Pietro
controllò lorologio: per oggi aveva finito. Alcuni colleghi gli proposero il solito
strappo, ma quella sera non lo accettò: aveva in mente un piano.
Pietro lavorava in quella fabbrica di portafogli da quasi sei mesi, e non riusciva proprio
a spiegarsi come fosse possibile per una fabbrichina con alle dipendenze non più di otto
operai, produrre così tanti portafogli, tanti da superare di gran lunga il numero di
quelli che gli operai stessi ricordavano di aver fatto.
Succedeva sempre così: il giorno dopo, tornando in fabbrica, lui e i suoi amici trovavano
enormi colline di borselli grandeggiare sopra i tavoli da lavoro. Gli altri se
nerano accorti, ma a loro la cosa non importava. Nello stanzone dove lavoravano,
cera una porticina di legno chiusa, dovera proibito entrare. Delle volte
Pietro avrebbe giurato di aver sentito dei passi provenire da lì sotto... passi di
uomini, e non di ratti...
Quella sera, aveva deciso di nascondersi e restare, per scoprire cosa nascondesse quella
vecchia porta.
A notte fonda, Pietro uscì; forzò il catenaccio della porticina e scese lentamente le
scale. Ciò che vide lo sconvolse. Adelina, la figlia del droghiere morta lanno
prima di tumore, lavorava senza tregua assieme ad altri: cera Mario, morto di
overdose quella estate, che cuciva una cerniera; cera Anna, la portinaia morta
dinfarto, Luca, il salumiere, Stefano, e tanti altri ancora deceduti tempo fa.
Avevano delle cuciture alle tempie ed erano pallidi come lenzuola; lavoravano
meccanicamente, senza fermarsi, quasi come telecomandati. Qualcuno li aveva risvegliati
per adoperarli come mano dopera, qualcuno mentalmente disturbato...
Pietro accidentalmente urtò un carrello; Adelina alzò i suoi occhi privi di orbite su di
lui: tutti si accorsero della sua presenza. Cominciarono ad avvicinarsi lentamente...
Pietro, terrorizzato, svenne.
Da quel giorno Pietro lavora senza sosta, senza pause, senza lamentarsi, senza pensare.
Meccanicamente...