Il supplizio

Mi risveglio in un mare di tenebre. Non riesco a vedere niente. È come se qualcuno mi avesse bendato, ma non sento nessuna benda avvolgermi gli occhi. Il mio cuore prende a battere all’impazzata, e il sangue si riversa nelle vene in ondate furiose. Non so dove sono. Non ricordo cosa mi è successo. La mia mente sembra che sia stata centrifugata per un ora e poi aspirata con una cannuccia. Non riesco a pensare. I miei sensi si risvegliano lentamente...
Glic...
È stato il gocciolio a svegliarmi. Grosse gocce pesanti e dure come biglie s’infrangono sul mio cranio scandendo il ritmo di quest’incubo. Ora riesco a sentire le mani, e le gambe, ma... Merda! Sono incatenato a delle catene che cadono dal buio! Mi tirano le braccia e le gambe facendomi formare una X. Dove diavolo sono?
Glic...
Il maledetto gocciolio continua a sfondarmi il cranio e i timpani. È come una caduta libera nell’infinito gorgo della pazzia. Ma non deve andare così! Devo capire dove sono.
Scrollo le catene che mi imprigionano, ma non serve a niente. Sono tesissime. Inizio a piangere per la disperazione. Avvolto nelle spire del buio e della paura non posso far altro che piangere.
Glic...
Quant’è passato? Non lo so! Ho solo scoperto d’essere nudo come un verme. Il freddo mi sta azzannando con le sue zanne di ghiaccio con lentezza, come se volesse centellinare la mia carne.
Sento l’oblio inondarmi la mente, ma non devo svenire!
Ho scoperto anche che qualcuno mi ha rasato i capelli a zero. Perché? Non ne ho la minima idea. Cerco di risalire al mio ultimo ricordo. Non ci riesco. Faccio uno sforzo, ma... Ci sono! Ero al parco. Era notte, e stavo cercando Flash. Quel dannato cane s’era perso di nuovo. Erano già le undici e mezza, ma non l’avevo ancora trovato. Il parco eccetto me era vuoto. Solo qualche barbone affogato in un delirio alcolico o addormentato nelle panchine, ma io ero il solo sveglio. Mi stavo innervosendo. Quel cane aveva passato i limiti e mi stavo incazzando come una bestia perché stavo perdendo l’ultima di campionato. Ecco, mi ricordo che avevo sentito un’animale guaire. Avevo chiamato Flash, ma non mi aveva risposto nessuno. Incazzato come un drago mi ero addentrato nel boschetto del parco chiamando il cane a gran voce. Ma di Flash nemmeno l’ombra. Ricordo d’aver visto un barbone addossato al tronco di un albero. Era ubriaco come una scimmia e fischiettava un jingle irritante. L’avevo sorpassato, e dopo qualche secondo avevo iniziato a sentire un odore pungente. Flash! Niente ancora. Qualche passo e poi... Ora ricordo! Come ho fatto a dimenticarmene? Avevo trovato Flash a terra, agonizzante. Aveva uno squarcio slabbrato all’altezza della gola, e i suoi occhi mi guardavano imploranti, chiedendomi un aiuto che non potevo dargli. Mi ero inchinato e l’avevo preso in braccio ma una botta alla testa mi aveva scaraventato a terra. Avevo cercato di rialzarmi, e avevo visto il barbone del jingle incombere su di me con un manganello stretto in pugno. Solo che il suo sguardo non era più quello di un’ubriacone. Aveva occhi d’assassino. Prima però che potessi rialzarmi, mi aveva colpito di nuovo scagliandomi nel buio più buio.
Glic...
Ora ricordo. Il barbone non solo mi aveva ammazzato il cane, mi aveva anche rapito.
Con la mente febbricitante di paura cerco di pensare a un modo per tirarmi fuori da quest’incubo, ma proprio in questo momento sento un basso ronzio, poi delle luci s’accendono, illuminando a giorno il luogo dove sono imprigionato.
La luce mi smeriglia le pupille. Serro gli occhi con forza. Quando m’avvezzo alla luce dei neon, posso vedere dove diavolo sono... Rabbrividisco. È una sorta di macelleria, o meglio, sono al centro di un mattatoio. Un posto dove le bestie vengono uccise, e la loro carne viene sezionata, e poi congelata. Vedo buchi di scolo sul pavimento di pianelle incrostate di sporcizia e sangue raggrumato. Dal soffitto cadono delle catene e dei ganci acuminati. Le pareti sono cosparse di schizzi di sangue.
Ovunque posi lo sguardo vedo sangue. Ora che osservo meglio riesco a scorgere anche delle carogne ammassate negli angoli. L’odore di morte sembra squagliarmi le narici. Il mio stomaco viene sconquassato dai conati. Vomito per terra.
-Aiuto! Cosa diavolo volete da me?- grido al mattatoio vuoto. Nell’aria mi pare di sentire la morte aleggiare affamata. Sento il suo alito acido che mi soffia sul collo.
Urlo come una bestia impazzita, ma le mie grida si esauriscono presto senza risposte. L’unico risultato che ho ottenuto, è che ora mi sento la gola scorticata come se avessi ingoiato una granita di pezzi di vetro.
Le lampade al neon ronzano come mosche fastidiose. Alla loro luce fredda che mi riveste come un sudario guardo il mio corpo, e con orrore noto due cose che mi fanno sbiancare. Per prima cosa mi hanno completamente depilato. La mia pelle non ha più un pelo. Perché mi chiedo? La seconda cosa che noto è molto più inquietante. Il mio torace è costellato da una lunga cicatrice che gira intorno al mio pettorale destro e corre fino all’inguine. È una cicatrice fresca, sui cui sono nettamente visibili una miriade di punti di sutura scuri. Guardandoli mi sembrano piccoli vermi che escono dalla carne. Quella vista è una revolverata di adrenalina nel cervello.
-Cosa mi avete fatto? C’è qualcuno Cristo?... Aiuto!
Niente. Lacrime di disperazione mi rigano il volto. I miei occhi ormai perdono lacrime come due rubinetti rotti. Ho paura. Cosa mi hanno fatto?
Prima che possa darmi una risposta, sento il cigolare metallico di una porta che viene aperta. Tre persone varcano la porta e scendono la scala in ferro che porta alla zona riabbassata del mattatoio. Alla loro vista le mie grida muoiono in gola. Al posto della lingua mi pare d’avere una lastra di cemento.
Il primo uomo, quello che si muove sciolto come se fosse a casa sua, indossa una sorta di divisa da chirurgo, con tanto di mascherina verde e guanti chirurgici. Il suo viso è secco, e tra le mani stringe una piccola cartella. Mentre cammina mi guarda con occhi freddi, quasi stesse osservando un cadavere.
Gli altri due uomini sono più corpulenti, uno sembra di origini asiatiche, mentre l’altro è un afroamericano. Indossano completi eleganti, e in questo posto di morte sembrano davvero fuori luogo. Tutti e tre mi si fermano di fronte, a circa un paio di metri.
-Chi diavolo siete?- dico con voce rotta dalla paura.
-Come vedete il soggetto è in ottime condizioni. È qui da una settimana, ma l’abbiamo svegliato dal coma indotto solo oggi per poter...
-Cosa? Che cazzo dici?- grido spezzando a metà la frase del chirurgo.
Quello si volta verso di me e mi guarda come se avessi appena cagato su un sontuoso tappeto persiano.
-Stai zitto o ti cucio la bocca!- mi dice il chirurgo. Quel bastardo ha usato un tono diabolico, e i suoi occhi dicono che farebbe ciò che ha detto senza battere ciglio. Cerco di ribattere ma non ci riesco. Quello si volta di nuovo verso gli altri due e continua a parlare.
-Dicevo il soggetto è in ottime condizioni. Gli abbiamo preso un polmone, un rene, e un pezzo di fegato come avevamo pattuito...
-Cosa?- grido. Quelli non mi lesinano nemmeno un’occhiata.
-Per il resto è tutto vostro.- dice il chirurgo. -Se dovesse servirvi della strumentazione potete prendere questo.- dice prendendo qualcosa alle mie spalle. Sento uno sferragliare acuto, e quando il chirurgo rientra nella mia visuale vedo che si è tirato dietro un carrello in acciaio inossidabile pieno di strumentazione chirurgica.
Inizio a capire cosa mi aspetta. Piango.
-Quanto tempo abbiamo?- chiede l’asiatico.
-Tutto il tempo che volete.
L’asiatico annuisce soddisfatto e si volta verso di me. Mi sorride. Ma è un sorriso che trasuda perversione.
-Bene signori. A dopo.- dice il chirurgo e se ne và, chiudendo la pesante porta in ferro.
I due uomini iniziano a spogliarsi, e al tempo stesso mi girano intorno come per studiarmi.
-Vi prego lasciatemi stare... Giuro che non dirò niente a nessuno!
Le mie suppliche non sortiscono nessun effetto. I due si sorridono come compiaciuti d’aver fatto un ottimo acquisto. Ma cosa diavolo vogliono da me?
Ora mi fronteggiano. Sono completamente nudi. Come me. Solo che loro non sono incatenati. Loro non stanno tremando e piangendo. Non si sono pisciati addosso dalla paura.
-Lo vuoi fare con urla o senza?- chiede il nero al giapponese.
-No urla.- dice laconico il nipponico facendomi l’occhiolino.
Il nero prende qualcosa dal carrello e si porta alle mie spalle. Sento un rumore violento, ma prima che possa rendermi conto di che rumore sia, la mia bocca viene chiusa con irruenza dal del nastro adesivo. Il nero mi avvolge per bene lo scotch intorno alla testa. Sento che ogni battito del mio cuore è un’esplosione.
Il giapponese mi si avvicina sorridente. Mi accarezza la guancia con una mano ben curata, poi mi sussurra all’orecchio sinistro:
-Dimmi buon appetito!
Prima che possa solo realizzare ciò che mi ha detto, quel bastardo mi addenta il lobo superiore e me lo strappa con rabbia. Il dolore è accecante. Mi scosto, o quantomeno provo a farlo, ma quello mi tiene ferma la testa con quelle sue forti mani e con ferocia continua a mordermi l’orecchio, che gronda sangue a fiotti.
In mezzo alle esplosioni di dolore, sento che il nero sta ridendo. Vorrei gridare, vomitare fuori tutto il mio dolore, ma non posso. Il nastro adesivo me lo impedisce.
Il nero mi si fa vicino e mi addenta un polso, stracciando con i denti i muscoli e i tendini che vedo aggrovigliarsi come corde di chitarra spezzate.
Mentre soffro come una bestia, vedo il nero e il giapponese che masticano con gusto la mia carne. Si scambiano un’occhiata compiaciuta, come se la potrebbero scambiare due teen-ager che stanno divorando un Royal Burger appena servito e grondante ketchup.
Come lupi famelici i due bastardi si gettano di nuovo su me. Il nero strappa via con i denti i punti di sutura riaprendomi l’immensa ferita. Sento i suoi canini che mi addentano le viscere, strappandole via. Quando penso di aver raggiunto il culmine della sofferenza, il giapponese mi azzanna la gola, strappandomi la trachea e le corde vocali. Inizio a tremare convulsamente, come se fossi sulla sedia elettrica. Mi piscio addosso dal dolore. Sto impazzendo e non posso fare niente! Questi stronzi mi stanno mangiando vivo!
Glic...
Le maledette gocce continuano a sfondarmi il cranio e a scandire questa macabra cena.
Vedo quei bastardi spargersi addosso il mio sangue. Stanno ancora masticando. Forse le mie corde vocali, o forse un pezzo del mio fegato.
Il nero ha preso un bisturi. Sorride. Forse è finita. Mi ucciderà... No! Il bastardo mi sta incidendo il volto, si aiuta col coltello per strapparmi la faccia a morsi! Noo!

 

Buio

 

Il mio cuore non ha retto. L’ ho sentito esplodere. Finalmente è finita. Mi sento cadere in un pozzo scuro, come se mi fossi buttato da un aereo senza paracadute. Angoscia. Poi... Poi più nulla.

 

Buio

 

L’uomo vestito da chirurgo fece accompagnare da uno dei ragazzi della sicurezza i due clienti a lavarsi. Poi scese le scale tenendo sempre gli occhi fissi su ciò che era rimasto dell’uomo legato alle catene. Scosse la testa. L’avevano ridotto davvero male.
-Cannibali del cazzo!- disse accendendosi una sigaretta. Il chirurgo non sapeva cos’era la pietà. A lui interessavano solo i soldi.
Glic...
-E quello che cazzo è?- disse ad alta voce l’uomo osservando delle grosse gocce che cadevano da un tubo che correva per il soffitto.
-Merda! In questo posto va tutto a pezzi!
“Cannibali del cazzo!” pensò osservando la cartella. “Vediamo dopo tocca a... Necrofili! Belli quelli!”
Dopo qualche minuto il chirurgo si fumò un’altra bionda e stette a guardare i ragazzi che pulivano quel casino. Mentre li osservava pulire, pensò che quella notte sarebbero dovuti tornare parecchie volte. La serata era appena iniziata.

Piergiorgio Pulisci