Mi osservai
intorno, sorpresa di quante persone stavo rannicchiate in quei rifugi sotterranei, come
tanti piccoli topi.
- Sei al sicuro qui.
Mi disse luomo che mi aveva condotta per tortuosi vicoli fino a quella cantina che
sapeva di muffa e sudore.
Gli sorrisi, perché era questo che si aspettava da me.
Mi diedero una coperta lisa, ringraziai e mi accomodai in un angolo. Avvolta in quella
cenciosa pezza che sapeva di umidità, osservai una bimba paffuta che pettinava una
bambola sudicia. Le sorrisi e lei ricambiò il mio sorriso.
Sentivo alcune persone chiedere chi fossi. Ai loro occhi dovevo apparire aliena con i miei
enormi occhi verdi e la mia pelle debano.
Mi stiracchiai pigramente le braccia e mi raggomitolai più stretta nella coperta.
Una donna mi si avvicinò porgendomi un pezzo di pane stantio. Notai delle cicatrici
profonde sulla sua guancia destra, i segni lasciati da degli artigli.
Gli sfiorai la guancia. - Un gatto mannaro.
Annuì. Non avrebbe detto nulla, nessuno parla mai dei gatti mannari.
Molti fingono che non esistano, altri affermano che siano creature sfuggite da qualche
laboratorio di ricerca, il frutto di uno scienziato perverso.
Tutti però vivono nascosti in rifugi di emergenza, spaventati da ombre nere senza nome.
Io dico che esistono, vivono come uomini ma in realtà sono predatori duomini.
Creature a metà tra luomo e gatti neri, come pantere metropolitane che si cibano di
carne umana.
Gli uomini hanno sempre temuto ingiustamente i gatti neri, attribuendoli poteri di cui non
disponevano, ora i gatti neri si sarebbero presi la loro rivincita.
Mentre le mie labbra si incurvavano in un lieve sorriso le mie pupille si fecero
verticali.
Era ora di cena.
Sono restauratrice nel campo dei dipinti murali e su tela e travola. Dopo aver frequentato l'Accademia di Belle Arti di Bergamo ed essermi dedicata alla pittura, alla fotografia e all'incisione mi sono buttata sulla scrittura.