L'ultimo treno

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2010 - edizione 2

E' difficile correre se hai bevuto così tanto da non stare in piedi.
Non so perché lo faccio, ormai è inutile, anche stanotte è troppo tardi. La troverò in piedi che mi aspetta. Non dirà nulla, si limiterà a guardarmi con i suoi meravigliosi occhi blu; ed in essi leggerò tutto il mio fallimento.
Metropolitana di Piazza Dante, ma quand’è che l’hanno riaperta? Pensavo che l’avessero dismessa da anni ormai.
Scendo le scale cercando di mettere assieme un pensiero coerente. Che ore saranno? L’ultimo treno dovrebbe essere passato da un pezzo.
Mi fermo in un angolo a vomitare; i corridoi puzzano di nuovo, hanno fatto le cose in grande qui.
Sono fortunato, il treno arriva immediatamente.
Forse non è troppo tardi.
“Perché non mi lasci”, le chiedo ogni giorno; questa domanda la fa sempre piangere; “perché ti amo”, mi risponde.
Strano, il treno è pieno; sul binario non c’era nessuno.
Mi gira la testa, faccio fatica a mettere a fuoco; mi sembra che luci e colori abbiano l’intensità innaturale di un incubo.
Nel vagone ci sono impiegati in giacca e cravatta che sembrano appena usciti dal lavoro, una ragazza scalza con un camice da ospedale, un paio di vecchi con la busta della spesa. Hanno tutti lo sguardo rivolto verso di me; ne sono spaventato, comincio a gridare “COSA VOLETE?”
È l’alcool che mi rende aggressivo, però mi sento male, ho l’aspetto goffo e scomposto di un burattino; qualcuno mi lascia sedere.
Poi mi accorgo di lui.
Eravamo compagni di scuola, eravamo molti amici, saranno passati vent’anni.

Il mio fegato sta andando, penso, comincio ad avere le allucinazioni; Luca aveva la leucemia, era morto all’ultimo anno di liceo.
Eppure ora è qui, seduto di fronte a me.
Ma da quanto tempo sta andando questo maledetto treno? Voglio scendere, quand’è la prossima stazione?
“Sono venuto a prenderti, amico mio”, mi dice, e la sua voce è come un filo di vento gelido.
Mi alzo di scatto, “NO! NON VOGLIO!”, grido.
Lui mi guarda triste per alcuni interminabili secondi, e poi dice “Fai ancora in tempo a scendere, se vuoi, ma devi lasciare qualcosa di tuo”.
Mi frugo nelle tasche, ma ho solo qualche cartaccia ed un paio di monete.
Ai morti può interessare il denaro?
Estraggo il portafoglio, avrò sì e no dieci euro. Ho i brividi, non riesco a controllare il tremore delle mani.
Mi cade una foto di Linda, e mi accorgo che Luca la fissa intensamente.
Improvvisamente il treno si ferma, ed io balzo fuori senza pensare.
Ancora la stazione di piazza Dante; però non ha più l’aspetto di prima: ora sembra solo un ammasso di macerie.
Mentre le porte si chiudono alle mie spalle, un’improvvisa lucidità mi attraversa il corpo come una scossa elettrica.
Dalla banchina vedo ripartire il treno con il suo carico di anime, e centinaia di volti mi guardano dai finestrini che scorrono.
Tra esse solo per un istante, scorgo anche Linda ed i suoi meravigliosi occhi blu.

Sebastiano Natalicchio