"Complimenti, signorina... Signorina?"
"Gorian. Vanessa Gorian, dottore"
"Oh, sì! Gorian... Gorian... E' straniera?"
"No, veneta. Vengo da Mestre."
"Ah, accidenti! Veneta. Regione stupenda il Veneto. Ecco, mi lasci dire che lei è la
migliore assistente che abbia mai
avuto! Precisa, attenta e sopratutto molto pratica. Si sta anche laureando, vero?"
"Sì, ho quasi finito. Mi manca un esame e poi la tesi."
"Magnifico! Già molti miei colleghi elogiano le sue doti. So che in passato ha
lavorato presso grandi ospedali. Addirittura in reparti difficili."
"Ho lavorato per un anno al San Raffaele di Milano e per tre al Gaslini di Genova,
nel reparto di cardiologia. A Milano ero assistente del Dottor Della Corte."
"Oh, Della Corte! Sì, sì lo conosco! Ottimo medico, grande esperienza: signorina
Gorian... Lei è impareggiabile! " - ci fu un guizzo laido nello sguardo del dottore.
La ragazza lo notò e, senza scomporsi, ribattè: "Scusi, ma adesso devo andare. Alle
22,00 comincio il turno di notte."
"Anche il turno di notte? Giovane, bella ed inesauribile! Vada, vada Vanessa e
ricordi che, se in futuro, avrà bisogno di referenze, potrà contare sul buon vecchio
dottor Terzani!" - di nuovo un sorrisetto lascivo si allargò pian piano sul volto
grasso e sudato del chirurgo. L'infermiera, ringraziando, si avviò a passo svelto verso
gli ascensori. Uscì dall'ospedale e respirò a pieni polmoni l'aria gelida: era
stanchissima ed aveva una tremenda emicrania.
Cinque ore filate di sala operatoria, l'intervento difficile, le occhiate libidinose di
Terzani e poi, per finire, un'altra notte di servizio... Ma era questa la professione che
aveva sempre voluto e che gli stava dando grandi soddisfazioni.
Verso le tre di notte la porta della camera si aprì lentamente ed una
figura affusolata penetrò nella stanza. Da fuori
filtrava l'incerto bagliore di uno spicchio di luna mentre gli alberi scheletrici erano
tormentati da un vento insistente.
L'ombra si arrestò in prossimità dell'unico letto occupato ove riposava una vecchia
signora. Ottant'anni, forse più. La poveretta, stringendo le coperte, gemeva penosamente
nel sonno. La figura indugiò un istante poi accese una piccola torcia elettrica per poter
leggere la cartella clinica, posta ai piedi del letto: "Cancro allo stomaco con
metastasi... Mio Dio, che supplizio, signora De Caro!" - sussurrò con voce commossa
l'oscuro personaggio - "Perchè vogliono allugarle l'agonia? Ha già dato tanto ed è
giusto che ora riposi. All'egoismo si risponde soltanto con la misericordia!"
Subito la luce si spostò sul contenitore della flebo appeso al piedistallo e la mano
guantata della figura, per mezzo di una una piccola siringa, vi iniettò qualcosa.
Passarono alcuni minuti poi l'anziana signora sussultò improvvisamente, emise un breve
rantolo e spirò reclinando la testa verso il misterioso assassino. Questi, dopo un lieve
sospiro, si chinò sulla salma e la baciò con delicatezza.
...
"Ciao Davide. In pausa anche tu?"
"Ciao Vanessa! Eh, beh... Al mattino mi sveglio solo dopo il terzo caffè. A
proposito la sai l'ultima?"
"No. Cos'è successo?"
"Stanotte. Alla numero 31 del reparto di onocologia. La signora De Caro è
morta."
"E' stato il cancro allo stomaco che l'ha finita."
"Come sai che la De Caro aveva un cancro allo stomaco?"
"Ne ho sentito parlare. Stanotte ero di turno al piano superiore... In
neurologia"
"Ah... Comunque pare che la causa sia stato uno scompenso cardiaco. D'altronde in
quello stato, qualsiasi cosa poteva esserle fatale. I familiari, però, non sono convinti:
vorrebbero aprire un'inchiesta."
"Sulla morte di un malato terminale? Cosa pensano di scoprire?"
"Troppi decessi 'anomali'. C'è chi pensa addirittura ad un serial killer in
corsia!"
"In un ospedale come questo? Bah, improbabile... Torno al lavoro! Ciao, Davide ci
vediamo!"
La ragazza si congedò dal collega rientrando nel suo reparto. Quella mattina aveva molto
lavoro da sbrigare e nel primo pomeriggio l'attendeva una lezione in facoltà.
Alle tredici in punto, uscì dall'ospedale per il pranzo; a parte il continuo mal di
testa, Vanessa si sentiva tranquilla e
soddisfatta.
Salì in auto, togliendosi la cuffietta dell'uniforme. Aprì il cassetto del cruscotto in
cerca delle pillole per l'emicrania e, dopo aver frugato fra mille oggetti, le trovò
proprio dietro ai guanti e alla siringa che aveva utilizzato la notte passata. C'era anche
la fialetta con ancora un po' del composto farmacologico "anti-autopsia" da lei
inventato... presto tutto sarebbe finito in un bidone dell'immondizia lontano, molto
lontano dall'ospedale.
Guidando, gli tornarono in mente tutti i volti straziati di coloro ai quali aveva dato la
pace: vittime di incidenti, depressi, malati terminali di Aids o tumori vari. Tutte
persone sole, sole con il loro terribile dolore prolungato all'infinito da cure inutili.
Rammentò il ragazzo dai bellissimi occhi azzurri affetto da leucemia come pure la
ventenne anoressica che si addormentava solo se l'aveva vicina... SOLO LEI li aveva
salvati dalla crudeltà umana!
Curare, assistere, alleviare il dolore in ogni modo... Certo! Anche, se necessario,
"con estremi atti di misericordia"!
L'eutanasia, la dolce morte... Parole, forse solo inutili parole.
...
"Signorina Gorian? Si sente male?"
"No, niente! Solo un po' d'emicrania."
L'amica infermiera portò a Vanessa un bicchiere di caffè fumante.
"Ti ringrazio Silvia. Mi sei sempre così vicina."
"Oh, non ci badi. Mi siedo un attimo per riprendere un po' di fiato. E' da stamani
che corro!"
"Cos'è successo?" - domandò Vanessa mentre beveva lentamente il caffè.
"Stamattina al reparto di traumatologia hanno portato un bimbo di quattro anni. E'
stato travolto da un pirata della strada.
Ha avuto un fortissimo trauma cranico ed è in coma. Domani tentiamo l'operazione!"
"Tu hai visto il bambino?"
"Oh, sì... E' molto bello! I genitori sono quasi pazzi per il dolore. Mah, che
disgrazie!..." - Silvia chinò leggermente il capo. Era molto stanca e preoccupata.
"Chi eseguirà l'intervento?"
"Il Dottor Landi. Io sarò l'assistente."
"Sei in gamba, andrà tutto bene!" - Vanessa pose amichevolmente una mano sulla
spalla della collega. Questa si voltò, sorrise e, alzandosi, si diresse verso gli
spogliatoi.
"Grazie per il caffè e, mi raccomando, risentiamoci!" - Silvia annuì con
gentilezza.
Erano già le otto di sera e l'ospedale si stava vuotando rapidamente. Vanessa bevve
l'ultimo sorso di caffè poi rimase a riflettere. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e
dondolava nervosamente un piede.
...
Il reparto di traumatologia si trovava al secondo piano nell'ala nuova
dell'edificio. L'entrata principale era sorvegliata
dall'infermiere del turno di notte e da una guardia della vigilanza. Quella posteriore,
invece, era sempre chiusa. Vanessa, comunque, sapeva come entrare.
Una volta all'interno, salì in ascensore. Si sentiva triste ma determinata. Strinse per
un'attimo l'astuccio contenente la siringa ed il siero poi s'infilò velocemente i guanti.
Quasi subito le porte si aprirono, precedute da un lieve squillo e la ragazza s'incamminò
lungo il corridoio: "Oh, Signore, ma cosa sta accadendo!" - esclamò impaurita.
Tutto il reparto era deserto ed in penombra. La sporcizia e l'abbandono regnavano sovrani.
D'un tratto gli parve di udire un lamento. Guardò prima a destra e poi a sinistra e, nel
girarsi, intravide una sorta di sagoma velata voltare l'angolo del corridoio. Accese la
piccola torcia, si armò di un bisturi e cominciò a seguire quello che le sembrava di
aver visto.
Dietro l'angolo un'altra inquietante sorpresa: illuminando con la torcia una sedia vuota
posta accanto alla parete, sul muro veniva proiettata, seduta, la figura apparsa poc'anzi.
D'improvviso un'aria gelida cominciò ad invadere tutte le stanze e l'ombra proiettata sul
muro cominciò lentamente a
dissolversi.
Faceva sempre più freddo e, dalla bocca, il respiro si trasformava in vapore. Il tempo e
lo spazio sembravano irrealmente annullati:
"Vanessa..." - sussurrò una vocetta lontana.
"Chi ha parlato!" - disse la sventurata brandendo il bisturi.
"Ssssssth..." - un sinistro sibilo fu l'unica risposta.
Dal buio apparve una sorta di fumo bianco che ondeggiò e si contorse più volte prima di
assumere sembianze umane: una bambina.
Indossava una vestaglia bianca ed aveva capelli neri e spettinati. Come occhi, due
spaventose orbite vuote ed il volto sembrava una parvenza di teschio. Con le manine
cadaveriche stringeva un album di fogli con sopra disegni colorati di fiori, case ed altre
figure infantili. Galleggiava ad almeno mezzo metro da terra.
Vanessa, davanti a quella apparizione, non seppe reagire. Il bisturi e la torcia gli
caddero di mano mentre lei cominciò ad indietreggiare fino ad accostarsi al muro.
"Cosa sei?!... Cosa vuoi da me?" - il fantasma non le rispose anzi, pian piano
cominciò a dissolversi fino a scomparire. In un bagliore spettrale, la bambina riapparve
vicino alla porta di una camera indicando il numero sulla targhetta in plastica:
"Stanza 50/F. Ti ricordi, Vanessa? Dieci anni fa."
"No... Non ricordo..."
"Il mio nome, Rebecca, ti dice niente?" - aggiunse con accento grave il piccolo
spettro.
"Non ricordo!"
"Non ricordi o non vuoi ricordare? Rammenti tutte le canzoncine che mi cantavi e le
fiabe che mi leggevi? Anche se ero in coma ti sentivo e ti volevo bene. Tanto bene, come a
mamma e papà!"
"Io... " - balbettò Vanessa.
"Tu mi hai uccisa! E se non l'avessi fatto mi sarei risvegliata dal coma solo dopo
due giorni! Due giorni capisci! Avrei
riabbracciato i miei genitori, i nonni, gli amici di scuola e il mio cagnolino... Ma cosa
ne potete sapere tutti voi della vita o della morte. Del vero bene o del vero male!"
"No! Non è possibile! Tu stavi malissimo, non saresti sopravvisuta! Stavo in pena
per te! Soffrivo per te!"
"E codesta la chiami compassione? Povera stupida..." - concluse freddamente
Rebecca.
Vanessa era a terra con gli occhi gonfi di lacrime. Gli sembrava di impazzire. Alzò
allora lo sguardo verso la bambina. Anche lei stava piangendo: dalle orbite vuote
sgocciolava un denso liquame nero.
"S...sei tornata per vendicarti?" - disse l'infermiera con un filo di voce.
"No! L'ho già fatto un anno fa!" - il fantasma scoppiò inaspettatamente in una
stridula risatina.
"Cosa vuoi dire?"
"Andasti a fare un'analisi, ricordi? Una risonanza magnetica alla testa..."
"Sì, lo rammento... Stavo male." - rispose Vanessa con un nodo alla gola.
"Beh, sono una bambina e mi piace giocare, lo sai. Ti sono sempre stata vicina
durante l'esame così come lo sono stata al tecnico e a quella macchina... Ho fatto in
modo che sulle lastre non vi fosse traccia del tumore che hai! A quel tempo avresti potuto
fare qualcosa ma oggi è diventato grande! Toccati alla base della collo, se non mi
credi!"
Vanessa, automaticamente, si tastò il collo e sentì un gonfiore anomalo. Quello stesso
gonfiore che per tanto tempo aveva scambiato per una innocua ciste. Un senso di disperato
annientamento la ghermì mentre la bambina riprese sarcastica: "Visto? Io sono brava
non dico mai le bugie. Magari cose non esatte. Codesto che ti stai premendo, infatti, non
è il tumore ma una delle metastasi. Ma anche tu, che sei tanto brava e quasi dottoressa,
non ti diceva niente il mal di testa continuo?
Coraggio, Vanessa morirai poco prima della tesi... Peccato, ci tenevi tanto! Ti verrò a
far visita volentieri, te lo prometto. Anch'io conosco tante favole e canzoncine. L'unico
augurio che posso farti prima della fine è di non incontrare mai un'anima compassionevole
come ho incontrato io!"
Detto questo l'apparizione scomparve repentinamente, le luci tornarono ed il freddo
svanì. Vanessa si trascinò tremante alle porte dell'ascensore, voleva gridare ma non ci
riusciva. Subito l'emicrania ricominciò, più acuta ed intensa che mai.