Era tardi e
ancora non riuscivo ad addormentarmi.
La stanza era avvolta nel buio.
Ascoltavo in silenzio le grida del vento e il canto di morte duna vecchia civetta.
La stanza era paurosamente buia, lunica debole fonte di luce era il riflesso della
luna che si dipingeva sulle pareti di sasso e sul mio corpo nudo e contorto.
Osservavo quel vecchio orologio appeso sopra lenorme portone.
I minuti passavano maledettamente lenti.
Lasse su cui stavo sdraiata era più duro di ieri.
Un vento freddo soffiava attraverso le feritoie nelle pareti.
Avrei voluto stringermi per scaldarmi un po ma le catene a cui stavo legata erano
troppo corte per permettermelo.
La paura pulsava orrendamente nel mio cuore come il sangue di un giovane puledro mai
domato.
Mi sentivo osservata dai vampiri che, con il sorgere del sole, tornavano ad appendersi a
testa in giù sotto il soffitto di legno scuro e marcio.
Unombra savvicinò al mio giaciglio di terrore tendendo in mano un candelabro.
La luce delle candele illuminò per lultima volta il mio corpo coperto di ferite
divorate dai vermi.
La luce mi permise anche di intravedere sopra di me delle enormi lame taglienti sporche di
budelli dogni genere.
Il sangue vecchio era diventato un tuttuno con lacciaio.
La figura appoggiò il candelabro e si tolse il cappuccio che le nascondeva il viso.
La guardai in faccia.
Quella donna dai capelli rossi fuoco, gli occhi scuri e profondi come linferno, ero
io. Mi guardò e mi sorrise con un ghigno di soddisfazione eterna.
Tagliò con un colpo secco di pugnale la corda che tratteneva la lama sopra di me. Cadde
sul mio corpo, entrò in me e mi oltrepassò con un solo e secco lamento di disperazione.
La donna si accasciò a terra con il corpo diviso in quattro parti.