<< L’idea si era materializzata in un istante: l’ardita
associazione tra la vecchia e pesante chiave in ferro che avevo trovato svuotando il
cassetto di mia nonna qualche giorno dopo la sua morte e la cassapanca che da un ventennio
giaceva impolverata nella cantina della casa di campagna. Era appartenuta alla zia Tullia,
la sorella di mia nonna, ma nessuno era mai riuscito a scoprire cosa vi si nascondesse,
non avendo altro modo di aprirla se non facendone segare il coperchio. Ormai era diventata
un oggetto di arredamento passivo, inutile, e nessuno si era più chiesto per quale
assurdo motivo fosse ancora lì vent’anni dopo la morte della zia.
Ero chinata davanti alla cassapanca, stringendo in mano la chiave. Provai ad inserirla
nella fessura e a girarla. La serratura scattò. Non ero particolarmente emozionata... ero
sicura che avrei trovato all’interno solo vecchi abiti e forse qualche oggetto
ricordo che non avrei saputo interpretare. E infatti fu così.
L’odore di vecchio dei tessuti all’interno era nauseante, sapevano di marcio, di
putrido. Dovevano esservi stati riposti sporchi. La polvere che continuava a sollevarsi mi
bruciava occhi e gola.
Trovai alcune foto sul fondo, piccole e ingiallite, con i bordi seghettati. Dovevano avere
sessant’anni, forse più. Vecchie foto di famiglia, momenti importanti, matrimoni,
battesimi... impossibile per me riconoscere i personaggi, tranne mia nonna, quella ragazza
dallo sguardo fiero e severo, lo stesso sguardo duro che aveva ancora fino a pochi giorni
prima di morire. Arrivai ad individuare la zia Tullia per analogia, essendo di un paio di
anni più giovane della sorella e somigliandole vagamente.
Tra le foto trovai anche un foglio di carta quadrettato. Era un disegno a matita, un
bellissimo albero dal tronco dinoccolato e le foglie rade e allungate... sembrava un
ulivo. Nulla di più scontato, considerato che la casa di campagna era circondata da
centinaia di ulivi. Ma quello era davvero particolare... uno dei rami era cresciuto verso
il basso e le sue fronde sembravano conficcarsi nel terreno. Ripiegai il foglio e tornai
ad osservare le foto. Mi colpì vedere mia nonna e sua sorella da ragazze, vicine a
sorridenti, abbracciate, quando invece mia madre raccontava che si erano sempre odiate...
si diceva che avessero avuto un brutto litigio, ma nessuno sapeva di più. Qualunque cosa
fosse successa tra le due, di certo quando furono scattate quelle foto non era ancora
accaduta. Pensai fosse un vero peccato, perché, se avessi avuto la fortuna di avere una
sorella, l’avrei amata moltissimo... invece mia madre riuscì a mettere al mondo solo
me, dopo tre gravidanze andate male. Forse era un destino generazionale, visto che anche
mia nonna aveva avuto solo mia madre e con mille difficoltà. Pensai che invece la zia
Tullia era stata ancora più sfortunata: non aveva avuto figli, pur essendosi sposata tre
volte ed essendo per tre volte rimasta vedova.
Mi resi conto di essermi persa in questi pensieri mentre il mio stomaco reclamava cibo...
dovevano essere le due del pomeriggio e fuori faceva molto caldo.
Così pensai di andare a comprare un pezzo di focaccia in quel forno vicino alla casa di
campagna e mi incamminai a passo veloce per il vialetto.
Mi chiedevo cosa ci facesse la chiave della cassapanca della zia nel cassetto di mia
nonna, visto il rapporto difficile che c’era stato tra le due... poi pensai che la
nonna, dopo la morte della sorella, vi avesse guardato dentro e che, non avendo trovanto
nulla di importante, avesse ritenuto inutile mettere al corrente il resto della famiglia.
Trovai comunque strana la gelosia con cui mia nonna aveva conservato quella chiave...
l’aveva nascosta nel suo cassetto perché non fosse trovata, non prima della sua
morte.
Continuavo a camminare veloce tra gli ulivi, mente il sole forte e la fame mi facevano
girare la testa.
All’improvviso sentii i vagiti di un bambino... sembrava un pianto isterico. Cercai
intorno a me con lo sguardo ma non vidi nessuna mamma a passeggio con il suo neonato.
Dopo qualche metro lo stesso pianto, le stesse grida acute.
Sembravano provenire dalla mia destra.
Mi inoltrai una ventina di metri in quella direzione, abbandonando il vialetto e cercando,
nel silenzio della campagna, di seguire quello strano suono. Rimasi senza fiato quando,
alzando la testa, mi trovai di fronte all’ulivo del disegno. Doveva avere cento anni,
forse più, e il ramo piegato verso il basso non lasciava dubbi.
Il pianto del bambino non cessava, e, cosa assurda, sembrava provenire dalla terra...
proprio dal punto in cui le fronde del ramo piegato si infilavano nel terreno.
Mi avvicinai lentamente... pensai che qualche animale fosse rimasto intrappolato in una
tana proprio sotto la terra in quel punto. Allora senza pensarci troppo, presi un bastone
appuntito e cominciai a grattare via il terriccio, che si rivelava morbido, friabile e
sabbioso, completamente pervaso dalle foglie dell’ulivo che vi si inserivano
all’interno come radici, mentre tutto intorno era duro e compatto.
Scavai una trentina di centimetri quella che sembrava essere una buca. Tra la terra vidi
comparire un lembo di tessuto scuro e spesso.
Il cuore mi arrivò in gola. Asportai la terra sempre più velocemente, fino a riuscire ad
afferrare la stoffa che era piegata a contenere qualcosa, mentre i rametti-radice si
andavano ad insinuare proprio all’interno del fagotto.
Aprii l’involucro e rimasi senza parole.
Era un feto. Sembrava che l’ulivo lo avesse nutrito con la sua linfa impedendone la
putrefazione e la scheletrizzazione... era una femmina, e dalle lacerazioni sul corpicino
era evidente si fosse trattato di un aborto intenzionale, probabilmente al quinto mese,
forse al sesto.
Trattenni a stento i conati di vomito mentre la testa girava sempre più velocemente...
davanti ai miei occhi si formavano strani giochi di quadrettature bianche e nere... poi
tutto nero, solo nero.
Cominciai a sentire le due voci.
“Sei una svergognata! Ecco dove te ne andavi quando scomparivi la
notte... andavi da quel buono a nulla, a soddisfare le sue voglie! Nostro padre morirà di
dolore quando scoprirà che porti in grembo il figlio del peccato!”
“No, ti prego! Nostro padre non deve sapere nulla! Per l’amor di Dio, non
dirglielo!”
“In breve lo scopriranno tutti, non riuscirai a nascondere la tua pancia ancora a
lungo...”
“Dio santo, lo so... ma cosa posso fare? Lui non vuole sposarmi, dice che sarebbe una
vergogna per la sua famiglia...”
“Per la sua famiglia? Che sia maledetto! Sai che nessun altro uomo vorrà sposarti in
queste condizioni... figuriamoci se mettessi al mondo un figlio del peccato! “
“Ho pensato di scappare via... andrò lontano e lo crescerò da sola.”
“Devi essere pazza... e non pensi alla tua famiglia? A noi? Ai nostri genitori? Sai
che sarebbe una vergogna troppo grande da sopportare... tu prova ad allontanarti e
racconterò a tutti in che modo hai distrutto il nostro onore”
“Ci penso ogni istante e il tormento mi uccide... ti prego, per l’amor di Dio,
aiutami, aiutami tu!”
“C’è solo una cosa da fare... se vuoi il mio aiuto devi fare come ti dico,
senza ribellarti. E’ l’unico modo per salvare la situazione... altrimenti domani
stesso racconterò tutto a nostro padre. ”
“Non farlo, te ne prego! Dimmi... cos’è che vuoi fare?”
“Niente domande... siediti sul fieno. E smettila di piangere... muoviti!”
“Cosa vuoi fare? Che Dio mi aiuti! Cos’è quel ferro? No, ti prego, non puoi
farmi questo!”
“Smettila di gridare e ragiona una volta tanto! Apri le gambe e stringi questo panno
tra i denti...”
“Mio Dio, mi stai uccidendo! Piano, ti prego! Non farlo! Basta! Basta!”
“Finalmente hai ripreso conoscenza... non sforzarti di parlare
Tullia, sei troppo debole. Tutto è sistemato. Mi sono già liberata di quel piccolo
demonio.”
“Ma cosa dici Angela?! Che Dio ti perdoni... cosa hai fatto? Dov’è il mio
bambino?”
“L’ho sotterrato sotto l’ulivo col ramo storto. Ma quello che mi preoccupa
è che hai perso molto sangue... i tuoi vestiti ne sono pregni... domani li nasconderai
nella cassapanca.”
“Mio Dio! Ma cosa... cosa hai fatto? Maledetta... hai ucciso mio figlio...”
“Smettila di dire idiozie, sai che non c’era altra possibilità! E basta
piangere... ho salvato la reputazione e l’onore tuo e di tutta la famiglia...
dovresti essermene grata per il resto della tua vita”
“Essertene grata? Ma cosa stai dicendo? Tu hai ucciso una creatura innocente! Che tu
sia maledetta Angela! Che la tua generazione soffra quello che io sto soffrendo! Tu per
prima! E poi tua figlia, e la figlia di tua figlia... e ora vai via... non sei più nulla
per me... non esisti più!”
Mi risvegliai stesa a terra lungo il vialetto e mi resi conto di aver
perso i sensi. Dovevo aver urtato a terra con l’addome, perché mi sentivo
indolenzita e facevo fatica a rialzarmi. Trovai in effetti una brutta escoriazione sotto
l’ombelico e il bruciore sulla pelle era insopportabile, come anche il dolore
all’interno.
Da quel giorno cominciai a secernere dalle parti intime una sostanza biancastra e
maleodorante... e non ho più avuto il ciclo mestruale. Ho pensato di aver subito, a
seguito della caduta, una qualche lacerazione interna. E’ per questo che ho fatto
tutti gli accertamenti.
Ecco, dottoressa, le ho raccontato tutta la storia. Ma adesso la prego di dirmi per quale
motivo gli altri medici hanno voluto che mi sottoponessi a questa visita psichiatrica e
perché nessuno di loro ha voluto darmi l’esito degli esami.>>
<< Signorina... non so come sia possibile ma... dall’ecografia risulta che le sia strato strappato l’utero>>