Marco non
ricordava assolutamente niente della notte appena trascorsa, come sempre. Si svegliò
nella sua camera, la finestra era aperta. La luce tenue del primo mattino lo sorprese nel
suo letto, nudo e ansimante. Faceva spesso brutti sogni.
Poco dopo era per strada, ancora mezzo addormentato, con in mano il giornale e in prima
pagina i resti martoriati dell'ultima vittima del Licantropo. La sua ultima vittima.
Scoop del quotidiano che aveva trovato un contadino che aveva visto il mostro, ma da
lontano.
Marco decise che era meglio partire, prima o poi ci sarebbe stato qualcuno un po' più
sveglio che avrebbe notato le coincidenze e collegato i delitti ai suoi inutili
vagabondaggi, oppure semplicemente una mattina non avrebbe ritrovato la strada di casa.
Decise per l'isola deserta di Tuamotutua, un atollo fuori dalle rotte turistiche e
commerciali.
Tra un passaggio e l'altro impiegò quindici giorni per arrivarci. I pescatori Samoani che
l'accompagnarono erano molto nervosi l'ultima sera, quando lo salutarono.
Vollero
ripartire immediatamente per la loro isola, dicevano che in quel posto c'erano spiriti che
loro non volevano incontrare. Marco non insistette, era la notte del plenilunio.
Sull'isola c'erano acqua, frutta e molti animali; fortunatamente nessuno più pericoloso
dell'uomo. Ad ogni luna piena il mostro veniva fuori, l'isola lo sapeva, lo sentiva.
Oppure ci pensava lui, semmai, a farsi sentire, lanciando i suoi agghiaccianti ululati
verso quell'immensa perla lucente, su nel cielo. E intanto il tempo passava.
Poi una sera, sempre prima di un plenilunio, erano sbarcati quei ragazzi e quelle ragazze,
così allegri... venuti a fare una festa sull'isola, un full moon party. Fu una strage, ma
dei dodici arrivati in tre sopravvissero alla notte di sangue, seppur feriti.
Da quel momento Marco non fu più solo, si ritrovò con altri tre Licantropi, o, per
essere più precisi, Licantrope.