Buonanotte, Pal

Christian guardò le carte con distacco, come fossero la Gazzetta. Le richiuse, raccolse la sigaretta dal posacenere e diede un lungo tiro.
"Vedo" disse sbuffando una nuvoletta di fumo. Aprì le carte sul tavolo: una donna, un asso e tre re.
Dave lo fissava con un sorriso strafottente, un gomito appoggiato al tavolo e la testa reclinata sul palmo della mano. Scoprì le sue carte con un gesto secco: tre jack e due donne. Christian bestemmiò e si prese il viso tra le mani.
"Direi che la serata è finita" disse Dave "Bisogna pagare i debiti."
Christian, guardando fisso per terra, cominciò a parlare.

 

Pal si piegò in avanti e vomitò. Appoggiò la schiena al palo della luce e respirò profondamente, giurando che quella era l'ultima volta che beveva sambuca in vita sua. Si costrinse a mettere un piede davanti all'altro, dovendoci pensare sopra ogni volta. Camminava e guardava la strada solo ogni tanto, quando riusciva a tenere gli occhi aperti. Qualche metro più avanti inciampò e crollò sulla ghiaia. Le botte sulle ginocchia e sulle mani le sentì appena. Cercò di lottare contro la stanchezza, ma era un combattimento squilibrato, come fare a pugni con Tyson. E, infatti, finì subito al tappeto.
Quando si svegliò sentì un puzzo così forte che credé di essersi cagato addosso. Cercò di rigirarsi, ma non si riuscì a muovere: qualcosa di freddo e pesante lo schiacciava a terra.
Il cuore di Pal saltò un battito: c'era qualcuno sdraiato su di lui. Gli occhi di un viso ovale, bianco e flaccido, lo guardavano disperati. La sua pelle era attraversata da un intrico di vene nere e pulsanti. Lo sconosciuto si mosse sopra di lui, lento, e spalancò una bocca senza labbra:
Ah... ah.. .ahiuto...
Il lezzo gli rivoltò lo stomaco. Le mani dell'essere si strinsero sulle sue spalle: erano fredde, come la gomma. La nausea diventò così soffocante non riuscì nemmeno ad urlare.
Sentì il motore di un'auto avvicinarsi e la luce dei fari li illuminò per un attimo. Poi, attorno a Pal, divenne tutto nero.
Il rumore della ghiaia schiacciata dalle ruote. L'auto spenta. Le portiere sbattute.
"Merda! E adesso?"
"Certo ne ha fatta di strada."
"Chiamiamo l'ambulanza e andiamocene!"
"Ma sei coglione? Se lo trovano così scoppia un casino."
"E allora?"
"Carichiamolo in macchina, poi vedremo."
"E Pal?"
"Non si ricorda neanche il suo nome: non sarà un problema."
"Va bene, ma sbrighiamoci!"
"Buonanotte, Pal."

 

"Posso offrire una sambuca?"
Pal alzò gli occhi dal giornale. Era uno dei ragazzi del bar: lo aveva visto ieri sera? Ritornò a leggere la pagina dello sport con un grugnito e lo spiritosone se ne andò via sghignazzando.
Un mal di testa così Pal non lo aveva mai sentito. Ce l'aveva da quando si era svegliato, vestito e sporco di vomito, nel suo letto. Tutta l'esperienza ed i rimedi popolari non erano riusciti a liberarlo dal cerchio alla testa. Il caffé, il latte, il bicchierino del giorno dopo, l'uovo: tutto quello che aveva ottenuto erano stati un paio di conati e un'emicrania più forte. Intanto erano arrivate le tre del pomeriggio e lui era ancora lì, al bar di Monteombroso, a reggersi la testa e a sentirsi una nullità.
Sentì dei passi sull'assito della veranda: era Valeria. Pal non era mai impazzito per lei, con il suo culone e le sue arie da modella; da quando stava assieme a Christian, poi, la sua opinione era tracollata. Ritornò ad occuparsi della partita dell'Inter: tanto non si salutavano nemmeno per strada.
Ad un tratto se la ritrovò seduta accanto. Aveva lo sguardo perso, fisso da qualche parte sul tavolino.
"Va tutto bene?" chiese Pal.
Lei si girò verso di lui, stizzita. "Ah, allora ti sei accorto che esisto!"
"Valeria, per l'amor del cielo, ho la testa che mi scoppia. Cosa..."
Non lo fece finire: lo prese per un braccio e lo trascinò fuori.
"Ma cosa fai?"
"Vieni..."
"Ma... non ho ancora pagato..."
Non ci furono santi: tirò tanto che lo portò fino alla panchina dei giardini pubblici. Il sole cadeva diritto come un piombo. Quando si sedettero Pal dovette chiudere gli occhi e respirare. Li riaprì, e Valeria stava piangendo. Rimase imbambolato a fissarla.
Lei lo guardò. "Ma non capisci proprio un cazzo!" Poi nascose il viso sul petto di lui e ricominciò a singhiozzare.
"Valeria... cosa...?"
"Paolo..."
"Tuo fratello?"
Fece di sì con la testa.
Qualcosa affiorò dai ricordi ovattati di Pal.
"Cosa... gli è successo?"
"L'hanno trovato in un fosso, questa mattina..."
La faccia simpatica di Paolo: le guance tonde, gli occhi verdi e sorridenti. Un volto gonfio e pallido, sfigurato da una rete di vene nere. Il ricordo del mostro riemerse dall'ubriacatura e Pal si rese conto di quanto si somigliassero. I denti cominciarono a tremargli.
"Chi l'ha trovato?"
"Dave... al pronto soccorso hanno detto... che sono state delle pasticche..."
"In un fosso..."

 

Pal bevve un sorso e fece una smorfia. La birra era diventata calda, ormai: era da un'ora che se la rigirava tra le mani.
I passi pesanti di Yuri si avvicinarono al suo tavolino. Due metri di barista lo guardarono tenendosi la schiena con le mani.
"Non bevi mica stasera, Raffaele?"
Pal scosse la testa. "No. Mi sa che vado a letto. Sono stanco."
Yuri sorrise e gli appoggiò una manata sul collo, poi se ne tornò placidamente dietro al bancone.
Erano le dieci e dal bar era già passata un sacco di gente: chi a comprare le sigarette, chi a fare aperitivo. Nessuno ne aveva parlato. Per quanto la facessero sembrare una serata come le altre, il funerale di Paolo aveva annodato lo stomaco di tutti.
Alla cerimonia c'era mezzo paese. Mancavano solo Christian ed il suo compagno di bevute Davide, per tutti Dave. Le voci di paese avevano già cominciato a correre: del resto l'assenza di Christian sarebbe stata giusto meno evidente di quella del parroco. Valeria era stata tutto il tempo accanto alla bara, sola, senza mai piangere.
Pal non era riuscito a non andare a vedere Paolo, prima che lo chiudessero. Era quello di sempre, il viso tondo e simpatico: sembrava quasi dormisse. Di vene nere non c'era traccia.
Un rumore interruppe bruscamente i suoi pensieri. Una macchina arrivò nella piazza di Monteombroso ad una velocità folle. L'autista inchiodò di fronte al bar e scese sbattendo la portiera. Era Christian.
Entrò nella veranda a grandi passi e tutti si voltarono verso di lui. Pal se lo trovò di fronte.
"COSA LE HAI DETTO!?" gli sbraitò contro.
Pal cominciò ad avere caldo. Per un attimo gli sembrò di vedere un'ombra scura sulla fronte dell'altro.
"Detto a chi?"
Christian diede una manata al suo bicchiere, che si fracassò per terra. Un brusio si levò dai tavoli vicini.
"NON FARE LO STRONZO! A VALERIA! CHE CAZZO LE HAI DETTO!?"
"Niente, cosa dovrei..."
Christian lo prese per la maglietta. I loro nasi potevano quasi toccarsi.
"NON STAVI DORMENDO, VERO? HAI VISTO TUTTO! MA SE LE HAI RACCONTATO QUALCOSA TI AMMAZZO! CAPITO? TI UCCIDO!"
Lo spintonò e Pal finì sul pavimento. Christian gli fu subito sopra e gli strinse le mani attorno al collo. Pal sentì i pollici spingere sulla gola.
Improvvisamente le mani lo lasciarono. Pal tossì così forte che gli fecero male le spalle. Quando riuscì a guardarsi attorno, vide un sacco di facce terrorizzate.
"Come va?"
"Non state lì così ammassati!"
"Chiamate un'ambulanza!"
Un'illuminazione cadde su Pal, pesante come un mattone: la voce di Christian. Erano lui e Dave che aveva sentito prima di addormentarsi, l'altra notte. I ricordi si fecero strada in mezzo alla sambuca: loro tre erano stati gli ultimi a vedere Paolo da vivo. E non erano in un fosso.
Due pensionati lo aiutarono a rialzarsi. Pal si mise a sedere su una panca e si passò le mani tra i capelli. Il cuore gli batteva in gola.
Yuri si fece largo tra i clienti. Un bozzo rosso gli stava fiorendo sotto un occhio.
"Come stai?"
"Hai un occhio nero."
"Ròba da ninta. Non è mica il primo che butto fuori dal bar."
"Mettici del ghiaccio..."
Yuri sorrise e se ne andò verso il bagno. Pal mise il viso tra le mani e si rese conto di avere la faccia coperta del suo moccio. Prese un fazzoletto di carta che qualcuno gli porse e cercò di ripulirsi alla meglio.
"Grazie"
"Prendine un altro: fai ancora schifo"
Pal alzò la testa: era Valeria.

 

"Perché ti chiamano Pal?"
"Di cognome faccio Pallotti. Hanno cominciato a chiamarmi così alle medie."
Erano le prime parole che si dicevano da quando erano saliti in macchina, in paese. La guida di Valeria era terribile: prendeva le curve senza rallentare e le gomme fischiavano ad ogni tornante. Ogni tanto il posteriore della Clio sbandava e Pal iniziava ad immaginare l'auto che usciva di strada, rotolava nel burrone ed esplodeva, come in un episodio di Magnum P.I.
Pal si decise a chiederglielo.
"Dove stiamo andando?"
"A casa di Christian"
"E perché?"
"Voglio sapere cos'hanno fatto a Paolo. Non si era mai neanche fumato una canna, figurati farsi di pasticche! L'hanno convinto loro."
"E io che c'entro?"
"Avevo paura ad andare da sola."
Pal guardò la carreggiata che filava via a zig-zag, illuminata dai fari della macchina. Non ebbe il coraggio di litigare.
Senza mai frenare si infilarono in un bosco. Dopo neanche cento metri di strada bianca Valeria si fermò e spense il motore. Il sentiero si era aperto in un cortile: c'era una casa a due piani, con l'auto di Christian parcheggiata di fronte. Una sola luce accesa, al piano terreno. Lei scese, senza dire una parola.
Pal la seguì. Non riuscì a preoccuparsi di come avrebbero reagito due spacciatori da quattro soldi accusati di omicidio che Valeria aveva già cominciato a gridare.
"SONO VALERIA! APRITE! ADESSO DOVETE DIRMI COSA GLI AVETE FATTO, STRONZI!"
Silenzio.
Pal si avvicinò alla porta della casa e spinse. L'uscio si socchiuse. Valeria entrò filata, come una furia. La seguì: si addentrò in un pianerottolo stretto, rischiarato appena dalla luce che proveniva da una stanza, in fondo a destra.
"E' INUTILE CHE FATE I COGLIONI..."
Valeria s'impietrì davanti alla soglia illuminata. Pal la raggiunse e guardò dentro, da sopra le sue spalle.
Era una piccola cucina, con al centro un tavolo. Sul pavimento, seduto con la schiena appoggiata al muro, c'era Christian. La sua pelle aveva un colorito innaturale, nerastro. Una scia rossa, che gli impiastricciava i capelli, percorreva la parete in corrispondenza della sua testa. Sul tavolo c'era una bottiglia di plastica, piena per metà di un qualcosa di scuro.
Dave era sdraiato lì accanto. Il suo respiro era ridotto ad un fischio stridulo, scosso da una tosse catarrosa. Le sue vene erano gonfie di sangue nero. Lentamente girò la testa verso di loro.
"Mi tocca di vederti anche prima di crepare... Pal..."
Pal fece qualche passo avanti. Gli tremavano le ginocchia.
"Dave..."
"Non c'è più niente da fare... Christian l'aveva detto... che era pericoloso..."
"Sei stato tu?"
"La broda... l'aveva fatto uscire di testa..."
"QUELLA CHE AVETE DATO A PAOLO, VERO!?" strillò Valeria.
Dave fece una risatina tisica.
"Era un segreto di famiglia... e Christian se l'è perso a poker... era già da un pezzo che la prendeva, lui... è una bomba, sai? Peccato che duri poco..."
"Ma... cos'è?"
Dave guardò Pal, malizioso. Scosse il mento, come per indicare qualcosa alle sue spalle.
"E' là... magari è ancora vivo..."
Pal scostò Valeria e ritornò nel pianerottolo. Di fronte c'era un'altra porta. Afferrò la maniglia e l'aprì. La stanza era buia. C'era un rumore soffocato, come un sospiro. Cercò un interruttore e lo fece scattare.
Una creatura indescrivibile, dalla pelle nera e lucida come un sacco della spazzatura, era stata inchiodata ad un tavolo con dei paletti da campeggio. Da una delle sue narici spuntava un tubo di gomma che gocciolava un liquido scuro. Attorno c'erano bicchieri di plastica sporchi e bottiglie piene di quella roba.
Pal spense la luce ed uscì, richiudendosi la porta alle spalle. Valeria lo guardava da dentro la cucina.
"Cosa c'è là dentro?"
Pal guardò Dave. La tosse stava diventando sempre più convulsa.
"Niente. Non c'è niente. Andiamocene."

Andrea Cioni