Mi accorsi
di lui quando era già nel cimitero. Portava con sè una lanterna e una valigia o qualcosa
di simile. La prima cosa che mi venne in mente fu che, dopo tante giornate di fatica, un
piccolo colpo di fortuna non guastava per nulla, anzi; avrei portato a termine il mio
compito nel più semplice dei modi. Per un attimo mi spaventai anche, non capivo come
avesse fatto a scoprire la mia tana... ma fu solo un attimo. D'altra parte era impossibile
che mi avesse visto mentre lo seguivo. Il fatto mio lo conosco e lui non mi sembrava il
tipo.
Ero sempre stato attento, ne ero sicuro. Beh, forse una volta mi ero lasciato un po'
prendere la mano. Sì, sì, una volta avevo decisamente esagerato, ma se non si scherza un
po' nel mio mestiere... diventa difficile tenere i nervi a posto. Quel rischio nel
rischio, quel solo contatto fugace di una sera, mi aveva messo i brividi addosso. Lo stavo
seguendo già da due settimane, e lui appunto non si era neppure reso conto della mia
presenza, dei pedinamenti. Quando era entrato allo Square sarei potuto tornare al mio
nascondiglio, eppure volevo divertirmi un po' e sono andato dentro anch'io. C'era poca
gente e molti si erano girati a guardarlo. Un ragazzo come lui, -e così bello anche- è
normale che attiri l'attenzione. I capelli ondulati, portati lunghi a fissare dei
lineamenti fin troppo pallidi. Era tutto vestito di nero e se non bastasse si vedeva
chiaramente che aveva il rossetto. Da dove non poteva sentire i miei occhi rimasi a
guardare la sua solitudine, per un bel pezzo: il suo sorriso vago, ma forte, sprecato per
un bicchiere quasi vuoto. Poi mi spostai sicuro, finché il mio sguardo strappò il suo
sorriso al bicchiere, mi avvicinai e gli offrii da bere. Guardai i suoi occhi e li trovai
stranamente simili ai miei, affascinanti e scuri al punto che mentre parlavamo lottavo per
distinguere l'iride dalla pupilla.
Ma il dovere è dovere: mi alzai e mi affrettai a
tornare indietro, lasciando la mia preda... il momento non era ancora arrivato.
Non sempre è facile. Intendo dire raggiungere l'obiettivo; spesso sono costretto ad
attese spasmodiche. I momenti peggiori sono quelli in cui mi prendono le fitte. Sì, di
solito capita dopo diversi giorni. Ma a volte bastano poche ora di sorveglianza stretta.
Sento di avere la preda alla mia portata, ma non posso permettermi di sbagliare, devo
impormi di aspettare e tutto il mio corpo viene scosso dalla trepidazione. Capita che
arrivi a non capire se davvero posso continuare le mie cacce o piuttosto non debba
fermarmi per un po' di tempo e trovare altre soluzioni. Sì, altre soluzioni.
Ero più o meno in questa condizione quando lo vidi nel cimitero, e come ho detto, alle
fitte normali si sommò la paura di aver fatto qualche passo falso. E non fu solo quello.
E' normale, dopo tanto tempo, che io sia attratto in un certo modo dalle mie vittime, ma
questa volta era differente. Quella serata, quell'incontro voluto da me mi aveva portato
ad una curiosità morbosa nei suoi confronti. Avrei voluto conoscere altri aspetti della
sua vita, anche aspetti inutili per i miei fini. Proprio per questo motivo, quando
realizzai che non poteva avermi scoperto, mi eccitai ancora di più. Mi resi conto di
avere la possibilità di scoprire qualcosa in più a proposito del possessore di quegli
occhi nerissimi. Si trattava di un comportamento per lo meno strano. La scelta di andare
in un cimitero a quell'ora di notte. Chi era davvero? Quali dati mi mancavano per capire
quella creatura a fondo?
Nascosto dietro un cespuglio continuavo ad osservarlo, pronto a scattare non appena si
fosse distratto. Si muoveva in maniera lentissima, guardandosi intorno in continuazione,
ma troppo agitato perché potesse davvero cogliere un eventuale pericolo. Dopo aver
percorso pochi metri con la valigia stretta al braccio si fermò posando con molta cautela
il suo bagaglio su una zolla di erba folta. Fu allora che mi resi conto che non si
trattava di una valigia, ma di una custodia. Con rinnovata cura posò il coperchio
sull'erba, tirò fuori dalla custodia una macchina da scrivere e la piazzò sulla pietra
tombale bassa e piatta che aveva di fronte. Mi sembrò una scelta casuale, dettata da
chissà quale impeto interno, una pietra sepolcrale tra le tante del vecchio cimitero.
Forse era stata la forma della pietra ad attirare l'attenzione del ragazzo. Mentre tirava
fuori dalla custodia una sedia pieghevole mi avvicinai a lui nascondendomi dietro una
grossa tomba. Sistemata la sedia iniziò a scrivere e parve dimenticarsi della cautela dei
preparativi. L'atmosfera sembrava trasportare le lunghe dita del ragazzo e lo spettacolo
offerto dalla mia posizione era a dir poco inusuale. Uno scrittore folle all'opera, con
una tomba per scrivania, nel cuore della notte, illuminato solo da una lanterna. Rimasi
rapito da quella scena: lo guardavo dondolarsi a ritmo dei tasti della macchina, potevo
vedere le sue narici dilatarsi lentamente ad abbracciare gli odori umidi del cimitero. A
volte si fermava e vagava con lo sguardo intorno a sè, per quanto gli permetteva la
lanterna appesa al granito della tomba.
Non so per quanto rimasi a spiarlo, ore credo. So solo che ero ipnotizzato da
quell'attività così insolita per il luogo e le mie intenzioni erano neutralizzate.
Poi tornai in me e sentii più forti del solito le fitte. Fu un attimo: lo vidi spegnere
la lanterna e girare la testa verso un'alba che metteva fine al suo lavoro e anche al mio.
La luce iniziò a battezzare le tombe, capii che era tardi per nutrirsi.