Rose di ghiaccio

Fissavo le scoppiettanti fiamme del camino, m’aspettavo quasi che Teresa uscisse da lì per riabracciarmi, ma sapevo che non sarebbe mai più ritornata. Mai più.
Avevamo fatto tantissimi sacrifici per riuscire a costruire la nostra villetta che avevamo sempre sognato e ora è così vuota, triste e troppo grande per me.
Passo i miei giorni chiuso in questa casa, che prima per noi era tutto, ma ora per me è solo una prigione buia.
Ricordo ancora il sorriso di Teresa dietro il bancone del suo negozio di fiori, era conosciuta per la sua capacità di curare le rose, infatti riusciva a far fiorire le rose da marzo ad ottobre senza tregua.
Le sue rose erano le più belle, erano perfette ed i loro petali erano vellutati, ma la cosa più incredibile era che nella notte di Natale il roseto di casa nostra fioriva come per magia.
Molti studiosi e biologi erano venuti a farci visita in quel magico momento per assistere allo spettacolo delle rose d’inverno. Avevano studiato a fondo alcuni campioni delle rose in giardino, ma il risultato delle analisi non svelava nulla, erano rose normali, comuni, come quelle nei giardini del vicinato, così dicevano loro. Ero certo che mia moglie possedesse dei poteri magici per la cura di questi arbusti pungenti.
Ogni volta che vedo una rosa rivedo il suo volto, i suoi capelli biondi e i suoi occhi zaffiro.
Tutti i giorni esco di casa per andare al cimitero, le parlo, le chiedo di tornare, ma come tutti sanno il marmo non parla e i morti non tornano. Avevo ancora le cicatrici sulle braccia e le mani a causa dei pungiglioni delle rose, perché avevo deciso alcuni mesi fa, di trapiantarne alcuni cespugli dal nostro roseto alla sua tomba, sperando che questa sera sarebbero fiorite, come tutti gli anni passati, quando c’era lei.
Il mio sguardo passò dal camino in sasso alla grande finestra del soggiorno, come dal caldo al freddo, m’accorsi che nevicava già da molto tempo perché al suolo si erano gia depositati alcuni centimetri di neve.
Non riuscirò mai a dimenticare quella sera, quando nel negozio divamparono le fiamme, capitò tutto così velocemente... troppo veloce per salvarsi. Quando Teresa s’accorse dell’incendio era nel retrobottega, cercò di salvarsi, ma il fuoco l’aveva intrappolata, non fece in tempo a capire cosa era successo che venne intossicata dal fumo.

Le fiamme la inghiottirono senza pietà.
Ora rivedo il suo sorriso in quella cornice d’orata sull’architrave in legno del camino, ricordo quella mattina, l’ultima mattina che la vidi, nemmeno le ho detto un semplice “ti amo”, ma ora è tardi...
Mi resta solo il suo ricordo che mi tormenta tutti i giorni, non mi lascia mai, mi intrappola in questa casa, la casa dell’oscurità, della tristezza e del dolore, regno di polvere e di ricordi...
Venni distratto da un batuffolo bianco come la neve che grattava alla finestra. Mautzi.
M’alzai dalla poltrona e mi avvicinai alla finestra, l’aprì, una folata d’aria gelata mi sfiorò il volto.
Il gatto entrò in casa e si raggomitolò su di una poltrona, la poltrona di Teresa.
Tutte le sere occupa gelosamente la poltrona come se fosse sua, e non lascia avvicinare nessuno, forse aspetta Teresa che venga a coccolarlo... povero illuso!

 

La pendola in legno di noce batté undici colpi e mezzo. Era ora, mi alzai dalla poltrona di scatto, Mautzi mi fissò con i suoi occhi penetranti.
Percorsi il breve tratto di corridoio buio che conduceva alla porta d’entrata.
Uscii di casa senza preoccuparmi dei miei piedi scalzi e della giacca che non avevo indossato.
Nevicava, il paesaggio era bianco, tutto bianco.
Le finestre delle case erano illuminate e le luci intermittenti degli alberi di Natale decoravano terrazze e giardini.
La neve sotto i miei piedi era terribilmente gelida, e tremavo dal freddo.
I fiocchi di neve dal cielo cadevano sempre più fitti e copiosi, i miei piedi non li sentivo più dal freddo e i miei abiti erano zuppi.
Cominciai a correre verso il cimitero, la mezzanotte era vicina, non volevo perdermi lo spettacolo delle rose d’inverno.
Arrivai davanti al cancello in ferro battuto del cimitero, ero stremato, cercai d’aprirlo, ma disgraziatamente era chiuso, il panico m’assalì, cominciai a scuotere con violenza il vecchio cancello, poco dopo i cardini arruginiti si ruppero lasciandomi l’accesso al regno dei morti.
Il cimitero era buio e tetro, tutto era ricoperto da una bianca coltre di neve, gli angeli di marmo, le statue dei monumenti gotici, le lapidi, le croci e i cipressi avevano assunto un’aspetto misterioso. Mi stavo dirigendo verso la tomba di Teresa, percorsi una scalinata che saliva su di un piano superiore del cimitero, i miei piedi nudi scivolavano lungo la gradinata ricoperta di neve, mi aggrappai alla robusta ringhiera in marmo, in cima alla ringhiera c’erano due putti in rame che sostenevano due lampioncini che emanavano una luce fioca e giallastra.

 

Mi ritrovai davanti alla sua lapide, poi guardai per l’ennesima volta la foto, era proprio bella Teresa, tra le mani stringeva un bouquet di rose... erano solo ricordi, caldi ricordi in una notte di ghiaccio.
Spolverai con le mani la statua sulla sua lapide, riapparve il volto di una vergine che piangeva seduta su di un ceppo con in mano una candela rossa accesa, anche se poco dopo la neve ne aveva gia ricoperto il volto.
Dietro alla statua vidi i pungenti rami degli arbusti di rosa, non davano segno di vita, erano secchi, non c’era né una gemma né un bocciolo.
Aspettai sotto la neve per quasi un quarto d’ora, ma le rose non erano ancora sbocciate, temevo che non sbocciassero più, mai più.

 

Le campane della chiesa vicino suonarono la mezzanotte.
Ero rannicchiato per terra tra la neve, e il freddo che mi era penetrato nelle ossa m’impediva di muovermi. Ero certo, anche se la neve cadeva fitta in quel momento vidi una gemma verde, due, tre e tante altre, spuntarono dei verdi rami colmi di foglie, arrivarono anche i boccioli, che per magia s’aprirono.
In quel momento meraviglioso mi dimenticai del cimitero, della morte di Teresa, del freddo e della neve, le rose erano al centro del mio pensiero.
Vidi i boccioli aprirsi lentamente tra i fiocchi di neve.
Mi sentivo felice, molto felice.

 

Le grandi rose erano di una perfezione assoluta, i petali erano perfetti, vellutati, senza una piega, erano di un colore rosso intenso che tendeva al bordeaux, quando un fiocco di neve cadeva su di un petalo si scioglieva immediatamente, e si trasformava in una piccola goccia d’acqua che brillava, sembrava rugiada.
Ero meravigliato dallo spettacolo, ma ora sentivo il corpo quasi completamente congelato, non riuscivo neanche a muovermi, e di lì non volevo andarmene.
Dopo un po’, le foglie cominciarono ad appassire e s’accartocciarono come carta per poi cadere a terra morte, i boccioli chiusi congelarono diventando di un colore bordeaux intenso, quasi nero, mentre le rose aperte cominciarono a perdere i rossi petali che caddero a terra sulla bianca neve come gocce di sangue.

 

Ad un certo punto sentii una mano calda sulla mia spalla destra, forse era Teresa...
Mi voltai, e vidi un uomo anziano, tutto bianco come la neve, con una lunga barba, anch’essa bianca, un pastorale in mano e un mazzo di chiavi al collo.
Tendendomi la sua mano mi disse:
“Hai gia sofferto abbastanza, vieni con me, dammi la mano che ti porto in paradiso!”

 

Faticosamente allungai una mano verso la sua, senti caldo dentro di me e finalmente mi sentii libero, libero dal dolore che provavo da molto tempo.
Poco dopo vidi il mio corpo congelato accasciarsi sulla lapide e a ricoprirsi lentamente di neve.
Potrei sbagliarmi, ma in quel momento vidi un sorriso sulla foto di Teresa.

Jonathan Della Giacoma