Ora che
finalmente era giunto a destinazione, il povero Zefirino non sapeva proprio più che santi
chiamare: solo com'era, cosa mai avrebbe dovuto fare?
Con occhi fieri ma insicuri adocchiava quasi timidamente il suo luccicante bottino, come
se, sotto sotto, si vergognasse di averlo scoperto. Posava e distoglieva lo sguardo, quasi
fosse accecato dal bagliore che emanava. In realtà si trattava di... cosa, rimorso forse?
Ma se non aveva ancora fatto niente! D'altro canto, sapeva benissimo che quello che lo
avrebbe reso presto molto felice, avrebbe sicuramente riempito di tristezza qualcun altro,
come il legittimo proprietario del tesoro, ad esempio.
Stava rubando? No, certo che no. Quel patrimonio era lì per qualche scherzo della natura,
giusto? Doveva forse lasciarlo lì? Ma dai, non scherziamo! Si trattava di un qualche tipo
di... come chiamarlo... dono, no? L'aveva trovato, ora era suo: tutto qua. Non funziona
così di solito?
Eppure, nonostante questo, c'era ancora qualcos'altro che lo stava tormentando, che gli
torceva il cuore e che gli strizzava il fegato. Non erano di certo pensieri che si
addicevano ad un ladro che sapeva fare il suo mestiere.
Ma Zefirino non era un ladro, proprio no! Figuriamoci fare il suo mestiere.
"E dove me la carico adesso, tutta questa roba?", domandò a nessuno in
particolare, cercando una risposta che ovviamente non c'era.
Si accovacciò per terra, strappando pensieroso alcuni fili d'erba. Ne mise uno in bocca.
Cercava un'idea, un'ispirazione, una trovata geniale, ma sembrava che queste fossero al
momento tutte impegnate in qualcosa di più appagante che non aiutare il vecchio Zefirino.
"Potrei prenderne un po'", disse sottovoce a se stesso, per rincuorarsi e darsi
un po' di speranza, "e tornare più tardi per il resto. Certo!" Catturò un
pugno d'aria. "Ma sì, Zefirino, con quelle grosse tasche che hai nella giacca, sai
quanto puoi arraffare?" Sorrise di gioia; gli occhi risplendevano di raggiante
entusiasmo. "E i mutandoni? Oh cielo, larghi come sono, non c'è posto migliore dove
poter nascondere qualcosa di prezioso!"
Si illuminò all'idea. "Funzionerà?"
Ma subito un nuovo pensiero lo pugnalò alla schiena.
"No, non funzionerà", mormorò tra sè e sè, perplesso. "Non c'è proprio
modo di fargliela a quelli là", mugugnò indicando il paesetto dal quale era venuto.
"La gente del villaggio ha gli occhi più lunghi di quanto sembri." Alzò lo
sguardo al cielo, implorante. "Oh, maledizione! E chi gliela fa ad Ida e Pia? Mi
noteranno, oh certo! Eccome se mi noteranno! A cento metri di distanza, con il
cannocchiale! Vedranno il mio sguardo preoccupato e la mia andatura frettolosa, che il
cielo se le prenda!" Perbacco! Una parola di troppo! Si scusò immediatamente con chi
regnava al di sopra delle nuvole, poi continuò con il suo sermone. "Si avvicineranno
e mi chiederanno che cos'ho, dove vado, e ovviamente il perché di un simile rigonfiamento
nelle tasche. E questa volte la lunga storia delle molliche di pane non funzionerà."
Si passò con rassegnazione la mano sudata sul viso, sbuffando. "No, Zefirino, NO! E
poi c'è Mariuccia! Oh mio Dio, Mariuccia! Neanche il tempo di scappare dalle odiose
zitelle che lei sarà già lì, a rotearmi l'indice davanti al viso, guardandomi a fatica
con quegli occhi strabici, e dicendomi 'ehi, dove credi di andare senza raccontare
tutto-ma-proprio-tutto a zia Mariuccia?' con quella sua irritante vocina strozzata."
Assunse involontariamente un'espressione addolorata e di disperazione. Corrugò le
sopracciglia. "Ohibò! Neanche il tempo di chiuderle la porta in faccia che lo saprà
tutto il paese. Tutti quanti! Mi faranno domande, mi toccheranno dappertutto... ah",
fece con rassegnazione, "peggio dei bambini!"
Diede un calcio al tesoro che aveva sapientemente scovato e sbuffò di nuovo. "Brutti
impiccioni!", aggiunse con soddisfazione.
Digrignò i denti per la rabbia e la frustrazione. Li avrebbe beffati in qualche modo. Oh,
sì che li avrebbe fregati!
"E poi", continuò per convincersi a non agire in quel modo, come se ce ne fosse
ancora bisogno, "se anche non ti vedesse nessuno, quanti giri dovresti fare per
portarti a casa tutto quello che hai trovato? Eh, Zefirino? Brutto vecchiaccio che non sei
altro! Andiamo, hai quasi sessant'anni, i capelli bianchi, i denti finti e una dolorosa
protesi all'anca: vuoi metterti a fare le corse? Chi ti credi? Un bimbetto?"
Ammise a se stesso le sue debolezze, ed accettò malvolentieri la situazione così
com'era.
Bene, di nuovo senza soluzioni.
Soprappensiero, continuando ad escogitare un metodo per tornare a casa il più ricco
possibile con il minimo spreco di forze, prese la confezione di tabacco sfuso, vecchio e
maleodorante, che teneva sempre nel taschino - 'L'euforico contadino': che cosa avesse mai
da essere sempre così contento, Zefirino non l'aveva mai capito. L'aprì e vi infilò le
dita per afferrarne una grossa quantità.
Ah ah! Zefirino! Ma non aveva forse smesso, un paio d'anni addietro? A quanto pare
sembrava di no...
Stupida coscienza.
"Sì", rispose, non del tutto convinto, a se stesso. Nel frattempo le sue abili
ed esperte dita avevano già rollato una sigaretta. La rimirò compiaciuto, dimenticandosi
per un attimo del tesoro.
Ahi ahi ahi... e la promessa?
"Quale promessa?"
La mamma! Non poteva essersene dimenticato.
"Ah già. La mamma è morta." Che sbadato, l'aveva proprio scordato.
Ciò non toglie che una promessa è una promessa. Nei confronti della mamma poi, valeva
doppio.
Zefirino, incurante del crescente rimorso che lo avrebbe presto travolto, pizzicò la
sigaretta con le labbra e l'accese con un vecchio cerino.
"Anche lei me ne aveva fatta una."
Zefirino diventò di colpo serio, mentre cercava di ricordare cosa gli aveva assicurato
l'affettuosa madre, molto prima che lui le giurasse a malincuore che con il tabacco
dell'Euforico contadino avrebbe presto troncato i rapporti d'amicizia. La sua voce si fece
sottile e sofferente.
"Nientemeno che la mano di Clarinda, la figlia della sua cara amica Claretta."
Zefirino trasse una profonda boccata, e la sua vita si accorciò di un altro buon secondo
abbondante. "Me l'aveva giurato sulla tomba di papà! Pover'uomo: pace all'anima
sua", aggiunse togliendosi il rammendato cappello di paglia e portandoselo al cuore.
"Giurato! 'E' tutto già predisposto! Non preoccuparti! Io e Claretta abbiamo già
preparato tutto!', mi ha detto, quella bugiarda!" Allo scandire dell'ultima sillaba,
Zefirino si mise una mano davanti alla bocca, scusandosi con le defunta madre per l'offesa
involontaria. Poi continuò. "Guarda caso, l'unica persona all'oscuro di tutto era
proprio la mia futura sposa! Evidentemente, mamma e Claretta, prese com'erano dalla foga
dei preparativi, si erano proprio dimenticate di metterla al corrente di quella piccola
sciocchezza. Non si è comportata da signora educata, Clarinda, quando mi ha visto la
prima volta."
Prese un grosso fazzoletto rosso dalla tasca dei pantaloni e si asciugò gli occhi. Poi
assaporò con gusto l'ultima boccata di fumo della sigaretta.
"Lei non ha mantenuto la sua promessa. Siamo pari." Gettò quindi a terra il
mozzicone e lo guardò ricacciando indietro una lacrima. "Ma se trovo un modo per
tornare indietro con tutto questo ben di Dio, un solo maledettissimo modo, giuro
solennemente che quella era l'ultima sigaretta! L'ULTIMA!"
Bene, risolta la malinconica faccenda del fumo, Zefirino ritornò presto ai problemi
attuali.
Cosa doveva fare? Uscire?
"Certo! Uscire!"
Chiedere aiuto? Cercare un amico fidato?
"Sì, un amico sincero!"
Poi si rabbuiò improvvisamente. Meglio lasciar perdere quel delicato argomento...
"Maledetti pensieri! Lo so benissimo che in paese non sono visto di buon occhio! Non
c'era bisogno di ricordarmelo."
Oh, beh, c'è sempre la signorina Ancilla, con i suoi graziosi capelli color rosa ed i
suoi vistosi occhiali dalla forma allungata a dismisura. E' così simpatica, allegra,
vivace e vispa: resta un mistero il motivo per cui sia ancora signorina a cinquantasette
anni suonati. Diavolo, se non fosse per quella sua particolare propensione a far prendere
continuamente aria alla bocca...
"Oddio, no! NO! E chi la sopporterebbe un altro giorno ancora? Chi resisterebbe
un'altra volta all'ascolto del suo quasi fidanzamento fallito? E poi, per quanto tempo
dovrei farle compagnia per sdebitarmi del suo favore? Quanti inviti a cena? Oh, Gesù...
quanti arrosti crudi e patatine bruciate?"
Oppure c'è quell'altro, quello brontolone, Orlando il cieco. E' l'unico che, tutto
sommato, sopporta Zefirino, giù in paese. Più che altro perché, irremovibile com'è sul
fatto che gli occhiali siano solo una trovata per fargli sperperare la pensione, è ancora
convinto che si tratti di quel vecchio compagno di scuola, che ogni tanto viene a
trovarlo...
"Sì, sì, d'accordo", si disse calmo e riflessivo, cercando di mettere sul
tavolo tutte le carte con cui giocare. "Mettiamo anche che chieda aiuto a quei
manigoldi strozzini. E poi? Vorranno fare a metà, o sbaglio? LA META'! Non si
accontenterebbero della soddisfazione di aver aiutato un simpatico vecchietto, no! E
neanche di un misero pensierino, giusto per il disturbo! Macchè! Scorbutici
poltroni!"
No, quella faccenda non si sarebbe risolta in nessuna maniera. Bisognava assolutamente
cambiare metodo.
Zefirino si ritrovò a fissare con sguardo deciso e conflittuale l'inestimabile ricchezza
che aveva davanti agli stanchi occhi. Ora si trattava nientemeno che di uno scontro
diretto, di una decisiva battaglia per il più furbo ed astuto. Un innovativo regolamento
di conti. Nient'altro che lui ed il tesoro. Solo chi avrebbe escogitato la mossa migliore,
più intelligente e geniale avrebbe avuto la meglio sull'altro.
Zefirino non si sarebbe arreso, questo mai. Rifletté a lungo, intensamente. Poi, deciso,
decretò la sentenza.
"Va bene, per oggi hai vinto tu", disse rivolto al nero ed antico pentolone che,
davanti a lui, sovrastava incontrastato sulla lieve collinetta. Dal suo interno,
apparentemente senza fondo alcuno, straripavano abbondantemente centinaia di fastose e
luccicanti monete d'oro, spesse almeno quanto un dito.
Eccolo il tesoro! Maestoso, imponente, quasi irraggiungibile!
Eccola l'involontaria fonte dei problemi di Zefirino! Ma quale meraviglia!
Eccolo il dono con cui il Sommo Creatore e la Dolce Natura volevano deliziare (Coccolare?
Confondere? Stuzzicare?) gli stolti umani! Quale poesia!
"Mi hai colto impreparato e senza le armi adeguate", continuò Zefirino,
sconfitto ma ancora con una speranza in cuor suo che difficilmente l'avrebbe abbandonato.
Dall'alto della sua posizione, intanto, il pentolone regnava magniloquente su quella
porzione di mondo di cui Zefirino era, con molta probabilità, il primo ed unico
visitatore. Possibile che fosse proprio Zefirino l'uomo adeguato? Spettava dunque a quel
tonto ed egoista contadino il merito di una simile scoperta? Perché tale meraviglia si
era mostrata solamente a lui?
"Ma torno a prenderti domani."
Il pentolone nero sembrava guardare il suo avversario con aria saccente, da superiore. In
fin dei conti, anche se forse non si poteva proprio mettere in questo modo, l'aveva
battuto. O forse, più appropriatamente, Zefirino era stato davvero molto abile a
sconfiggersi senza l'aiuto di nessuno. In ogni caso, ancora una volta, l'uomo si era
rivelato impotente, inferiore. Era stato battuto.
"Non scappare, eh!", aggiunse poi, con convinzione.
Detto questo, prese una sola moneta d'oro dal pentolone, scelta con cura ed attenzione; la
soppesò per bene, e fu compiaciuto nel sentirne il notevole peso. Sorrise poi, come da
chissà quanti anni sorrideva l'Euforico contadino.
Fu proprio in quel momento che il Sole divenne complice della Natura, portando luce
nell'ombra di Zefirino, il quale fu inconsapevole vittima di mille e più colori,
sfavillanti, incantevoli, inebrianti. Per alcuni istanti, fecero di lui un sublime
spettacolo.
Ma Zefirino non se ne accorse, preso com'era a pensare a quel dannato sistema per far suo
ciò che aveva trovato, per divenire l'unico padrone dello straordinario tesoro.
Assorto nei suoi pensieri, ahimè, non gli diede nemmeno un ultimo sguardo.
Mise la moneta in tasca, si girò, ed oltrepassò l'arcobaleno.
In molti sostengono che, da qualche parte lassù, ci sia qualcuno che
si diverte come un matto nel giocherellare con milioni e milioni di ignari burattini. Non
lo fa per dimostrare il suo potere, no; nemmeno per la sua ovvia superiorità. Ritiene
semplicemente che, con molti di essi, sia solo divertente.
In fin dei conti, il teatro delle marionette è sempre esistito.
Un giorno tocca ad uno, un giorno tocca ad un altro. E' così che funziona.
Uno alla volta, disse tanto tempo fa un vecchio saggio...
E' un vero peccato che quel giorno sia toccato proprio a Zefirino.