Può
darsi che scrivere questa storia mi aiuti a liberarmi almeno in parte delle ossessioni che
mi ha portato, anche se temo non sarà così.
Affatto.
Mi venne raccontata una sera di novembre da un uomo incontrato in un bar. Non so perché
attaccò bottone, forse aveva notato pure lui la nostra strana somiglianza, come fossimo
copie distorte l'uno dell'altro.
Fuori faceva freddo, uno di quei freddi che non solo ti pungono la pelle ma colpiscono
allo stomaco, stavo mettendomi a letto quando la vidi. La creatura stava tra me e la
finestra chiusa, mi guardava. Non so come feci a capirlo, non avevo mai visto niente del
genere: più piccola di un uomo, la pelle grigiastra e lunghe braccia che terminavano in
dita sottili. Ma non fu questo a spaventarmi.
Furono gli occhi.
Sul volto privo di lineamenti aveva due orbite nere, vuote, qualcosa di impossibile. A
guardare quegli occhi mi pareva di essere cieco. Non esiste, non può esistere un paio
d'occhi così. Quegli occhi mi stavano guardando, lo sentivo, lo sapevo. Poi la creatura
parlò.
La sua voce era l'esplosione di un universo di ghiaccio e vetro.
Disse: "Vieni, adesso devi vederlo".
Non so come mi ritrovai in un'altra stanza, la finestra però era aperta e lasciava
entrare il gelo. Ad un metro da me, seduto ad un tavolino contro al muro, stava un uomo.
Mi voltava le spalle e non si accorse della mia presenza. Non poteva essere un sogno, un
sogno non può essere così reale ed irreale allo stesso tempo. Stava scrivendo su un
quaderno, prima di svenire riuscii a leggere le prime righe da sopra la spalla: può
darsi che scrivere questa storia mi aiuti a liberarmi almeno in parte delle ossessioni che
mi ha portato, anche se temo non sarà così.
Affatto.