La spada
era pesante nella mia mano, pesante quasi quanto il cuore che batteva assiduamente nel
petto. Mi aggiravo per il tempio distrutto, tramutato in un effimero campo di battaglia.
Lodore dei corpi in decomposizione riempiva laria asciutta e il sole faceva
capolino dietro le placide montagne irrorando il paesaggio di colori tetri e irreali.
Dun tratto, una ventata di aria gelida mi fece rabbrividire.
Ed eccolo, davanti a me, il mio avversario.
Era una donna; nel suo viso era dipinto leco di mille battaglie, e il mantello nero
che portava si confondeva con il nero della notte, che stava scendendo sempre più
velocemente.
Non ci fu alcun convenevole, solo il cozzare delle nostre armi che si incontravano, lei
con la falce, io con la spada.
Le armi si alzavano e si abbassavano senza sosta e la sua diventava sempre più vermiglia.
Sentivo il sangue colarmi lungo il corpo e il bruciore di minuscole ferite impresse sulla
carne.
Dun tratto, il gelido bacio della sua lama mi scalfì il ventre, e io sentii tutte
le mie viscere gemere e gridare, fino a bruciare nella calda morsa di una seconda ferita.
Caddi sul pavimento di pietra traslucida, immerso nel mio stesso sangue.
Sangue che usciva dalla bocca e dal ventre, dagli occhi e dalle orecchie.
Lei stava sollevando la falce per infliggere lultimo colpo mortale.
Colpo che non andò a segno.
Il sangue sul pavimento mi aiutò a scivolare, roteando via, lontano da lei. Zoppicando,
trattenendo le mie viscere che uscivano dallo squarcio, riuscii ad allontanarmi, a
sfuggirle, ancora una volta.
Mentre correvo perdendo sempre più sangue, vidi il suo ghigno contrarsi in un sorriso
beffardo e mostruoso.
Ci eravamo incontrati già molte volte e sapevo che non le sarei sfuggito a lungo.
Daltronde, nessuno sfugge alla Morte.