La civetta
osservava con l'abisso dei suoi ambrati occhi nella finestra del monastero semi diroccato,
all'interno flessuose ombre decoravano il chiaro di luna con vacue movenze inumane, simili
alla seta sollevata delicatamente dalla brezza della sera.
D'un tratto la civetta si lanciò in un volo maestoso e attraversò la gotica e alta
finestra, nella notte lo sbattere violento delle sue ali appariva flemmatico, lene come il
silenzio.
Avviluppata dalla fitta ombra il rapace scorse un bassa figura bianca, vestita di stracci,
un bianco topolino vestito di stracci.
La civetta si posò lenta e delicata sulla spalla di quella che si rivelò essere una
bambina, pallida, consunta, palesemente cadavere.
La bambina sorrise, e quel sorriso fu inquietante quanto il sangue che si intravedeva
sugli ingialliti denti di lei nell'atto di concederlo all'uccello.
Le sue manine erano livide, con una di esse porse un ratto all'uccello che con il becco le
vezzeggiava le rade chiome d'un colore indefinibile.
"Questa notte avrò la mia prima figlia artiglietto, vieni."
Il suono di quella voce infantile riecheggiò lungo i corridoi deserti del monastero
abbandonato ove la tenebra ammantava ogni cosa, la civetta rise isterica, ubriaca di
impazienza, doveva assistere alla nascita di una sua sorella.
Alle spalle del monastero vi era un antico cimitero in disuso, l'incombenza claustrofoba
di quel edificio ora liberava la bimba nella fresca brezza che ondeggiava leggera, mentre
le lapidi tutto intorno sussurravano un fugace messaggio.
Di lontano tra le tombe si avvicinò una figura di donna, di sposa vestita, di morte
truccata, incedeva mentre gli spettri del chiaro di luna baciavano la sua pelle
inchinandosi.
La donna vestita da sposa era completamente imbrattata di sangue, ancora più scuro esso
segnava il pallore del suo viso ed il nivore dei suoi vestimenti.
Ella si avvicinò alla bambina, le prese il mento fra le mani e in fine le sorrise, anche
lei orribilmente inquietante, come lo era stata la bambina tra gli spettrali corridoi del
monastero, vi era qualcosa di perverso in quel sorriso, rivelatore di laidi propositi.
La sposa afferrò la civetta e la sbranò impiastricciandosi di sangue il petto ed il
volto sottile, poi ne gettò in terra il corpo morto e sorrise ancora più allucinata
guardandosi follemente intorno.
"Io ti ho creata mia sposa. Tu mi accompagnerai lungo il cammino della notte, è
stata una brutta azione quella di scotennare artiglietto, tieni a freno le tue zannette
piccolo roditore, per riparare al tuo errore non mangerai per tre giorni, e se mi tradirai
reciderò i tuoi seni e li getterò agli scarafaggi."
La donna soffiò come fosse un gatto, con gli occhi folli onusti d'un lucore diabolico
inchiodati in quelli della bimba.
Ma la bimba ruggì, un ringhio gutturale innaturale, feroce come una coltellata. Artigliò
il volto alla sposa, la costrinse a stare in terra e le salì sui seni violacei, le
artigliò il volto provocandole quattro profondissimi tagli obliqui, aveva conficcato gli
artigli fino all'osso.
Il volto della ragazzina era imperativo e serissimo, mentre la sposa si lamentava e
dibatteva emettendo versi inquietanti.
La bambina le strappò di colpo la lingua e la gettò sull'erba del cimitero, la vittima a
cui lei stava impartendo severe lezioni d'obbedienza emise un urlo che raggelò anche il
frinire dei grilli.
"Tu devi prestare obbedienza a me soltanto, poiché dalla tua carne morta ho
ridestato la vita, eri in punto di morte, avevi tagliato i tuoi polsi a causa del tuo
amore tradito, questa cosa mi ha profondamente commossa, solo un'anima come la tua,
disposta ad annegare nel sangue il legame perduto può essere a me affine, non sarò più
sola adesso, poiché e me che hai sacrificato parte del tuo sangue, sì, perché io
impaziente l'ho bevuto forgiando il nostro eterno legame."
La sposa non poteva rispondere, nè parlare, la lingua le era stata recisa.
La bambina le fece una carezza, poi le baciò la fronte, prima con tenerezza, lasciando
poi spazio ad un trasporto abbastanza lascivo. Poi liberò la sua preda, raccolse la
lingua dall'erba e vi depose su un bacio leggero.
"Questa la terrò io, se sarai buona te la ricucirò, così che tu possa
interpellarmi."
Non era molto dolce questa bimba.
Durante il sonno nella bara la sposa tentò di fuggire, lei, la
bambina, la rincorse e le recise le mani, poi la gettò in una fossa, lasciandola lì per
tre giorni.
Milena, questo era il nome del piccolo, inquietante essere, era nata così, partorita
forse da un essere della sua stessa razza o forse figlia di se stessa.
Viveva nel monastero da quando aveva ricordo, ed era sempre stata sola.
Per lunghi, lunghissimi anni aveva esplorato l'edificio sia nelle sue più recondite
fondamenta, sia all'esterno nella più accorta prudenza.
Aveva capito durante i primi anni della sua vita che poteva dominare i sussurri degli
antichi, innumerevoli spettri che erano i patroni di quei luoghi sconsacrati. Non ne era
stata mai spaventata, nonostante le inquietanti, fievoli voci l'avessero sempre
accarezzata con lasciva, intimidatoria perversione.
La civetta era stata la sua prima ed unica eterna amica, solo con lei Milena cessava di
essere mesta e imperiosa per divenire dolce, infinitamente dolce, solo a lei aveva
confessato i suoi segreti, le sue paure inconfessabili che la spingevano a volte a
suicidarsi con la luce.
Era suo istinto evitarla, non concepiva il perché, sapeva solo che immergersi nella fonte
dorata di un raggio di sole le sarebbe costato puro, insondabile dolore.
Questo era il segreto di Milena, l'attrazione peccaminosa e letale nei confronti del
bagliore del sole la poneva d'innanzi alla morte, cosa poteva desiderare un essere come
lei, dominato dalla tenebra, dannato nel sempiterno oblio della negazione, un essere solo
al cospetto della pura bellezza del cielo limpido che bacia il mare mediante sinuose
lingue di ardente sole, cosa poteva desiderare Milena se non una danza soave con la morte?
Quando anche la civetta morì, mangiata dalla sposa che lei stessa aveva reso come lei, la
bimba eterna fu perforata da un lancinante strazio, il fatto di essere stata privata
dell'unico essere che l'aveva capita e l'aveva cullata con le carezze del suo becco fu
insopportabile presa di coscienza, si ritrovava sola, come era suo destino ignobile sin da
principio, e al posto della sua unica amica vi era una ribelle sposa puttanella che lei
stessa aveva creato per colmare il vorticoso baratro della sua solitudine.
Milena si sedette su di un catafalco di pietra, era nelle cripte del monastero ove vi era
anche la sua bara, vi si appoggiò morbida e leggera, poi posò delicatamente la sua
fronte nel mezzo della piccola manina bianchissima, scoppiò in una violenta crisi di
pianto, i suoi singhiozzi divennero convulsi, fino a quando una presenza non si rivelò
come un soffio di argentea luna.
Quando Milena alzò gli occhi velati dal pianto intravide il diafano spettro della madre
superiora.
Era una donna bellissima, era priva di vesti monacali e appariva nuda, non era suo solito
rivelarsi a Milena così.
"Pensi che la tua eterna solitudine sia incolmabile? Almeno tu puoi morire bimba
demoniaca che hai invaso questi luoghi inviolati da anni con il tuo passo caprino. Io sono
confinata qui, in eterno, a causa dei miei peccati innominabili. Dimmi, quale sorte sia la
peggiore?"
"Dimmi almeno qual è il mio peccato spettro, dimmelo e io andrò incontro al mio
destino in maniera solenne."
Il peccato di Milena era quello di essere nata così, di essere figlia della tenebra, e di
essere sempre stata sola con la civetta.
Ma questo la suora non lo sapeva, così non potette far altro che tacere.
"Tu cos'hai fatto spettro? Dimmelo! Dimmi chi poi giudica le azioni degli esseri come
me!"
"Io non so tu cosa sia bambina eterna, so che bevi il sangue degli uomini nottetempo
e dormi in una piccola bara, riguardo a chi o cosa giudichi sia me che te è impossibile
risponderti, io ignoro molte più cose di quanto non sappia!"
Milena scattò dal catafalco e furente si rivolse allo spettro:
"E allora perché vieni qui a tormentarmi bastarda? Perché non strisci
nell'oscurità e sparisci dal mio sguardo che brama dilaniare le tue informi carni? Vuoi
consolarmi patetico essere? Non puoi e non osare mai più girarmi intorno con i tuoi
patetici singhiozzi."
Lo spettro mutò la sua espressione di tormentata tristezza e s'accinse a liberare le
cripte di Milena, aveva già svoltato il primo angolo quando la sentì gridare:
"Aspetta fantasma!"
La suora ritornò cautamente lungo il percorso che prima aveva attraversato saettando,
vide Milena nuovamente seduta, con le piccole gambine dondolanti al di là del catafalco.
"Non mi hai più raccontato del tuo passato donna morta, cos'hai fatto, ti sei
suicidata?"
L'espressione di Milena era dolce e tristissima, gli occhi velati da una liquida nube di
pianto.
Si scorgeva in quegli occhi una solitudine eterna, una solitudine da ella stessa non
ancora compresa, poiché troppo immensa da sopportare.
E lo spettro questo lo notò, notò che l'infante creatura notturna non aveva ancora
accettato la sua condanna ed era per questo che cercava compagnia nella notte.
"Io sono stata uccisa dalla mia passione, ho amato un uomo che non m'amava ed un uomo
che non amavo ha amato me, quest'ultimo ha ucciso sia il primo che me, in questo convento,
cento anni or sono."
"Ed eri una suora?" sussurrò Milena un po' ripresa, metà infantile, metà
mesta regina vampira.
"Sì, avevo preso i voti poiché l'uomo che amavo mi aveva ripudiata, e l'altro
giunse qui di notte mostrandomi la testa di lui, un folle sanguinario brutale. Voleva
condurmi con lui, ma quando io mi opposi egli mi uccise."
"Dovevi pensare al suo amore, l'amore d'un altro è una cosa che si deve sempre
rispettare, io non ho mai avuto l'amore di un altro."
La suora trasalì, quella bambina emanava la tristezza più insopportabile che una
qualsiasi entità possa emanare, la solitudine era il fondamento di quella esistenza che
sembrava essere composta di buio immenso.
"Dovevi pensare al gesto che aveva compiuto quel uomo, ha ucciso per te, si è
bagnato nella tragedia per te, e tu invece amavi un altro.
Beffardo non credi? Per me ha fatto bene."
La suora non sapeva cosa dire, effettivamente aveva pensato spesso alle sagge parole di
Milena anche prima, ma adesso che senso aveva, ora che dimoravano nella torre a metà fra
il sogno e la vendetta.
Milena proseguì indispettita:
"Per una persona come me, che è nata sola e non conosce niente al di fuori della
propria solitudine non sai quanto sarebbe importante trovare un uomo disposto ad uccidere
per me!
Da questo deduco che tu sei una gran troia madre superiora, e che non tollererò mai più
la tua vista."
Lo spettro fuggi pavido lasciandola nuovamente sola, giacente sul catafalco di marmo.
La piccola decise di dormire lì, non aveva voglia di stare nella sua bara. Il suo sonno
stava sollevandosi leggermente verso i castelli del sopore quando avvertì sottili mani
carezzargli le gote, quel tocco era gelido velluto, eppure familiare amore materno, ma il
tocco mutò indirizzo carezzandola più in basso, verso il ventre.
Milena riconosceva la morte in quel tocco, riconosceva la familiarità della morte che
l'aveva generata, ma la tenerezza di quel tocco fu infranta da un sentore lascivo,
qualcosa di malevolo che da sempre accompagnava il sonno di lei, di Milena la bimba eterna
nata dalla morte.
"Dimmi qualcosa riguardo la luce, te ne prego!"
Questo sussurrò Milena un istante prima di svegliarsi, ed era nuovamente notte, eterna
notte dagli infranti sogni vacui ove mai luce alcuna si scorge.
Dedicato alla solitudine, alla tetra malinconia, alla mancanza di sbocco.