L'infezione

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4

Oggi sono uscito e mi sono trovato di fronte quella odiosa bestiaccia. Popsy, il cagnolino del signor Lunz, era lì nel mio giardino e mi fissava con un’aria strana. Mi sono avvicinato titubante, cercando di ignorare gli occhi del pulcioso essere.
“Popsy” ho detto fra i denti, “perchè non scavalchi la staccionata e te ne torni dal tuo padrone? Su, da bravo... brutto cane di...”
Un balzo inaspettato. Ho guardato in basso e ho visto i canini di Popsy affondare nella mia povera caviglia con una ferocia sorprendente. Urlando ho tirato un paio di calci, il bastardino ha mollato la presa, portandosi via un po’ di sangue e di epidermide; ha trotterellato lentamente verso la staccionata, poi è sparito.
“Te la faccio vedere... tu e il tuo schifoso padrone!” ho strillato mentre rientravo in casa.
Acqua ossigenata e cotone per disinfettare.

Prima di cena ho guardato dalla finestra. Il signor Lunz stava uscendo. Attraversava il viale con passo incerto e rigido, tenendo il capo inclinato a destra e le braccia penzolanti lungo il corpo. Sembrava un ubriaco, ma non faceva ridere. Per nulla.
Che sta succedendo?

 

Sembra che la ferita sia peggiorata. Il contorno è diventato scuro ed emana un odore disgustoso, come di carne putrefatta. Sto pensando di telefonare al medico. Oltretutto, inizio a non sentirmi bene. Sono stanchissimo, non ho fame. La fronte è ghiacciata. Mi sono piazzato davanti allo specchio e ho visto un cadavere.

 

Sì, andrò dal medico, ma non ora. Sto troppo male per guidare, ho solo voglia di sdraiarmi sul divano e chiudere gli occhi; credo di avere la febbre. Nelle orecchie rimbomba una frase: non voglio diventare uno di loro. Chissà cosa significa, comunque non mi interessa.
La ferita non dà tregua.
Ogni minuto diventa più larga e infetta.

A. Corlick