Siamo tutti schizofrenici, soffriamo di disfunzioni alla nostra vita
emotiva[...]
Philip Dick, Blade Runner
La notte -
ogni santa notte - quando non riesco a tenere la testa ferma sul cuscino e a chiudere gli
occhi, scendo silenzioso per le scale cupe e vertiginose ed esco in strada, richiudendo
piano il portone, nel buio e nel silenzio.
La notte mi accompagna lungo le vie deserte, verso il centro della città addormentata.
Ombre sottili e furtive s'allungano e scompaiono agli angoli delle strade fra gli alti
edifici, figure di vetro e d'acciaio che si incuneano nel cielo bronzeo. Lo squallore
itterico di questa modernità mi acceca; i riflessi sulle pareti lucide delle luci gialle
e lampeggianti dei semafori, mi feriscono gli occhi. Nella piazza principale la luce delle
vetrine si riflette su visi sconosciuti. Ad ogni battito di palpebre si materializzano
nuove ed instancabili marionette, allegri ubriachi e monchi, vagabondi e pendolari alla
fermata del tram, l'ultima soma della metropolitana. Non posso provare disgusto alla vista
di questi scampoli estremi di quotidianità; io sono come loro, alla ricerca disperata di
ritagli di sonno nel vapore che fuoriesce dalle grate, nel vento carico di rumori lontani.
Come un bambino al primo spettacolo di un delfinario, mi diverto ad osservare i piccoli
cetacei spuntare ad ogni mio lento passo e compiere ogni sorta di acrobazia. Inseguendo
ogni apparente verità, ricerco il vero volto di questa città sconnessa, il lato oscuro
delle pareti di marmo, le tenebre e la notte.
La notte, senza sosta, io vago per i quartieri, ondeggiando fra alte mura e squallide
baracche. Percorro chilometri e chilometri nelle poche ore notturne trascinato
inesorabilmente da una maledetta insonnia.
La notte mi conduce verso la periferia, abbandonando ogni residua vita notturna. Nella
solitudine delle strade sconvolte, il frinire di una moltitudine di cicale riempie la
miseria di queste vie fuori dal tempo. Respirando a fondo, l'odore di rifiuti malsani e
gomma bruciata mi frastorna. Cani randagi e puttane sembrano prendersi gioco del mio
oblio. Con gli occhi privi di lacrime e iniettati di sangue non mi resta che continuare
imperterrito a procedere lungo le strade provinciali, le lingue d'asfalto nero che
tagliano a fette la città. Non riesco a sentire la stanchezza che avrebbe dovuto
spezzarmi le gambe già ad un quinto del mio peregrinare, abituato come sono a scaldare
sedie e brande. Azzerati i miei sogni, una lucida febbre obbliga i miei piedi a percorrere
una lunga striscia nera, uno specchio privo di stelle, i soli che splendono nel cielo
sopra le vaste campagne. L'alba, prima o poi, porrà fine al mio tormento e il sole
tornerà a risplendere nella mia stanzetta.
La notte grava sulle mie spalle, come un'unico peso nell'aria umida. Piccole luci fra i filari di uva si accendono al mio fianco e spariscono beffarde nel tempo di uno sguardo. Ed ecco che le fronde di decine di ulivi si piegano verso di me, cercando di artigliarmi e costringendomi a camminare nel letto di un fiume, ormai secco. Sinuoso serpeggia tra le frasche, disfacendo i suoi meandri rinsecchiti nelle placide tenebre. Il bianco e nudo spazio, dopo diverse curve, si interrompe, giungendo infine al limite estremo dell'universo. Un muro nero di catrame, lucido come inchiostro, si inarca ostile confondendosi con il cielo notturno. L'ostacolo non è solido, vibra sotto il tocco delle mie dita, ma ogni notte mi impedisce di proseguire; poco prima del sorgere del sole io ritorno a dormire.
Questa notte il muro nero mi ha avvolto nel suo abbraccio gelido,
inglobando il mio corpo e trasportandomi oltre i confini del cosmo. Le mie mani, le mie
braccia, le mie gambe, il mio viso sono caduti nell'oblio, nel nulla oltre il ciglio delle
colonne d'Ercole; sono precipitato improvvisamente in un regno privo di luce e di rumore,
come una piccola meteora. Brucio nel contatto violento con l'atmosfera e l'attrito mi ha
strappato i vestiti di dosso; sono nudo e stritolato da un'immensa forza che mi piega e
deforma i miei lineamenti.
Ho atteso a lungo il contatto con il suolo e la morte vicina ma il mio volo si è
interrotto a mezz'aria, a pochi centimetri da un immenso specchio che occupava il fondo
del baratro scuro. Ho rivisto il mio viso, smunto e segnato dall'insonnia. I miei occhi
sono torbidi e iniettati di sangue, sottolineati da profonde occhiaie. In un attacco di
rabbia ho stretto le mani intorno al collo del mio riflesso.
"Torna a dormire, torna nel tuo letto! Ridammi il mio riposo, il mio sonno!"
Lo specchio non ha retto alla mia violenza e si è frantumato, riempiendo l'aria di
schegge e di sangue. Continuavo a stringere quel collo sempre più forte.
Il mio collo, pungente e massiccio, sorregge un altro volto. Il volto di mia madre. Il
volto di mia sorella. Il volto della cameriera del caffé. Il volto della ragazza nel
parcheggio. Il volto della prostituta nel vicolo. Il volto della poliziotta, nello stesso
vicolo della puttana.
All'improvviso la Luna, attraverso le sbarre, è tornata ad illuminare un angolo della mia
stanza. Nel buio e nel silenzio ho urlato il mio dolore.
"Io ne ho viste cose che voi folli non potreste immaginarvi. Palazzi e grattacieli di
vetro in fiamme, ardere come fiaccole nel cielo grigio, e ho visto il fuoco illuminare
ogni volto nel buio vicino alle porte della città, e ho ammirato il limite estremo
dell'universo, il nero confine della nostra barbarie. E tutti quei momenti andranno
perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire."
"Morris, maledetto pazzo, siamo stufi delle tue stronzate! Datti una calmata e non
disturbare gli altri. Non vorrai costringermi a dare una bella scossa a quel tuo cervello
degenerato, vero?"
Questa notte nel mio letto gelido, stretto nella camicia e soffocato dai lamenti dei miei vicini, alla fine ritrovo la pace.