Bluster

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4

Aveva finito. Questa volta impiegandoci solo un'ora e trentacinque minuti netti con tre salvataggi. Il record mondiale era di un'ora e venti con due. Doveva impegnarsi di più. Erano le 4 e mezza di mattina. Ora si sarebbe collegato alla rete. Lì vincere era meno facile, almeno al livello “olocausto”. Durante lo scontro iniziale con un suo amico, Bluster, gli si annebbiò la vista e perse concentrazione. A quell’ora della notte gli era già capitato. Bestemmiò ad alta voce. Sbatté il pugno sulla mensola. Ma era tardi. Aveva perso.
Sarebbe stato difficile ora ma doveva prendersi la rivincita su di lui. Il fatto è che gli occhi non gli davano tregua. Pur tenendo il naso vicino al desktop, doveva sbattere le palpebre continuamente per evitare che una specie di nebbia gli bloccasse la vista.
Successe in un attimo. Le sue dita persero aderenza sul joystick sbattendo una contro l’altra. Il mondo intorno si spense e quando tornò era capovolto. Lo stomaco era un delirio e un dolore lanciante al petto e alla testa gli cancellava i pensieri. Era come essere violato da un virus, senza misure di sicurezza. Crash del sistema. Addio.

Le mani e il corpo tremavano. La testa sbatteva scompostamente sulla spalla come sotto l’effetto delle convulsioni. L’aria che gli aveva permesso di dare vita ai normali processi metabolici adesso era un esalazione velenosa. Doveva ricevere input. C’era carne viva in casa.

 

Lo azzannò alla faccia strappandogli di netto il naso. Sentì in bocca il sapore muschioso del sangue e la piena consistenza della carne. Era ottimo. Vide contorcersi quel piccolo fagotto. Il sangue gli colava dalla faccia in vividi fiumi color porpora. Stava gocciolando. Cominciò a strillare. Si chinò su di lui. Il neonato era stato suo figlio. Ma ora era Bluster. Quel porco bastardo.

Emanuele Ramondini

Nato a Napoli il 23 agosto del 1983 l’autore ha cominciato ad occuparsi assiduamente di scrittura all’età di quattordici anni spinto dai genitori e dagli insegnanti che avevano notato la sua sensibilità artistica e la complessità, a volte soverchiante, del pensiero critico. Una volta finito il liceo si iscrive alla facoltà di scienze della comunicazioni e consegue risultati discreti. Insicuro e ancora sprovvisto di quello che Heminway chiamava “shit detector” si prodiga affinché le sue capacità si affinino fino al limite della perfezione, traguardo utopico e irrinunciabile.