Apparenze

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4

Somigliare ad un vampiro in Romania.
Il dramma di Andrej era tutto nel volto scarno, arcigno; nelle sopracciglia ispide che ne facevano il ritratto di un leggendario Vurdalak.
A pochi chilometri da Bucarest, dove la realtà era un mosaico di superstizioni ataviche, tutti guardavano con diffidenza a quell’orfano smagrito dai canini acuminati, le cui movenze furtive, agli occhi del prete del villaggio, erano il frutto di una maligna possessione piuttosto che la conseguenza d’un ebetismo ereditario.
Andrej viveva della carità di pochi intrepidi e di notte si rifugiava nei boschi, dando spunto all’immaginazione di chi lo voleva impegolato nelle più subdole empietà.
Accusarlo dell’omicidio di Katja, primogenita dell’anziano maniscalco, fu quasi naturale. Muta testimone di un delitto abominevole, la ragazza giaceva supina, pallida nel volto e con il collo deturpato da una ferita slabbrata.

Il morso di un vampiro.
Trovarono Andrej nella foresta, addormentato sotto un albero.
Due allevatori nerboruti lo afferrarono per le braccia, sollevandolo dal terreno.
Il prete, al cospetto di una folla attonita, gli riempì la bocca d’aglio, trasformando le sue urla disperate in soffocati gorgoglii.
Il fabbro gli trafisse il cuore con un paletto scheggiato, macchiandosi di sangue la camicia.
Così morì Andrej, vittima del suo aspetto orripilante.
Morì mentre l’anziano maniscalco gli si avvicinava con un machete, rivelando, al centro di un sorriso soddisfatto, una coppia di lunghi canini irti ed ingialliti sui quali erano ancora visibili i resti del sangue succhiato dalla vene della sua stessa figlia.
La testa di Andrej fu impalata, con gli occhi congelati in un’espressione esterrefatta e la bocca spalancata a vomitare un misto di saliva e pezzi d’aglio.
Nessuno ebbe dubbi di fronte al suo viso insanguinato, a quei tratti d’animale scavati dalla fame.
Era il ritratto di un leggendario Vurdalak.

Stefano Palumbo