Mi sveglio
immerso in un velo di sudore sieroso, aggrovigliato fra le lenzuola come nella tela di un
ragno. Intorno a me non cè altro che aria ferma, opprimente, stagnante. E una mosca
incollata sulla punta del naso. E lì, non si muove, arrogante, insolente, spudorata
come solo tu riesci a essere. E tuo istinto. Nel tuo essere così drammaticamente
lavico.
Vorrei alzarmi, ingurgitare e defecare il mondo intero, ma non ne ho la forza. Solo la
rabbia mi fa da compagna. Tanta di quella rabbia da poter sfidare la tua energia
incorruttibile.
Ricordi... tanti da poterne udire il meccanismo cigolante. Parlano di tutto e di niente.
Parlano di te. Di come sei nato, maledetto bastardo! Da uno scherzo della natura che ti ha
impiantato dentro di me. E tu, grumo di materia sanguinolenta, sei cresciuto nel buio del
mio corpo. Hai assunto le mie sembianze, desiderato, sperato di prendere il mio posto.
Fino a quando un cacciatore di mostri si è accorto di te, e mi ha avvisato.
Un uccisore di mostri ha poi tentato di debellarti con un avvelenamento lento. Tu hai
sofferto, ti sei raggrumato, ripiegato su te stesso. Ma eri ancora vivo e, se da un lato
mostravi la faccia di Gesù Cristo, dallaltro nascondevi il culo del diavolo.
Un tagliatore di mostri ti ha quindi reciso, strappandoti a me. Ma tu, carogna, col
deretano mi hai spruzzato dentro una cellula maligna, una piccola spora, un oncogene che,
con un meccanismo di insert-delete, si è sistemato vicino al promoter di un gene buono,
potendo esprimere un animo dannato allalba dei tempi. Da quel momento sei tornato in
vita, sei cresciuto di nuovo, ti sei riappropriato del mio corpo. Mostro egoista e
incosciente. Perché non sai, o non vuoi sapere, che se muoio io muori anche tu.