"Corri, corri più veloce": questo era il suo unico pensiero.
Passava da una camera stagna alla successiva, chiudendo ogni volta dietro di sé una nuova
porta, appena prima che fosse raggiunto e catturato. Ogni volta che chiudeva una porta,
poteva infatti sentire il rumore della precedente che veniva sfondata. Aveva ormai perso
il conto delle porte già aperte e chiuse, quando improvvisamente, aprendone una, si
ritrovò all'inizio di un cunicolo scavato nella roccia. Il cunicolo era piuttosto stretto
e ripido, le sue pareti erano gelide e levigate ed appariva sufficientemente illuminato,
anche se non riusciva a capire quale potesse essere la fonte di luce. Comunque non aveva
intenzione di fermarsi a scoprirlo, doveva scappare ed il più velocemente possibile.
Continuò a correre senza sosta lungo quel cunicolo, sudando copiosamente e con il respiro
che metro dopo metro si faceva sempre più affannoso. Il cunicolo cominciò ben presto a
ramificarsi in un'intricata rete di tunnel. Ogni volta che si trovava di fronte ad un
bivio non si soffermava a pensare a quale direzione scegliere, procedeva a caso, non
sapeva dove stava andando di preciso, ma solo, vista la costante pendenza del tunnel, che
si stava avvicinando alla superficie. Ed infatti dopo pochi minuti cominciò ad
intravedere l'uscita. Non sembrava lontana, ma il tunnel era diventato ancora più ripido
e non appariva più scavato nella roccia, bensì nella terra, oltretutto una terra
impregnata d'acqua e sembrava che tutto potesse crollare da un momento all'altro. I piedi
affondavano nel fango e le mani andavano alla frenetica ricerca di un qualche appiglio,
raggiungere l'uscita si stava rivelando molto più difficile del previsto, ma sapeva bene
che se non ce l'avesse fatta sarebbe stato certamente catturato. Fece allora ricorso a
tutte le sue forze e continuò a procedere nel fango, quasi strisciando, fino a
raggiungere l'uscita.
Una volta raggiunta la superficie si trovò davanti ad un paesaggio desolato, arido, una
specie di deserto nel quale c'erano solo sabbia, sassi e qualche pianta secca. La linea
dell'orizzonte non era ben distinguibile, in parte
per le nubi di sabbia alzate da un vento gelido e costante ed in parte perché tutto il
paesaggio appariva come privo di colori, in varie tonalità di grigio, che in lontananza
sembravano fondersi con il grigio omogeneo delle nuvole che coprivano interamente il
cielo.
Andrea era così privo di qualsiasi punto di riferimento e d'altra parte non aveva nemmeno
idea di dove si trovasse, perché fosse lì e dove dovesse andare, sapeva soltanto una
cosa: che doveva continuare a muoversi, a scappare, perché chi lo aveva inseguito nel
sottosuolo avrebbe continuato a farlo anche in superficie.
Decise di incamminarsi verso una direzione qualsiasi, con l'intenzione di mantenerla
procedendo in linea retta e con la speranza d'incontrare prima o poi qualcuno a cui
chiedere aiuto.
Dopo alcune ore di cammino la fatica ebbe la meglio sulla paura ed Andrea, ormai
completamente sfinito sia nel corpo che nella mente, si fermò e si lasciò cadere a
terra. Seduto sulla sabbia alzò lo sguardo al cielo e si accorse che le nubi erano
divenute improvvisamente molto più scure e sembravano preannunciare un violento
acquazzone, anche se, a giudicare dall'aridità del terreno, quello doveva essere un posto
nel quale pioveva davvero molto raramente.
Dopo qualche minuto Andrea trovò la forza per rialzarsi in piedi e nonostante i muscoli
ancora doloranti per la fatica, si rimise in marcia. Percorse un paio di chilometri molto
lentamente e faticosamente, poi, quando stava per crollare nuovamente a terra, scorse in
lontananza degli edifici ed improvvisamente rincuorato da questa vista, aumentò la
velocità del passo fin quasi a correre. Quando raggiunse quegli edifici però tutto il
suo entusiasmo si spense immediatamente, si ritrovò infatti in una piccola cittadina, che
appariva però completamente abbandonata ormai da molto tempo. Le strade erano
completamente deserte ed in parte ormai ricoperte dalla sabbia del deserto. Non si poteva
sentire alcuna voce, l'unico rumore udibile era quello del vento che soffiava forte tra i
palazzi, trasportando la sabbia del deserto, che stava progressivamente inghiottendo la
cittadina. Andrea provò comunque ad urlare chiedendo aiuto, ma come era facilmente
prevedibile non ci fu risposta. Continuò allora a camminare senza meta per le vie deserte
della cittadina e ben presto si accorse che non solo non c'erano persone, ma nemmeno un
qualsiasi animale ed a ben vedere neanche piante od un solo filo d'erba. Quel luogo
appariva privo di vita come la superficie della Luna.
Mentre camminava, una nube di sabbia alzata da una raffica di vento lo investì
violentemente in faccia e fu proprio in quel momento che improvvisamente riacquistò
lucidità, potendo così rendersi conto appieno dell'assurdità di quel luogo e di ciò
che vi stava accadendo. Un po' tutto gli appariva ora irreale ed illogico, quella
cittadina abbandonata, il deserto di sabbia asciutta e terra spaccata dal sole, nonostante
avesse visto una terra fangosa, impregnata d'acqua poco sotto la superficie, quando era
uscito dal tunnel. Già il tunnel, non riusciva ad immaginare chi lo avesse costruito,
dove portassero quelle camere stagne che aveva attraversato e soprattutto perché lui si
fosse ritrovato lì. Ma c'era un'altra cosa che rendeva il tutto ancor più irreale: i
colori, o meglio la loro assenza, quel luogo ne era totalmente privo, come un film in
bianco e nero. Fino a quel momento, Andrea non era riuscito a ricordare nulla del proprio
passato, ma con la lucidità cominciò a recuperare anche la memoria. I ricordi però, con
tutto il loro carico di emozioni, lo investirono violentemente, come un treno in corsa,
anche se non riusciva ancora a capire bene perché, si sentì sopraffatto dall'angoscia e
dalla tristezza. Gli ci volle qualche secondo per cominciare a mettere bene a fuoco i
propri ricordi. Fu un processo graduale, ma inarrestabile: immagini, suoni, sensazioni
d'ogni tipo emergevano dall'oblio, prima confuse, poi sempre più nitide ed intense. Si
ricordò delle montagne, delle scalate e di quel terribile giorno. Le previsioni meteo
erano pessime, il suo amico non voleva partire, ma lui insistette fino a convincerlo. Poi
quel boato, la valanga e le sensazioni prima di paura, poi di disperazione, mentre tornava
a casa da solo. Da allora il senso di colpa non lo aveva mai abbandonato, la voglia di
vivere si era come spenta e la vita era divenuta un insopportabile tormento, una
sofferenza che aveva inizio il primo istante dopo il risveglio la mattina e terminava
l'ultimo istante prima di addormentarsi la sera, per poi ripetersi il giorno seguente,
sempre uguale, senza soluzione di continuità e protraendosi a volte anche nel sonno
attraverso i sogni.
Dopo l'incidente non aveva più scalato montagne, fino a quando un giorno, dopo mesi,
aveva deciso di tornare tra le montagne, proprio dove aveva perso il suo amico, per
trovarne e recuperarne il corpo.
All'improvviso fu distratto dai suoi ricordi da una sensazione, percepiva qualcuno alle
proprie spalle. Fu percorso da una scarica di adrenalina, si era completamente dimenticato
del suo misterioso inseguitore ed ora era stato raggiunto. Non provò nemmeno a scappare,
semplicemente si voltò per vedere finalmente chi o che cosa l'avesse inseguito per tutto
quel tempo, ma ciò che vide lo lasciò sconcertato. Vide se stesso, come se stesse
guardando in uno specchio, che però deformava la sua immagine, dandogli un aspetto
irreale, evanescente. Il suo gemello spettrale lo fissò per un attimo, poi aprì la bocca
dilatandola oltre l'immaginabile e si avvicinò fin quasi ad inghiottirlo. Proprio in quel
momento però, Andrea sentì una voce alle sue spalle: "Non sei partito per trovare
il mio corpo, ma per non tornare più, vero?" e quell'enorme bocca ed il suo
proprietario svanirono nel nulla.
Andrea allora si voltò e stupefatto vide l'immagine del suo amico perso tra le montagne,
cercò di avvicinarsi a lui per abbracciarlo, ma improvvisamente si accorse che l'arido
terreno sul quale si trovava fino a pochi istanti prima era ora diventato quasi liquido,
una specie di sabbie mobili nelle quali era sprofondato già fino alle ginocchia. Il suo
amico ripeté la stessa domanda che gli aveva già fatto, lui rimase per un attimo in
silenzio, poi il suo volto si incupì e disse: "Quando la vita diventa pura
sopravvivenza, un interminabile sofferenza, allora non è più vita, ma solo una lenta
morte. Mi sento come una foglia secca ancora attaccata all'albero, la mia vita non ha più
senso", s'interruppe per un attimo e poi continuò: "Sono forse morto?".
"No, ma ci sei andato molto vicino" gli rispose l'amico ed Andrea chiese allora:
"Dove mi trovo?".
"Ti trovi nella cupa e desertica prigione che tu stesso hai creato e nella quale ti
sei imprigionato da solo. Ma una parte di te ha ancora voglia di vivere, di lottare,
altrimenti non saresti scappato fino a qui. Sta solo a te decidere, se riesci a trovare
anche un solo motivo, un solo desiderio, una qualsiasi cosa per la quale vale la pena
vivere, allora afferra la mia mano, altrimenti chiudi gli occhi e lasciati andare".
Andrea, che nel frattempo era già sprofondato nel fango fino al petto, guardò il suo
amico un'ultima volta e poi chiuse gli occhi. Pregustò per un attimo la fine di tutte le
sue sofferenze, la pace assoluta. Stava per lasciarsi andare, ma all'ultimo momento
allungò di scatto il braccio ed afferrò la mano dell'amico.
Andrea riaprì gli occhi, si trovava sdraiato in un letto e stava stringendo con forza la
mano di un medico. Mollò la presa e si guardò intorno in uno stato semiconfusionale, gli
furono necessari alcuni istanti per uscirne e capire che si trovava in un ospedale. Nei
minuti che seguirono, il medico, ponendogli numerose domande, verificò che le sue
capacità intellettive e la sua memoria fossero intatte, poi gli spiegò che cosa gli era
accaduto:
"Durante la scalata è caduto lungo un pendio roccioso e non so come, ma è
sopravvissuto alla caduta. È stato salvato e portato in ospedale dal soccorso alpino.
Quando è arrivato aveva una grave emorragia interna e le devo confessare che non pensavo
ce l'avrebbe fatta. Ha dimostrato un attaccamento eccezionale alla vita". Andrea
sorrise, il medico non poteva immaginare che la caduta non era stata accidentale, ma al
tempo stesso provò vergogna, pensando alle persone che avevano rischiato la loro vita per
salvare la sua. Poi fissò per un attimo la finestra della stanza nella quale si trovava e
chiese al medico: "Sta per sorgere il Sole?".
Il medico esitò per un attimo, poi rispose: " Beh, penso di sì".
"Potrebbe spingere il mio letto vicino alla finestra, in modo che possa vedere
l'alba?" chiese allora Andrea. Il medico rimase per un attimo perplesso, poi il suo
volto si distese in un sorriso.
"Certo" rispose e spinse il letto verso la finestra.
Proprio in quel momento il disco solare stava per emergere dal profilo delle montagne, il
cielo e le nubi sopra l'orizzonte apparivano illuminati con colori straordinariamente
intensi e poco più in alto risplendeva ancora Venere. Una lacrima rigò il volto di
Andrea, il mondo era di nuovo a colori.