Il battaglione dei morti viventi

Era una fredda mattina di Natale, esattamente il 25 dicembre 1944. Era il primo Natale che passavo sul fronte, i giornali e le radio continuavano a gridare con entusiasmo che Berlino era vicina ma io cominciavo a non crederci più.
Mi chiamo Kerman Ravi e sono il comandante della 2° compagnia della 101° Airbone paracadutato nel bel mezzo di una regione della Francia chiamata Normandia e ora costretto a fronteggiare il nemico in una cittadina, o almeno in quel che ne rimane, di nome Kassel, nella Germania meridionale.
Pensavo alla sera precedente in cui io e la mia compagnia avevamo scoperto una specie di laboratorio nelle fondamenta della scuola elementare del paese, che era stata rasa al suolo da un colpo da 75 mm di un carro Sherman durante il nostro assalto. Non abbiamo ancora capito a cosa servisse ma mi venivano ancora in mente tutti quei corpi umani sezionati sui banchi in acciaio di quel dannato posto.. .una scena raccapricciante.
Fui distratto bruscamente da tali pensieri dal soldato semplice John che dall’alto del campanile iniziò ad urlare “Arrivano!!! direzione nord-ovest. Vedo cinquanta uomini circa... e conto uno... anzi due Tigre II”.
“Uomini ai proprio posti!”. Lo sapevamo che i tedeschi avrebbero tentato di riprendere Kassel e così avevamo già predisposto un piano di difesa. Al mio ordine erano tutti in posizione.
La gran parte degli edifici della città erano in rovina e offrivano molti punti per sparare da una posizione rialzata. Per sfruttarli dovevamo però costringere il nemico ad entrare nella via centrale, in modo da evitare di essere accerchiati e neutralizzare l’efficacia dei mezzi corazzati in uno spazio ristretto ed ingombro.
Non fu difficile, bastò far saltare qualche carica nei punti strategici per bloccare le altre vie. Kassel ora aveva una sola via di ingresso e una sola di uscita.

Alle 7.30, l’aria gelida e silenziosa fu invasa da un rumore pesante e cupo di scarponi che marciavano e dai motori diesel che spingevano quelle mastodontiche bestie in acciaio chiamate Tigre e armate di un potentissimo obice da 88 mm.
Alle 7.40 sentii un sibilo potente alla mia destra ed ebbi solo il tempo di gridare “Giù” ed abbassare la testa che l’edificio che una volta era una ferramenta si polverizzò letteralmente in una nuvola di fumo scagliando detriti in tutte le direzioni. Ora i carri erano all’inizio della via con i cinquanta uomini che avanzavano ai loro fianchi.
Miller, appostato al secondo piano di un caseggiato diroccato a cento metri davanti a me, prese una granata e con un tiro da vero professionista la lanciò all’altezza del cingolo destro. L’esplosione spezzò il cingolo e il carro si arenò pesantemente nella macerie mentre tre soldati tedeschi furono dilaniati dalle schegge. In quel momento con una sincronizzazione perfetta uscì da una via laterale Richard, anche lui con una granata nella mano destra. Coperto dal fuoco di copertura di Miller saltò sul carro, alzò lo sportello della torretta e lanciò la granata dentro poi corse via. L’acciaio spesso della torretta ovattò il rumore della deflagrazione ma è facile immaginare lo stato dell’equipaggio.
In tutto l’operazione era durata meno di dieci secondi. Lo stesso sistema fu adottato da Brian e Red 50 metri più indietro con l’altro Tigre.
Ora era il mio momento.
“Tutti fuori” urlai. Uscimmo come pazzi col fucile in mano verso la fanteria che non aveva più la copertura dei carri. Philipe non fece nemmeno in tempo ad uscire che una pallottola gli attraversò la testa spargendo resti di materia cerebrale sul cumulo di macerie dietro di lui.
Io mi misi a sparare con assoluta freddezza abbattendoli come se giocassi al tiro a segno. Lo stesso valeva per tutti gli altri.
Red che aveva prima distrutto la minaccia del tank fu ferito a una gamba e stramazzò al suolo. Mi girai per vedere se stava bene e uccisi un tedesco che stava per assalirlo alle spalle. Mi sorrise e fece 0k con le dita.
Lo spettacolo infernale era appena agli inizi.

 

Kerman non poteva minimamente immaginare che il suo battaglione era stato scelto come cavia per esperimenti... al pari di quei corpi che aveva trovato con i suoi compagni nel laboratorio segreto sotto la scuola.
“Prendete nota signori” disse l’ufficiale Herman guardando la cittadina di Kassel col binocolo “il piano Nazione Libera inizia ora, 25 dicembre 1944 alle ore 7.40”

 

Dopo dieci minuti tutto era finito, erano tutti morti... l’ultimo colpo che sparai risuonò come un pesante punto esclamativo per far terminare ciò che era successo.
Della mia squadra persi 7 uomini ed ebbi quattro feriti per fortuna non gravi. L’aria era intrisa del sapore della polvere da sparo e risuonava ancora il rombo delle esplosioni e degli spari.
Ci stavamo organizzando per il soccorso dei feriti e per la rimozione dei corpi dei caduti quando senti un rantolo e uno scricchiolio alle mie spalle.
Mi girai di scatto, tolsi la sicura al mio fucile e lo tenni saldo tra le mani.
Quello che vidi mi fece strabuzzare gli occhi... non era semplicemente possibile che quello che stava accadendo fosse... reale.
Il soldato della fanteria tedesca si rialzò come se nulla fosse accaduto, con in bella vista l’orrendo foro di proiettile che gli aveva attraversato l’occhio destro.
Anche i miei ragazzi rimasero immobili, impietriti dalla paura... almeno credo perché non avevo la forza di girare lo sguardo. Tutti i soldati si rialzarono in piedi come se si stessero risvegliando da un sonno profondo...
In preda al panico riuscii a mormorare “Tu... tu... tu dovresti essere morto... come fai a essere vivo?”
Poi attanagliato dalla paura iniziai ad urlare e a sparare.

 

Herman sentii il suono della battaglia nelle sue orecchie come una dolce melodia. “Sì”, si disse, “è stato un successone, una idea brillante creare un esercito di morti viventi”.
“Per fortuna” pensò “quegli stolti americani erano arrivati a esperimento concluso e il laboratorio da loro scoperto era gia stato abbandonato... ma gli altri erano perfettamente attivi”.
Dopo aver dato un ultimo sguardo agli americani che venivano falciati, dilaniati e massacrati, l’ufficiale tedesco si girò verso il gruppo di persone che aveva alle spalle e lo aveva osservato tutto il tempo con grande silenzio.
Erano i maggiori scienziati di tutta la Germania Nazista, le menti brillanti che avevano reso possibile la realizzazione di un’arma potentissima che avrebbe forse ribaltato le sorti del conflitto.
Rivolgendosi a loro disse “Il progetto è un successo, procedete pure al suo sviluppo. Nazione Libera passa alla fase B”. Poi parlando tra sè e sè disse “... e sarà una gran bella sorpresa per gli americani, ci sarà da divertirsi... o se ci sarà da divertirsi”.

Fabio Rondino