La mia
ombra percorreva il corridoio bianco, sporco. I muri erano marci, gonfi e corrosi
dall'umidità. Lo stucco del muro si era sbriciolato, mostrando enormi buchi neri
ricoperti di muffa verdina. Era davvero un'immagine penosa. Camminavo pestando cocci di
pietra e frammenti di ceramica. Era tutto sporco. Per terra c'era del gesso sgretolato.
L'aria era intrisa di quella polvere di gesso. Quel corridoio era lunghissimo. Mi dava
l'impressione di non finire mai. Più camminavo e più vedevo il corridoio sempre ridotto
peggio, c'era un odore di putrido e fetido sempre più pesante, non riuscivo quasi a
respirare.
Avrei voluto così tanto tornare indietro. C'erano macchie strane sul muro sempre meno
bianco. Sembrava unto di olio o di grasso per motori. Disgustoso. Man mano che lo
percorrevo, mi accorsi che il corridoio tendeva a restringersi e il soffitto ad
abbassarsi. Mi mancava davvero l'ossigeno. C'era oltretutto un gran caldo. Terribile. Un
caldo e un'umidità pazzesca. Non resistevo. Chissà che aria stavo respirando, mi si
attaccava tutta alla pelle e ai capelli. Mi sentivo come se fossi stata chiusa in un
soffocante sacchetto di plastica spessa.
Il muro ormai non era più neanche lontanamente bianco, ma assumeva colorazioni rosse e
nere. Sangue e veleno, per l'esattezza. Mi veniva da vomitare.
C'erano schizzi marroni sul
muro. Era probabile che chi mi avesse preceduto avesse avuto il mio stesso stimolo. Mi
venivano in gola conati sempre più forti. Ma volevo resistere, dovevo resistere, sarebbe
stato solo l'inizio, questo. Ma non lo sapevo. Io non lo sapevo e come me, tutti quegli
altri disgraziati che mi hanno anticipato.
"Avanti, resisti!" dicevo tra me e me, ma quando il pavimento diventò melma
maleodorante, molle e vischiosa non ce la feci più. Mi voltai e corsi nella direzione
opposta. Dovevo uscire assolutamente, non resistevo più. E lì fu il mio errore. Nel
tentativo disperato di scappare non capivo che avrei solo peggiorato la mia situazione.
Infatti più correvo e più intorno a me era peggio della melma: ero costretta a correre
su mucchi di membra umane intrise di sangue. Provai a voltarmi per ritornare nel pantano,
ma il percorso vecchio era stato sbarrato da un muro intoccabile, indescrivibile,
orrendamente sporco di qualsiasi cosa. Chiusi gli occhi e feci finta di ignorare l'odore
ferruginoso e rivoltante del sangue fresco e coagulato, e provai a fare finta di non
sentire quel viscidume che avvertivo sotto i miei piedi ad ogni mio passo. Altre cose
nauseanti trovai in quel corridoio, ma strinsi i denti, forse per terrore che la mia
situazione degenerasse più di quello che già era, come quando era avvenuto prima mentre
cercavo di tornare indietro.
Finalmente c'ero, vedevo una porta di metallo rosso pesantissimo davanti a me. Ero
finalmente arrivata. Toccai quella porta per spingerla, ma era ardente e mi ustionai la
mano. Una voce dall'interno mi chiese: "Nome e Cognome, prego." Io risposi
dicendo i miei dati personali e la voce dall'interno disse: "Uhm. sì, c'è. Entri,
prego."
Detto questo mi spalancò i cancelli dell'inferno.