Lo specchio d’acqua era una pozza verdognola. Sulla superficie galleggiava una coltre di erbe. Le radici si estendevano sotto le foglie lucide, creando un nido intricato.
La palla galleggiava quasi al centro del lago, ruotando appena su se stessa. Una sfera rossa in mezzo al nulla, il naso di un clown che emergeva a pelo d’acqua, come se appena sotto la superficie ci fosse un enorme pagliaccio che trattenesse il fiato.
Se il clown fosse morto, non se ne starebbe certo a pancia in su, si rassicurò. Quando avevano trovato il corpo della nonna galleggiava a pancia sotto, così diceva Martina.
Davide cercò di non pensarci, non ora che aveva tolto scarpe e calzini.
Afferrò il bastone, trattenne il respiro e mise i piedi nell’acqua; il fondo melmoso si infilò tra le dita, per un istante gli sembrò di sprofondare. L’acqua era così torbida da non vedere nulla.
La palla si mosse, sfiorata dal bastone, ma nella direzione sbagliata.
Di nuovo cercò di raggiungerla.
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A un tratto il bastone gli saltò tra le mani; qualcosa era emerso sullo sfondo, alle spalle della sfera rossa. Un’immagine quasi identica, una sorta di doppio grigio e smorto.
La cosa iniziò lentamente ad avanzare tra le onde increspate, sospingendo la palla nella sua direzione.
Non poteva essere la nonna, sepolta nel cimitero, ma come lei aveva due seni svuotati, disegnati sotto la veste scura, e lunghi capelli ai lati del volto smagrito.
L’odore paludoso gli rotolò sul palato.
«Nonna...» disse con un filo di voce. Era quasi certo che la donna stesse sorridendo. Le labbra erano tirate verso l’alto, a sfiorare gli zigomi ossuti, poi sollevò un dito scheletrico. Davide pensò che stesse indicando la casa, ma si sbagliava.
Ne ebbe la certezza quando, tra il gorgoglio dell’acqua la sentì pronunciare il suo nome.
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