Passeggio da
solo per la strada, contando i passi nella maniera in cui li contano i
militari.
Un-due, un-due, un-due...
La cadenza mi ha sempre affascinato.
Stringo tra le mani il mio M-16, è pesante. Non sono mai stato un fan delle
armi, ma tenerlo avvinghiato mi infonde un senso di tepore senza pari. Forse
è per questo che gli uomini hanno iniziato a costruire armi e a scannarsi
tra loro; per il tepore che quest’ultime sanno darti. Uccidere è solo la
logica conseguenza.
Un-due, un-due, un-due. Alt!
Mi fermo davanti a una porta, il mio sguardo è carico d’odio. I bastardi
lì dentro hanno portato via tutto quello a cui tenevo: i miei amici, mia
moglie, mia figlia. Tutti lasciati decomporsi in qualche angolo di strada.
E ora sono all’interno, ci tornano ogni notte, li ho osservati bene.
Resto per un po’ immobile là davanti, un barlume di coscienza mi colpisce;
una volta loro erano come me, prima dell’epidemia che ha sconvolto tutto
quanto.
Come diceva il personaggio di quel film?
“Quando i morti camminano, signori, bisogna smettere di uccidere.
Altrimenti si perde la guerra”.
Parole sante.
La prima scarica di pallottole sventra con facilità la porta già logora dal
tempo, la seconda pensa agli occupanti dello stabile.
È più semplice di quanto pensassi: non hanno il tempo di fare niente, non se
l’aspettavano, non da me. Mi guardano stupiti e cadono sotto i colpi bene
assestati.
Mi fermo e sorrido, il tutto è durato meno di venti secondi.
Mostri schifosi.
Lascio cadere l’arma e mi avvicino alla carneficina, mi inginocchio e
incomincio a gustarmi quel delizioso banchetto.
“Quando i morti risorgono bisogna smettere di uccidere.” Questo vale
per i vivi. Non per un morto che, scherzo del destino, ha conservato l’uso
della ragione.