La mia auto, lenta,
si muove nel traffico della città.
Ho tempo, tutto il tempo.
Noia, senza fine, perché non c’è fine.
La mia esistenza è un gioco lento per sconfiggere la noia.
La pioggia mi accompagna con il suo fruscio.
Arrivo al primo semaforo, scatta il rosso. Vedo oltre l’incrocio davanti a
me una lunga coda di auto.
Ora il semaforo è verde. Giro a destra. Proseguo lungo una strada che può
offrirmi qualcosa d’interessante.
Vado avanti.
La pioggia aumenta.
Aziono i tergicristalli; un fulmine illumina lo sfondo della mia visuale.
Qui non c’è traffico, addirittura non vedo nessuna auto passare nelle due
direzioni di marcia. Proseguo nella strada che è costeggiata solo dal verde
dell’erba e da alti alberi, con le fronde ondeggianti nel vento.
Sono in una delle tante strade del mio interminabile percorso.
Vedo una fermata dell’autobus. C’è una donna, accanto, che attende. Mi fa un
cenno. Mi avvicino. Forse sta piangendo, spaventata dal temporale.
Mi chiede: Mi dai un passaggio?
La donna, nonostante abbia l’ombrello, ha i capelli e i vestiti bagnati. Il
suo volto ha il trucco disfatto, in una maschera fluida che le nasconde i
tratti. Apro lo sportello e la faccio accomodare. Ha un sussulto per il gelo
che sente nell’auto. Mi guarda come se mi conoscesse. Certo, probabilmente è
una mia lettrice.
Mi dice: - Grazie per avermi fatta salire in macchina.
Apre la borsa, prende un fazzoletto per asciugarsi il volto. Vedo la lama di
un coltello che dall’interno della borsa sparge luce sull’ombra del nostro
abitacolo. La nostra intimità acquista una sfumatura che schiarisce lo
sfondo ormai buio che stiamo attraversando.
La osservo; sul suo volto non c’è più traccia di trucco. E’ lei. Eccoci,
insieme, solo in anticipo per il nostro appuntamento, a causa di un
contrattempo nel traffico. Altrimenti sarei passata a prenderla un altro
giorno.
La donna mi guarda.
Mi parla: - A me le mani.
Nei suoi occhi vedo l’illusione che sarà delusa, la certezza del compimento
di un intento alimentato nel tempo. Sulle sue labbra leggo il sorriso della
disperazione che vuole trasformarsi in vittoria contro un incubo ricorrente,
che toglie la pace, il piacere dei sogni, l’evasione dell’illusione. Ma ciò
che ci aspetta, ci attende, e non ci sarà fuga, né soluzione. Così sarà per
lei.
Mi ordina: - A me le mani, scrittrice che rubi la pace del mio sonno. Non
devi scrivere più.
Stringe nella mano il coltello con cui crede di poter mutilare la creatrice
della storia che non avrà mai fine.
Le concedo l’ultimo attimo di speranza. Freno, spengo l’auto.
Le dico: - Eccoti le mie mani.
Le tiene ferme con la sua sinistra.
Sente un gelo che la pietrifica; finalmente capisce.
Guarda i miei occhi. Capisce che non sono umani. Riesce a scorrere la
potenza e il flusso del tempo nella trasparenza che le sto mostrando. Vede
nascite e morti, tutto ciò che io ho visto. Nell’attimo finale, capisce che
io sono l’unica Donna immortale, Colei che scrive l’ultima pagina della
storia di ogni vita.