Aveva immaginato la stanza più grande, invece entrando grattò persino gli stipiti con i fianchi giganteschi. Scaglie di vernice secca smisero di essere rughe sollevate sul legno e si sbriciolarono sul pavimento.
L'addetto alle sue spalle gli disse: - Non si preoccupi.
La luce veniva da due applique in ferro battuto sulla carta da parati verde e oro puntinata di muffa, ammorbidita dai secoli.
Sul letto, anch'esso in ferro, c'era un materasso avvolto in un lenzuolo pulito. L'odore chimico del detersivo lottava con quello dei residui biologici dei muri, raggrumati in un profumo di cartone umido.
Damiano sedette sul letto di quel bordello vecchio di due secoli. Il grasso della pancia gli risalì fino allo sterno come se volesse spremergli nel cuore tutto il colesterolo presente nei suoi centosettanta chili. Ansimò sbuffando.
- Questo non lo faccia mai - gli ricordò l'addetto. Tagliò venti centimetri di nastro adesivo rinforzato.
- Si ricordi. Non dica niente. Non dimostri piacere. Se viene troppo presto riprenotiamo una nuova seduta.
Damiano annuì e la pappagorgia vibrò appena.
L'addetto gli appiccicò il nastro sulla bocca e uscì tirandosi dietro la porta con un clic sabbioso di ferro arrugginito.
Damiano si sfilò i boxer a fatica. Si sdraiò provando a soffiare lo sforzo dalla bocca tappata, che però gonfiò solo le guance, e l'aria uscì a fatica dal naso. La sua pancia era una luna bianca che eclissava da decenni il pene, nascosto nelle pieghe molli del pube.
Respirò più in fretta quando la scheletrizzatrice si condensò nella stanza, unendo i residui biologici sedimentatisi tra le mura. Era magra. Le si contavano le costole. I seni erano sacche che si allungavano fin sotto lo sterno, ma gli occhi erano iridescenti e bellissimi.
Salì sul letto carponi. Le ginocchia appuntite affondavano nel materasso, ma fu la sua testa ad affondare nel pube di Damiano, invisibile dietro la pancia di luna.
Damiano ritrovò una rigidità dimenticata, minuscola, ma percepibile. A ogni affondo, le labbra della scheletrizzatrice succhiavano il grasso scovando centimetri sepolti. La pancia si ridusse, il pene uscì dal suo letargo venato di gloria, lucidato dalle labbra di quell'entità desiderosa di grassi.
Damiano venne presto, in modo rabbioso, di nuovo magro, ancora maschio. Soffiò forte dalla bocca, e l'aria e il nastro produssero questa volta un sibilo pungente.
Il volto della scheletrizzatrice uscì dalle gambe di Damiano. Gli occhi erano arcobaleni. Il corpo aveva assimilato i grassi, i seni erano gonfi, i fianchi masse golose da stringere. Risalì il bacino di Damiano e aprì le gambe. Lui sentì il pene come una treccia di cuoio di nuovo tesa. Una potenza da esibire, una rinascita.
Si strappò il nastro dalla bocca e urlò forte tutti i suoi decenni di privazione. La scheletrizzatrice lo montò, calda, asciugandogli il resto dei grassi, poi le fasce muscolari stracciate in fibre rosse, quindi marroni, poi dure, seccate dal piacere che Damiano sentì scheletrirsi per sempre.
Sergio Donato è nato nel 1975. Pugliese di nascita, emiliano di adozione. Ha esordito pubblicando racconti in numerose riviste e pubblicazioni online, tra le quali “Robot”, “Writers Magazine Italia”, “Fantascienza.com”, “Horror Magazine” e “Thriller Magazine” per Delos Books. Con i suoi racconti ha partecipato a diverse raccolte pubblicate in “Urania” (Collezione n. 115, 2012) e “Classici del Giallo” (Classici n. 1322 e n. 1333, 2013) per Mondadori.