresti lasciarti alle spalle gli stagni, tutto il
resto. Forse sarebbe stato meglio abbandonarli nel passato.
Risali il bordo della conca, gli occhi tornano di continuo a esaminare la strana colonna.
Sai di agire come un pazzo, eppure non ti fidi a voltarle la schiena. È come una bestia
in agguato. Con una vaga curiosità, ti chiedi se anche sotto laltro stagno
cè un oggetto simile. Ma lacqua fangosa ostacola il tuo sguardo, è una massa
nera che si muove appena, sollevando un leggero rumore tra le canne che la circondano.
Dalle sue viscere sale un fastidioso odore di marcio, disgustoso come pochi altri in vita
tua. Ma è sottile, non riempie laria, resta a fare da sfondo, semplice spettatore.
Sulla destra cè ancora quel piccolo pontile di legno, poche assi scure che si
allungano di due o tre metri verso il centro dello stagno. Quella volta ti era mancato il
coraggio di salire: solo Paolo aveva mosso qualche passo, prima di fuggire a rotta di
collo. Cosa aveva visto? Da bambini non ti aveva detto nulla, ma adesso sarebbe più
giusto parlarne. Al ritorno: ne discuterete per capirci qualcosa. Chissà, magari potreste
anche passare di lì assieme, per commemorare unestate trascorsa da quasi
trentanni.
I pensieri ti distraggono; prima ancora di rendertene conto, hai già un piede sul
pontile. Sotto di te il legno cigola e vibra, riportandoti al presente. È una pazzia, te
ne accorgi subito. Perché non torni indietro? Non lo sai. Hai bisogno di vedere, di
superare quella prova. Adesso non cè Paolo con te, sei tu che devi avanzare verso
lacqua e guardare. Vuoi scoprire se cè davvero un pilastro anche al centro di
quello stagno e per questo devi andare più vicino. E poi, quellacqua così cupa ti
attira, come una calamita.
Una bava di vento agita la superficie, minuscole onde scorrono verso la cima del colle,
davanti a te. Ti sembra di scorgere qualcosa, una figura a pelo dellacqua. La punta
dello strano obelisco? Non lo riesci a capire. Il pontile cigola di nuovo, ma non è
lunico rumore. Un sottile fruscio tra le canne, sulla sponda opposta, attira la tua
attenzione. È come se qualcosa fosse entrato nello stagno, ma è un pensiero assurdo. È
la tua fantasia che cerca di giocarti un brutto tiro: scuoti la testa per spazzare le
tracce di suggestione. Devi pensare a ciò che hai davanti, il resto non conta.
Vedi la sua superficie, i riflessi che la luce del mattino strappa a quegli abissi bui.
Sì, cè una figura al centro, un oggetto che si mostra a malapena, tra le piccole
onde. Vorresti avvicinarti di più, ma con sgomento scopri di essere già sullorlo
del pontile. Non ti eri accorto di essere così avanti, non è prudente. Il legno è
viscido, si muove sotto i tuoi piedi. Ora vorresti tornare indietro, verso la terra solida
dei bordi, ma non ci riesci. Laria stessa preme su di te, per trattenerti in quel
punto. Il vento si rafforza e trasporta un rumore che non conosci, ma che non ti piace.
Sembra una voce, o forse il lamento di un animale. Non lo sai identificare.
Altri fruscii tra le canne, le vedi ondeggiare appena, sulla sponda opposta. Ripensi a
Paolo, al modo in cui era fuggito terrorizzato, dopo essere salito sul pontile. Cosa lo
aveva spaventato tanto, quel giorno? E cosa ha trovato al suo ritorno, quando ha scritto
il nome sulla colonna? Unaltra idea ora ti incalza, terribile. Si affaccia, sfugge,
poi torna alla coscienza.
La sua calligrafia era diversa.
Una corrente si anima al centro dello stagno, circolare, un minuscolo gorgo. Un suono
chiaro arriva alla tua schiena, la vibrazione di un diapason gigantesco. Vorresti girarti,
ma non hai il coraggio, né la forza. Le acque ti incatenano, trattengono i tuoi occhi, li
risucchiano nel loro lento muoversi a spirale, sempre più largo, più rapido. E quando si
aprono in un imbuto, lo vedi.
Lobelisco a nove lati, identico al gemello. Attorno a esso turbina quella massa
nerastra, mentre le canne vibrano attorno alle sponde. Il legno del pontile trema violento
sotto di te, si scuote come un animale imbizzarrito. I piedi perdono la presa e crolli di
schiena sul legno marcito, muto di terrore. Una gamba ti scivola oltre il bordo,
simmerge nelle acque scure e impazzite. Sono gelide, viscose, come mani che ti
trascinano verso il basso.
È quello a rompere lincantesimo, a liberarti dal torpore. Arranchi, trascinandoti
sui gomiti: devi fuggire, allontanarti da quel luogo. Strappi la gamba dalla sua presa, il
vortice accelera, romba di furore. Solo listinto ti guida, la ragione ti ha già
abbandonato. Il pontile trema, sinclina verso lo stagno, il rumore nellaria è
assordante, suoni che sembrano parole inumane, urlano e ti chiamano.
Le tue mani incontrano finalmente il terreno, strisci lontano dal legno, sul suolo.
Carponi, con le dita nellerba umida, guardi di nuovo verso il pilastro, emerso dalle
acque. Cè scritto un nome: il tuo. Ma la data non è quella di oggi. Cosa
significa? Cosa è successo a Paolo? Perché uno stagno è prosciugato? Non vuoi pensare,
non osi pensare: ogni ipotesi è troppo orribile.
Ti rialzi, a fatica. Il vento ti sferza, la collina trema sotto di te, le colonne vibrano
come lingue e il loro frastuono si mischia a quello dellaria. Un solo imperativo
nella tua mente: correre, raggiungere gli arbusti che segnano il confine. Laggiù
cè la salvezza, la vita normale. Dietro è soltanto follia, il risucchio del
vortice sembra una risata blasfema, assordante. Puntini bianchi esplodono nei tuoi occhi.
Stai per svenire?
Affondi nei cespugli, accanto al sentiero, dove comincia la discesa. Mentre loblio
ti avvolge, come una benedizione, un ultimo suono ti colpisce, parole che riecheggeranno
in te per sempre.
«Tornerai... Mi appartieni... Come lui...».