La festa di S. Pietro

I loro sguardi si erano incrociati quando avevano scelto lo stesso mazzo di rose, le mani si erano sfiorate per un attimo, provocandole un brivido.
- Mi chiamo Alberto.
- Carla.
Era imbarazzata e la voce aveva rivelato il suo disagio.
- Non ti ho mai vista a Trivigliano.
Gli aveva detto che viveva a Roma ma, ogni anno, tornava per la festa di S. Pietro e per vedere i parenti.
- E tu cosa fai qui?
- Faccio mobili su misura.
- C’è molto di lavoro in un paese piccolo come questo?
- Non mi lamento...

 

Aveva accettato l’invito a cena a casa sua.
Il tavolo era preparato alla buona, come quando si riceve un amico, tranne che per le tre rose nel vaso di vetro.
Il sorriso di Alberto la attraeva ma c’era un lampo freddo nello sguardo che le metteva addosso una strana inquietudine.
- Ieri mi stavi parlavi del tuo lavoro...
- Sì, faccio mobili su misura. E’ una tradizione di famiglia...
Uno spiffero si insinuava sotto le finestre chiuse e la luce della lampada stava diventando sempre più fioca.
Stava tremando e lui non sembrava farci caso.
- Nessuno sarebbe capace di costruire mobili così in paese.

Carla ingoiò l’ultimo boccone di carne. Un nodo di angoscia le stringeva la bocca dello stomaco. Forse era quello sguardo, quegli occhi che la fissavano come se potessero rivoltarle l’anima.
- Non ti senti bene, tesoro?
- Non so... mi sento... debole...
Aveva appoggiato la testa sul tavolo. Qualcosa strideva in un angolo della testa, sembrava una lama che viene affilata su una pietra. Il buio la avvolse mentre il gelo le affondava le unghie nella carne. Poi qualcuno la afferrò per i capelli sollevandole la testa.
- I miei mobili sono speciali, si indossano.
Una lama fredda e ben affilata aprì una nuova strada al suo ultimo respiro.
- Mi dispiace,cara... non te lo avevo detto... Quando il lavoro manca, sono io a procurarmelo.

Alfonso Mormile