Guardava la
fredda notte illune dalla finestra del vecchio castello: una lugubre costruzione in
pietra, vecchia di secoli, appollaiata sopra un nero pinnacolo roccioso; un erto sentiero,
fiancheggiato da croci, saliva al portale, oscure finestre saprivano sulle mura,
inquietanti come orbite vuote.
Il Conte passeggiava nervoso nel salone; spesso scorreva lo sguardo allucinato dalle
fiamme del camino al buio esterno: qualcosa lo turbava profondamente.
Guardò la cupa foresta vicina, oscura e minacciosa e pensò: Li sterminerò tutti
quei maledetti lupi. Per giorni ho sparso esche intrise del mio speciale, potente veleno.
Dovrebbero essere tutti morti.
Aprì la finestra; una folata di vento gelido entrò, mista ad un fiocco di neve e ad un
terrificante ululato, vicino.
Rabbrividì incredulo: ancora lupi!
Dun tratto un rumore raschiato; sconvolto tese lorecchio, lo risentì.
Una sorta di stridio, di sfregamento, come unghie dacciaio sui muri.
Guardò fuori e pietrificò: decine di giganteschi corpi irsuti, dagli artigli
raccapriccianti e dalle zanne acuminate, stavano arrampicandosi lungo le mura.
Potevano ricordare lupi, ma molto più grandi, feroci e... esiziali.
Un pensiero balenò nella sua mente: Licantropi!
No, non esistono licantropi, sono miti, leggende.
I pensieri razionali cessarono nel momento in cui un mannaro gigantesco, sfondò la
finestra ed entrò, seguito dallorda selvaggia.
Il Conte gridò: Non siete reali, non esistete.
Lenorme mannaro lo atterrò e prima di squarciargli la gola, gli disse:
E vero, non esistevamo. Siamo divenuti reali grazie a te. Il potente veleno
che ti sei procurato a Chernobyl, era contaminato dalle radiazioni, perciò anziché
ucciderci, ci ha trasformati. Saremo immortali, grazie.
I mannari iniziarono il banchetto ruggendo.
In paese cera tanta carne umana... dopo, fortunatamente, potevano ancora mangiare.
Il capobranco ululò, richiamando i veri lupi: vera ancora molto veleno che dava
limmortalità da distribuire, molti lupi da trasformare e molto cibo da divorare.