Con questo racconto, narro la continuazione della vicende della dolce Amelia & Co. iniziate ne "Il sapore della ciliegia". La qui presente seconda parte è un racconto a sè stante, con un inizio ed una fine, e pertanto non dovrete leggere per forza il predecessore per capirlo appieno. Ma sarebbe bello se lo faceste.
L'ennesimo
rintocco delle campane fece trasalire Amelia.
Din...
Dio mio, parlano di noi. Di me!, sussurrò con una voce spezzata.
... don...
Tutti, tutti quanti! Ci guardano... ci criticano... sentenziano...
... dan.
Amelia? No... Ma che stai dicendo? Su, calmati. Calmo e riflessivo,
Peppino, da grande galantuomo qualera, sapeva come confortare la povera anima di una
donna in pena: abbracciandola, decantandole dolci parole allorecchio, accarezzandole
le pallide guance. Il brutto è che, quando si è fantasmi, insipidi spettri, materia
inconsistente e traslucida, tutte queste preoccupazioni lasciano il tempo che trovano. Oh,
i sentimenti ci sono, sempre presenti con la loro bagarre di brutte grane appresso e mai
qualcosa di confortante e piacevole, ma i trapassati hanno, come dire, la capacità di
prendere tutta alla leggerezza. Sono in grado di passarci sopra, con eleganza, su certi
avvenimenti, grazie a quel piccolo particolare legato alleternità che li
contraddistingue. Ovvio, come in tutte le cose, cè sempre leccezione, quel
qualcuno che non segue tale principio alla lettera. Più che altro perché non ne è
capace. Già, Amelia è proprio una di queste entità. E a causa di questo la sua vita
millenaria sarà per sempre sfregiata da un triste ricordo, insopportabile, doloroso.
Incancellabile è la parola più giusta. Laver osato tradire il marito Felice,
oramai tanti anni addietro, averlo affrontato in un simile modo, aver avuto la terribile
faccia tosta di cercare di tenere tutto nascosto, occultato, segreto, è la poco
auspicabile condanna eterna di Amelia. E una ricompensa (giusta?) per un tale atto
lha subito ricevuta da egli stesso in persona, nella forma di un coltello dalla lama
particolarmente affilata. Anche Peppino, reo solamente di aver amato e di
continuare ad amare la donna sbagliata, ha avuto modo di accogliere nel proprio
petto la furia del buon Felice. Ma poi viene il tempo, tante cose se le porta via, e piano
piano le cancella. Alcune lentamente, altre velocemente, ma poco importa, perché il suo
lavoro lo fa davvero molto bene. Niente da ridire, mai nessun reclamo.
Purtroppo, cè sempre qualcosa che non va, prima o poi. E così, adesso, Amelia si
ritrova ad avere unaltra croce sul petto, in mezzo a tutte quelle pugnalate che non
guariranno mai. Né dentro né fuori.
Din... don ... dan...
Maledette campane!
Rimorso, Peppino. Si chiama rimorso.
La situazione, delicata comera, rendeva agitato il fantasma del fu Peppino.
Rimorso... Maledizione Amelia. Ma a che situazione eravamo arrivati? Eh? Potevamo
continuare così?
NO!, sbottò lei, per poi ricomporsi. No, scusami. E che... Oddio,
potevamo scegliere unaltra strada. Potevamo andarcene noi. Sarebbe stato più
semplice, non credi?
Ma non dicevi così prima...
Ssst! Non interrompermi! Perché la colpa è anche tua! Se non tornavi, non sarebbe
successo questo casino... e no, per piacere, no! Non atteggiarti con me in questo modo,
capito? Siamo pur sempre ad un...
Din... don... dan...
Quelle campane! Se Livio non la finisce di farle suonare, io... Mi faranno
scoppiare la testa se non smettono! Scoppierò!
Amelia...
Peppino! Per favore! Puoi farle smettere? Eh? Puoi andare là e fermare quelle
stramaledettissime campane? Puoi? Ne sei capace? Dimmelo se puoi, perché ne sarei
contenta... Eh? Allora, puoi andare a dire gentilmente a Livio dove può infilarsele
quelle campane del piffero? La faresti per me?
Io...
E allora fai silenzio, maledizione, che non cè né mai abbastanza, con tutto
questo vociare qui intorno. Non peggiorare la situazione! Oh, diavolo! Ormai è troppo
tardi. Un attimo di pausa, giusto un secondo, per riprendere fiato e per passarsi
una mano sulla faccia. Oh, non è colpa tua... E solo che...
Che?
Mi guardano tutti! Con quegli occhi obliqui, socchiusi, interrogatori. Gli sguardi
di queste persone mi stanno uccidendo... Si infuriò per lespressione dubbiosa
di Peppino, e quindi sbuffò il suo disappunto: Beh, una seconda volta. Hai
ragione. Peppino rilassò il volto, e anche Amelia fece altrettanto. Poi continuò
con la sua arringa. Perché lo sanno. Lo vedo che lo sanno. Chi non se ne renderebbe
conto? Oh, solo uno stupido...
Din... don... dan...
Aaaah! E quelle campane! Ora vado da Livio e gliene dico quattro se non la
smette...
Dai, lascia stare il campanaro. Lui non centra, fece Peppino, amorevolmente.
In un modo o nellaltro, un simile tattica funzionava sempre in momenti del genere.
Quelle parole non si addicono alla tua voce. Già, voce, detestabile voce.
Detestabile sensualità. Peppino ed il suo essere così elegante. Sì, funzionava sempre,
in qualsiasi momento, accidenti a lui! Su, Amelia, continuò lui, passionale e
sentito, si tratta solo di un momento passeggero. Presto capirai che non cera
altro modo.
Grottescamente abbracciati, poi, mossero i loro occhi verso lattrazione di quel buio
pomeriggio. Attrazione... beh, se tutta quella gente era lì, si poteva classificare anche
in questo modo, senza alcun rimpianto. Se Felice fosse stato presente, almeno da vivo, gli
sarebbe piaciuto sentire un simile termine. Lo avrebbe trovato sicuramente azzeccato per
uno come lui. E no, non avrebbe affatto gradito la presenza del Vecchio Zorro dietro
laltare, a dire tutte quelle preghiere, a ricordare quanto Felice era stato un buon
uomo, un bravo marito, eccetera eccetera. Ah, la chiesa e quelle vecchie grane difficili
da mandar giù. Ma il parroco era lui, e non si poteva fare altrimenti. Se solo Felice
fosse stato almeno avvisato che la sua vita non sarebbe stata poi così tanto lunga
ancora...
Il prete diede la benedizione finale frettolosamente, e poi la pioggia, che aveva
aspettato pazientemente il momento più opportuno e propizio, cadde su tutti i presenti.
Ghignavano, le beffarde gocce. I più previdenti alzarono prontamente i loro ombrelli a
tema, neri come la notte che di lì a poco avrebbe scacciato la fievole luce che filtrava
dai nuvoloni grigi; tutti gli altri si avviarono verso il grande e vecchio cancello del
cimitero, proteggendosi come meglio potevano.
E tutti passarono attraverso i due amanti. Nessuno se ne accorse, ovviamente, ma per
Amelia questo non bastava. Daltronde, i due fantasmi erano lì in mezzo, non
centrarli era un po come, giusto per restare in tema, non riuscire a seppellire una
margherita in una fossa larga tre metri.
Lo vedi? Santo cielo, Peppino, come fai a non accorgertene? E vedendo che
lamante non si scomponeva, decise che avrebbe dato lei stessa una risposta alla sua
domanda. Insomma, mica devono venire a dircelo in faccia! Oh! Non devono per forza
sbraitarci addosso dandoci la colpa! E no, non aprire bocca, lasciami finire! E...
Qualche istante di silenzio, giusto per assaporare levanescente sensazione di... ma
di che cosa, poi? Beh, che hai da guardarmi così? Dai, allora, dimmi tu cosa ne
pensi.
Peppino avrebbe voluto dire che lo sguardo della piccola folla era rivolto solamente e
nientaltro che verso il cancello color ruggine, la cui unica colpa era quella di
trovarsi dietro di loro. Cavolo, nessun giudizio, nessun ammonimento, ma la semplice e
quasi banale realtà. Che diavolo, ma che gliene importava di due fantasmi a tutte quelle
persone, quando il loro unico pensiero, dopo un triste e piangente funerale, era quello di
scappare a casa perché altrimenti si sarebbero inzuppate dacqua? Ed il fatto che
fossero invisibili dove lo metteva? Piccolo appunto: rinfrescarle la memoria, ricordarle
che cera un motivo, una spiegazione per cui entrambi si trovavano in quello stato,
dopotutto. Che forse, anche se tutto sommato era una brutta parola, vendetta non suonava
tanto male, in quel momento... Ecco, questo era quello che pensava, e glielo avrebbe
voluto dire, ma preferì il silenzio. Giusta scelta, anche qui. Funzionò.
Passarono il sindaco Mario, grande amico di Felice, nonché suo acerrimo nemico in fatto
di bocce, quindi Agostino, il becchino, compagno prima di giochi, poi di bevute e quindi
di... si potrebbe dire consigli sullarredamento; ed ancora Giorgino, il primissimo
fidanzatino di Amelia, risalente ad un tempo in cui... beh, chi si ricorda più? Ed
Anselmo e consorte, nonostante il lutto che aveva sconvolto la loro tranquilla famigliola,
qualche mese addietro; Ida e Pia, sempre assieme, con le orecchie tese e pronte a ricevere
qualsiasi commento buono ad essere ingigantito a dismisura e poi fatto circolare senza
pietà; suo figlio con la fidanzata Arianna, preceduta dallo splendore luminescente che
portava al collo, ultimo ricordo della pensione di papà Felice; ed infine il parroco
stesso, Vecchio Zorro ormai per grandi e piccini, che in effetti aveva una strana
espressione in volto, ma era solo perché quel teppistello di Marchetto gli aveva rubato
di nuovo il copricapo... Ah, ma se lo beccava, quel ragazzaccio...
Ma nessuno, nessuno!, si soffermò a guardare Amelia. Né tantomeno giudicarla. Solo una
fissazione, nientaltro.
Eppure...
Zefirino, già, quel vecchio pazzo che blaterava di aver trovato un pentolone ricolmo di
monete doro sulla collina dietro il paese, incrociò gli occhi tristi e stanchi di
Peppino. Sì, il fantasma ne era sicuro. Possibile che potesse vederlo? Possibile che ne
potesse percepire la presenza ultraterrena? No, ma... Non cera nessuna ma,
cera solo uno sguardo da affrontare, da reggere, e Peppino, chiamato a sorpresa in
causa, resse il confronto con le stanche pupille nocciola del vecchio bugiardo. Quegli
occhi obliqui, socchiusi, interrogatori, santo cielo!, proprio come diceva Amelia.
Durò qualche istante, e Amelia sicuramente se ne accorse ma non disse niente,
forse perché troppo impegnata a pensare a come spaventare Livio il campanaro ed indurlo a
fermarsi con quellinsostenibile susseguirsi di rintocchi poi anche Zefirino
uscì con passo veloce dal cimitero, lasciando in ricordo un gran bel punto di domanda
nella mente di Peppino.
Torniamo a casa, và, disse allamante, per poi pentirsi di aver usato un
simile termine. Casa... Patria dei ricordi, guarda caso solamente tristi e dolorosi. Ma
Amelia non disse niente, neanche per rispondere allultimo rintocco delle campane,
che finalmente sanciva la fine di tutto.
Ma perché?, chiese invece Amelia, tornata alla normalità, dopo la sfuriata
di prima. Perché ha iniziato a fare così? A comportarsi in quel modo? Oh, Peppino,
tu lo sai perché?
Ahi, come stuzzicare una ferita ancora aperta... Povero Felice, sempre più schiavo di
quella grappa alla ciliegia che sembrava lunico modo per estraniarsi da ciò che lo
circondava. Che questo rispondesse al nome di ricordi, avvenimenti o fantasmi, poco
importava. Limportante era cercare di... guarire? E poi il ritorno inaspettato di
Peppino, la confusione, le domande, la gelosia crescente, la pazzia, la furia
inarrestabile, le terribili parole tagliente tramite le quali solamente lui era in grado
di ferire un fantasma. Anzi, due. Era bravo Felice, a far star male una persona, quando ci
si metteva. Che poi quella persona fosse già morta, poco importava. Ma
lesagerazione, maledetta esagerazione, prima o poi doveva essere fermata, perché
lostacolo, il limite, lo trova sempre. Che la morte fosse lunica soluzione,
beh, questo restava un fatto su cui si potrebbe discutere molto a lungo, ma ormai non si
poteva tornare indietro. Era bastata una spinta, una leggera spinta, e Felice si era
ritrovato giù dalle scale con il collo spezzato. Non era stata così veloce ed indolore
come si erano prefissati gli amanti trasparenti, ma non era che avessero poi altre facili
scelte. Ah, è vero, Peppino e Amelia sono pur sempre fantasmi, ma la concentrazione può
portare a grandi risultati. Anzi, grandissimi, per quanto piccoli possano sembrare. E la
volontà è una grande alleata, in questi casi...
Ma una volta a casa, Peppino e Amelia non si sarebbero proprio aspettati di trovare quei
cocci di vetro a terra, quellodore pungente di liquore...
Non ci furono parole per i due amanti, ma solo un indescrivibile sentimento di rabbia e
resa alla stesso tempo, che cresceva, cresceva...
Con occhi spenti e smorfie di sconfitta appresero ciò a cui non avevano mai osato
pensare. Eppure era così elementare, così banale, così... ovvio...
Quando uscì dalla cucina e lo videro, deglutirono amaramente. Beh, se avessero avuto
saliva, lo avrebbero fatto di sicuro.
Allora, non mi date il benvenuto?, li accolse, sorridente, lo spettro di
Felice.