Mancava
solo un giorno per Natale quando si rese conto di aver preso l'autostrada dalla parte
sbagliata. Umberto pensionato nato e vissuto in uno delle decine di paesi che stanno
vicino ai monti Alburni si era visto anche per questo spaesato, si trovava nei dintorni di
Avellino, in quei posti c'era stato tanto poco quanto niente ed il traffico natalizio fece
il resto.
Non vide i cartelli e le frecce di indicazione. O forse non seppe decidere se andare a
Napoli, dove c'era sua figlia, a Nocera dove teneva un antico amore o tornarsene al paese.
"Dove mi faccio il Natale?" dovette più volte rimuginare intorno a quella
domanda.
"Dove ti sei fatto l'estate ti fai anche l'inverno", il detto popolare di
risposta gli risuonava nella testa. Erano le tappe della sua vita recente e gli sembrò
impossibile fermarsi su di un solo capitolo della sua vita. Fu così che si trovò
contromano. No, non era un autista distratto, uno al quale ritirare subito la patente.
Qualcuno aveva deciso, così all'improvviso, di mescolargli le sue cose. Si spaventò e
spaventò a morte, schivò a fatica un po' di auto che si misero a strombazzare e ad
alzare i fari. Dove vai deficiente!, gli disse più di uno. Ma lui non poteva sentirli:
era dicembre, viaggiava coi finestrini chiusi. Pochi secondi di brividi gli sembrarono
ore: Umberto non controllò più la sua Ibiza bianca. Un'accelerata ed una frenata ed ecco
la sbandata e via giù a carambolare nel fosso.
La polizia arrivò subito: "Venite c'è un pazzo che va contromano", dai
telefonini le chiamate erano state già a dozzine. Quando lo raggiunsero e lo adagiarono
nella barella si accorsero che il suo cervello non si era riacceso, era spento. Anzi in
coma. E così dall'ospedale di Avellino lo mandarono all'Ascalesi, a Napoli.
Facciamo un passo indietro nella nostra storia. Ma ad Avellino cosa c'era venuto a fare
dagli Alburni, lui Umberto, 73 anni, muratore in pensione?
"Era qui per via di una slava che gli faceva correre la cavallina", dissero in
paese e nessuno, nemmeno i familiari, smentirono. Attenzione, però quella Mast'Umberto
non è la solita storia del gallo di paese. Di quello che si vanta al bar che per lui ogni
lasciata è persa, basta che respirino, vecchie e giovani che siano. Di quelli che poi si
scopre che, oltre alla moglie, hanno avuto delle donne solo pagando. Mast'Umberto che per
una vita aveva fatto il muratore era di tutt'altra pasta. Alto, un fil di ferro, aveva i
muscoli sempre allenati. La tempra gli veniva dall'aver costruito case, ai contadini col
forno per il pane e la porcilaia, con decorazioni pretenziose a chi aveva qualche soldo in
più . Ogni giorno, col sole che spaccava le pietre o col freddo che gelava le ossa e la
calce nella cardarella. Sì , proprio il secchiello del muratore che vi attinge con la
cazzuola. E poi il martello ed il metro lineare, tutta simbologia un po' equivoca. Il
nostro il suo mestiere lo conosceva bene, era quello gli aveva permesso di conoscere un
sacco di gente e, soprattutto, costruire un suo personale album di conquiste. Sì ,
Mast'Umberto era uno che al gentil sesso piaceva, e se piaceva. Anche la chiacchiera che
teneva era buona, e poteva addirittura disporre di una buona cultura, tutta accumulata
erigendo mura, ricoprendole con solai e decorando l'insieme con i tetti. Aguzzi o
spioventi.
La moglie sapeva, ma in paese era così , guadagnava e portava i soldi nella loro casa
vicino al macello comunale: era un buon marito ed ottimo padre. Tutto il resto non
contava. Poi accadde che la povera donna, morisse anzitempo e la figlia si sposasse ad un
napoletano, andandosene di casa. Per Umberto arrivò anche la pensione. Ed in
concomitanza, non si sa se per l'età o per le ridotte occasioni di frequentazione, le sue
donne non furono più le nostrane ma quelle che vengono dall'est dell'Europa. Fine del
flashback.
Nell'ospedale napoletano ci misero poco per stabilire che non c'era niente da fare e che
l'ex muratore era passato a miglior vita. Miglior vita? Certo non sarebbe stato d'accordo
il principale interessato che, al bar aveva tante volte detto che era grazie a quelli come
lui che il mondo era più allegro: "Senza le donne che la danno il mondo è un
inferno. E' un grande laghèr". Disse proprio così "laghèr".
"E io pago volentieri per il fastidio". A Napoli però non potevano attendere
che lui continuasse nelle sue riflessioni sul senso da dare alla propria esistenza. Morto
era e fu così che lo chiusero in una bara e dopo un bel pò di soldi, carte, firme e
timbri, tutto sembrava pronto per rispedirlo in quel paese alle falde degli Alburni da
dove era partito il giorno prima di Natale per andare a trovare Nadia la polacca. Ai
parenti è stato spiegato che gli "schiattamorti" competenti, per quel giorno e
per quell'ospedale, sono quelli della ditta "Marzano", da Torre del Greco. I
becchini sono al lavoro, ecco hanno quasi finito, stanno sigillando la bara. Vicino alla
camera mortuaria c'è il carro funebre. L'autista tiene i motori accesi, mentre i suoi
colleghi sbrigano gli ultimi dettagli. Si vede che hanno tutti fretta e sono nervosi. Un
attimo dopo e ci si trova all'interno di un film. Decine di colpi di pistola arrivano
ancora oggi non si sa da dove. Tutti scappano a gambe levate. I cronisti di nera lo
chiamano "racket del caro estinto" o "guerra per gli appalti delle onoranze
funebri", resta il fatto che l'autista dell'auto nera, rigorosamente di grossa
cilindrata, che al passaggio suscita i più vari scongiuri, ingrana la marcia e se ne va
lasciando la bara, e la salma, all'interno dell'obitorio. Ci sarà chi racconterà di aver
visto il parabrezza in frantumi colpito da qualche colpo d'arma da fuoco.
Il commissariato Vicaria-Mercato della polizia raccoglie in fretta la denuncia del caso: a
sparare si è sparato ma nessuno ha visto i pistoleri. Appurato che il morto non aveva
colpa, si prosegue il pietoso percorso. Mast'Umberto dev'essere trasportato nel paese del
salernitano dove lo stanno aspettando per i funerali. Che si fa? Dopo un rapido consulto
rivolto "a chi sa" arriva il secondo carro funebre. "Buongiorno.
Condoglianze. Sono qui a servirvi", snocciola sicuro il nuovo autista - becchino. E'
Luigi Centomani, 40 anni. Quel giorno dovrebbe starsene a casa sua, agli arresti
domiciliari per unaccusa di contrabbando e contraffazione. I poliziotti lo conoscono
e l'arrestano a colpo sicuro. E adesso che si fa? Nuova telefonata alla
"Marzano", premiata ditta di onoranze funebri, ed il terzo carro funebre svolge
il suo compito. Il nuovo autista è incensurato. Così don Pasquale Cascio, di professione
parroco, che con Mast'Umberto e le sue filosofie non aveva mai simpatizzato per via più
dei suoi vezzi pubblicamente esibiti che dei vizi privati, può officiare i funerali e
suggellare così la fine delle avventure dell'uomo che molti ricorderanno per quello che
fece da vivo, ma ancora di più per quello che gli accadde da morto.
(Nota dell'autore)
Con "Mast'Umberto che amava la vita ma morì tre volte", storia liberamente
ispirata ad una vicenda accaduta a Sicignano qualche anno fa, comincia la serie delle
storie e dei misteri nostrani. Si tratta di vicende che pur essendo fugacemente apparsi
sulle pagine dei nostri quotidiani sono stati già "dimenticate". Le vogliamo
riscoprire per raccontare il lato nascosto dei nostri paesi, che una pubblicistica
stereotipata, vuole dormienti ma che in realtà sono attraversati dalle inquietudini, e
dai mali, della nostra epoca.