Quando
l'uomo vestito di bianco la portò via il cielo diventò di piombo, e pianse lacrime nere.
Lavoravo in quell'albergo da così tanto tempo che ormai per me era come essere a casa.
Raccolgo le briciole di felicità che lasciate nelle stanze. Immagino le vostre vite e le
sogno, per vincere la tristezza, per non pensare. Per fuggire dalla mia.
Lei mi aveva dato molto di più. Mi aveva visto. Di solito sono invisibile. Mi aveva
parlato. Non lo fa mai nessuno. Quando se ne andò presi le chiavi della sua stanza - le
aveva lasciate sulla porta - : nessuno ci sarebbe mai più entrato. Solo io. Volevo
sentire ancora il suo profumo, immaginarla ancora seduta a scrivere o sdraiata sul letto.
Trovai in un cassetto della scrivania un blocco di fogli riempiti dalla sua vita e dai
suoi pensieri. Lo presi e lo portai via.
Leggevo ogni sera un brano del suo diario, una delle sue poesie. Vivevo il suo dolore, i
suoi sogni, le sue emozioni. Dopo, tornare nella sua stanza era sempre un'emozione nuova,
diversa, più profonda.
Il suo odore nella stanza diveniva più forte e acre ogni giorno che passava, alimentato
dall'assenza e dal desiderio di lei.
Un giorno scostai la tenda della doccia e la vidi. Sospesa a mezz'aria, la testa reclinata
sul petto. Non aveva il coraggio di guardarmi. Le tolsi quella vecchia corda sfilacciata
dal collo e la presi in braccio. La appoggiai sul letto e le accarezzai il viso. Adesso
sapevo dov'era andata.
Solo l'amore non vissuto può essere vero, incontaminato dalla miseria della
quotidianità.
Le ombre, allungandosi, mi stavano racchiudendo nel loro abbraccio. Era ora di andare.
Anche per me.
Nell'ambito del concorso del 2005, indetto da Bompiani e Arpanet, questo racconto è stato selezionato e premiato con la pubblicazione nell'antologia "Fermenti", edita da Arpanet, che ne detiene attualmente i diritti di pubblicazione.