Entro nella locanda

Entro nella locanda, finalmente. Dopo una lunghissima giornata di lavoro, la testa cotta dal sole a picco nel cielo cobalto, tra la terra secca e la polvere. Ho la lingua asciutta e la bocca impastata, segno che ormai è proprio ora di una buona birra. Vengo qui ogni sera, in quel tavolo in un angolo. Molto spesso parlo con qualcuno del paese: si scambiano quattro chiacchere, si scherza soprattutto, si parla con fare complice degli ultimi affari. Qualche volta è lo stesso oste, un buon uomo davvero, a servirsi un’altra birra ed a sedersi al tavolo per farmi compagnia quando non c’è proprio nessuno. Sorseggiamo lentamente dai nostri bicchieri, spesso senza scambiare una parola... a qualche straniero potrebbero sembrare soltanto lunghi, inutili silenzi. Noi sappiamo che non è così: alla fine delle nostre rispettive giornate godiamo di un breve attimo di riposo, usciamo dalle nostre vite per essere semplicemente due uomini che, stanchi del loro lavoro, si godono una buona birra.
Oggi però non c’è nessuno. Strano.
Mi guardo attorno, sicuro di individuare l’oste da qualche parte nella stanza od almeno di sentire il suo passo sulle travi. Magari è al piano di sopra che rimette a posto le stanze. Tendo l’orecchio, ma non sento alcun rumore. Può sempre darsi che sia andato da qualche altra parte...
Ma in genere non lascia mai la locanda incustodita. Mi avvio verso il banco deserto, lentamente lo aggiro ed allora a tentoni quasi, senza nemmeno guardare, trovo i boccali puliti ben disposti ad asciugare. Ne afferro uno e mi accorgo che è ancora umido: quindi l’oste non può essere lontano.

Con calma metto la mano sulla botte della birra, allento il rubinetto e riempio il boccale del buon liquido ambrato. Quindi raggiungo il mio tavolo: aspetterò qui che arrivi qualcuno. Ma nel silenzio più assoluto non compare anima viva. Ma che succede in questo posto? C’è stata per caso una scorribanda di orchi e non me ne sono accorto? Distrattamente guardo le pareti ed allora mi accorgo di una cosa che non avevo mai notato prima: una larga lastra nera copre una vasta parte di un muro. Non mi ricordo che ci fosse mai stata e mi avvicino incuriosito. Sul nero ossidiana della pietra spiccano alcuni nitidi segni bianchi. Mi allontano dalla lastra per arrivare a vederli tutti e la mia testa incomincia a girare, con uno strano ronzio. I segni mi entrano dentro quasi e mi trapassano, dandomi le vertigini.
Io sono solo un contadino, non so leggere.
Appoggio una mano alla lastra e sfrego con rabbia ed impotenza: un segno bianco scompare in un alone sfocato che mi lascia la mano bianca. La sfrego sui calzoni già sporchi ed improvvisamente mi pento di averlo fatto. E se avessi cancellato qualcosa d’importante? I segni mi accusano ora, ma io non so come rispondere, non so nemmeno come ricomporre quella ragnatela fitta di simboli che ho appena alterato. E se avessi scatenato una maledizione? Chiudo gli occhi ed aspetto tremando che accada qualcosa.
Nulla.
Giro le spalle e smetto di pensarci: molto meglio la mia buona birra, bevuta soltanto a metà e lasciata abbandonata sul tavolo da qualche parte. Ma dove l’avevo lasciata? Mi guardo attorno, ma non ve n’è traccia. Impossibile, non ho ancora sentito nessuno lì con me nello stanzone vuoto.
“Alla tua salute buon vecchio amico” rimbomba improvvisamente dietro di me la voce dell’oste ed io sobbalzo, preso alla sprovvista, mentre solleva il boccale mezzo pieno e lo beve d’un fiato: “Non hai letto in entrata il messaggio che ho lasciato? -aggiunge, ghignando- Diceva: Torno Subito.”

Samuele Secchiero

Vivo a Trieste e sono laureato in farmacia, ma ho sempre coltivato la passione della lettura e soprattutto del genere fantasy. Di tanto in tanto scrivo con alterni risultati.