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Secondo era un mutante artificiale, fatto ad immagine e somiglianza di Boreo, il potente
scienziato marziano che teneva in pugno le sorti del pianeta e dei suoi sette miliardi di
abitanti.
Col suo mutante artificiale, Boreo si riprometteva di mettere alla prova le possibilità
di essere privi di volontà proprie coi quali avrebbe potuto dominare non solo il suo
sterminato popolo, ove la ribellione, sempre latente, esplodeva assai spesso, ma,
addirittura, i popoli degli altri pianeti. Fu per questa ragione che, non appena ritenne
che fosse arrivato il momento, Boreo mandò il suo mutante in missione nel terzo pianeta
del sistema solare, quello chiamato Terra.
Boreo Secondo venne depositato da una grande silenziosissima astronave marziana in una
grande pianura. Pochi secondi dopo l'astronave ripartiva in senso verticale lasciando
Boreo Secondo solo ma legato al centro telecibernetico del suo padrone per mezzo delle
decine di milioni di gangli paracerebrali annidati nella scatola cranica che aveva in
tutto e per tutto l'aspetto di una comune testa umana, come, d'altronde, era umano il
resto del corpo.
Identico com'era ai terrestri ed ai marziani, Boreo Secondo passò inosservato e le uniche
a guardarlo con un certo interesse furono le giovani donne che incontrava per le vie della
città che aveva raggiunto dopo qualche ora di marcia durante la notte.
Questo si spiegava facilmente, poichè Boreo Secondo aveva l'aspetto di un bel giovane dai
capelli quasi bianchi e dal roseo colorito proprio degli albini.
Chiunque lo vedeva, diceva fra sè: ecco un bel tipo di artista; deve essere un musicista,
un poeta o qualcosa del genere.
Boreo Secondo, però non conosceva l'amore ed il desiderio perchè era un mutante
artificiale, un uomo creato in laboratorio, e tutte le sue prerogative erano condizionate
ed orientate solo verso gli obiettivi che il suo padrone, ed inventore aveva stabilito
minutamente.
Così, un'ora dopo che Boreo Secondo passeggiava per le via di Albetown, venne avvicinato
da una giovane donna che gli sorrise e gli parlò. Immediatamente, il traduttore mentale
di Boreo Secondo mise il mutante in condizioni di capire le parole della donna.
- Voi siete fatto divinamente, signore, e vi prego di crederlo. Sono Ala Sirial, la
pittrice di cui forse avrete sentito parlare. Vi prego di posare per me.
A Boreo Secondo occorse un quarto di secondo per interrogare il suo cervello cibernetico
ed aspettare di sapere il significato di <pittrice> e di <posare>, poi rispose
di sì.
Era quello che gli serviva: stabilire un contatto con la popolazione del terzo pianeta
approfittando della <prima occasione>.
La pittrice Ala Sirial era la <prima occasione>.
Dopo tre lunghe ore di <posa>, la pittrice depose il pennello in uno stretto vaso di
metallo luccicante e, rivolta a Boreo Secondo, disse:
- Per oggi abbiamo finito. Puoi rivestirti. A proposito, non ti ho ancora chiesto qual è
il tuo nome.
Il mutante stava rimettendo la stretta blusa argentata che aveva dovuto togliere per
indossare una specie di peplo bianco che la pittrice gli aveva porto e, prima di
rispondere, prese un decimo di secondo per farsi istruire dal cervello.
- Arko - rispose poi - sono di Melbourne, Australia.
- Bene, Arko - fece Ala con un moto di gioia nella voce - se vuoi ti porto a vedere la
nostra piccola Albetown. Tu sei forestiero e non sei mai stato nel nuovo Texas. Vuoi
uscire con me?
Boreo Secondo, che ora chiameremo Arko, accettò di andare in giro con la bella Ala senza
nemmeno supporre quali fossero gli scopi della giovane donna.
La pittrice fermò la macchina in un viale alberato in fondo al quale brillavano le luci
di Albetowm, ormai lontana. C'era buio intorno e le cicale frinivano perchè era estate e
faceva molto caldo.
Ala Sirial sentiva il caldo in modo particolare, malgrado indossasse un paio di cortissimi
short ed una camicetta di fibra sintetica molto leggera ed aderente. La donna stese le
braccia sul volante aderendo allo schienale e con mossa languida disse d'un tratto al suo
compagno:
- Baciami!
Arko comprese che la donna terrestre voleva da lui qualcosa e chiese, come al solito,
istruzioni al cervello cibernetico. Le istruzioni vennero in capo a sette secondi. Subito
dopo, Arko, che ormai ne sapeva abbastanza, baciò la donna e la strinse tra le braccia
mentre lei si dibatteva e sembrava che mugolasse e non volesse più smettere.
Arko non era stanco, dato che il professor Boreo non lo aveva condizionato per la
stanchezza, ma aveva la capacità di annoiarsi, sempre col permesso del suo padrone, che,
invece, lo aveva condizionato per la noia.
Per questa ragione smise di abbracciare quella donna. Ma lei non era affatto d'accordo e
pareva che volesse qualcosa da lui.
Cosa? Si rivolse ancora al suo cervello e la risposta che ne ebbe lo lasciò perplesso:
<tu non puoi dare alla donna terrestre quello che lei in questo momento vuole te>.
- Ma che uomo sei? - chiese finalmente la donna al mutante. La sua voce era decisamente
irritata quando disse: - Ho conosciuto altri australiani, ma non hanno certo agito come
te!
- Ma io... - fece Arko.
-Tu cosa? - lo aggredì lei senza togliergli le braccia strette intorno al collo e con la
bocca vicina alla sua bocca.
- Io... io... niente... Voglio solo tornare nella città.
***
Arko e Ala rientrarono nella casa di lei.
- Vuoi mangiare? - chiese la pittrice al suo amico.
Mangiare? La domanda, come al solito, non la capiva. Chiese istruzioni al cervello.
<Tu non puoi mangiare come i terrestri - fu la risposta - non hai un apparato digerente
come loro. Tu sai cosa ti serve per mantenerti in forma>. Certo, lui sapeva quanto Q4
gli occorreva per mantenersi in forma, perchè il suo meccanismo para-umano continuasse a
funzionare. Ma dov'era il Q4? Possedeva il dono della memoria, fino ad una certa quantità
di tempo, e così non ebbe bisogno di interrogare il suo cervello per ricordare che
l'astronave che lo aveva depositato sulla Terra gli aveva messo accanto le razioni di Q4.
Ma lui le aveva dimenticate o smarrite. Come fare, ora, per ricordare l'esatto punto in
cui era stato lasciato?
- No, non voglio mangiare - rispose.
Sentiva intanto che il Q4 della riserva stava esaurendosi. Senza Q4 non avrebbe potuto
andare avanti.
<Lo chiedo alla donna terrestre dove posso trovare il Q4?>, chiese al cervello.
Il cervello rispose di no. Non doveva rivelare ad alcuno che era un mutante-robot in
missione. Non poteva assolutamente.
- Io esco - disse allora alla donna.
Ala aveva indossato una corta tunichetta e le sue movenze erano languide e morbide. Era
decisamente una cosa che lui non capiva. Forse tutte le donne terrestri erano come questa,
parlavano con voce roca, guardavano gli uomini con quello sguardo che sembrava chiedere
qualcosa e lui non sapeva cosa.
- Tornerai? - chiese allora la donna.
- Sì - rispose lui. Era stato il cervello a suggerirgli automaticamente quella risposta,
capace di quietare quella strana creatura della Terra.
***
Le strade erano molto animate e c'erano luci, suoni, macchine di ogni
forma, ruotanti sulle strade, volanti a bassa quota. Più o meno come su Marte. Ma lui
aveva bisogno di Q4. Dove trovarlo?
Il cervello non sapeva rispondere a questa domanda. E questo era, abbastanza chiaro ad
Arko: quella domanda faceva parte dello <spazio nero> del suo cervello paraumano.
Era lui che doveva adoperarsi per avere la risposta: una delle 764.872 risposte che
avrebbe dovuto registrare nello <spazio nero> durante la sua missione nella Terra.
Boreo lo aveva condizionato fino ad un certo punto: lo scopo della missione del mutante
consisteva anche in quello: che, sulla scorta delle 30.000 risposte che aveva
immagazzinato nel cervello cibernetico, lui avrebbe dovuto porsi dei problemi e risolverli
da solo.
Continuò a camminare fino a quando si trovò in periferia. C'erano villette ai lati della
strada ed ogni villetta era circondata da un giardino. Le luci erano accese quasi ovunque
perchè l'ora non era tarda. Le nove e cinque minuti di sera, come segnava il suo
cronometro interno. Molte auto passavano accanto a lui, veloci, e dentro c'erano uomini e
donne. A poche decine di metri dalla sua testa gli eli-taxi passavano e si fermavano
silenziosissimi alle torri di fermata che finivano con una piattaforma circolare che si
poteva raggiungere con un ascensore continuamente in movimento.
Camminò ancora per qualche tempo e si trovò quasi in campagna. Le costruzioni erano
diventate rare e quando c'erano, erano tutte recintate da altri muri o cancelli. Si
vedevano in fondo, arroccate su piccole gibbosità del terreno, grandi ville con molte
finestre, tutte illuminate. E alberi intorno, molti alberi...
Una di queste ville, con un alto muro biancastro intorno, aveva il cancello aperto.
C'erano auto ed elimezzi intorno. Tutti dipinti in bianco. Boreo Secondo, da qualche tempo
chiamato Arko, entrò decisamente.
***
- Il signore desidera qualcosa?
Colui che faceva la domanda ad Arko indossava un camice bianco e sorrideva. Aveva i
capelli bianchi, come lui, Arko. Solo che quell'uomo presentava sul viso come delle
grinze, sotto gli occhi la pelle non era liscia ma presentava delle onde.
Arko chiese istruzioni al cervello e dopo rispose che desiderava vedere il primario.
Lo fecero entrare in un salotto con delle panche di metallo dipinte anch'esse col colore
dominante: il bianco. C'erano uomini e donne intorno che andavano e venivano
frettolosamente.
Poco dopo un uomo, anche lui col camice bianco, entrò, e tese la mano ad Arko per dirgli:
- Sono il dottor Oliver. Arko seppe immediatamente che quello era il primario. Allora
parlò a lungo: diceva parole che non comprendeva e nelle frazioni di secondo di pausa si
interrogava sul significato delle parole che diceva. Ma il primario lo seguiva molto
interessato. Alla fine il primario disse:
- Lei è il benvenuto fra noi, dottor Rogen. Io la conosco di fama e sono felice di
poterla avere per qualche tempo nell'istituto che dirigo. I suoi studi sul comportamento
del sub-cosciente nel viaggio spaziale sono stati attentamente seguiti da tutti noi, anche
se qualcuno dissente.
- Avremo modo di parlarne, dottore - intervenne Arko.
Non ne poteva più: il bisogno di Q4 diveniva di attimo in attimo più pressante.
***
Un quarto d'ora dopo, Boreo Secondo, che ora chiameremo Rogen, si
trovava nella spaziosa camera che gli avevano assegnato nell'Istituto Psichiatrico di
Albetown.
- Chi è il dottor Rogen? - chiese al proprio cervello cibernetico.
- Nessuno - fu la risposta - Il dottor Rogen non esiste. Tu hai fatto credere il contrario
al dottor Oliver per mezzo dei poteri che tieni nella sfera Quaranta del cervello. Fino a
quando l'occhio settimo che porti sul torace rimarrà acceso emettendo luce verde, tu
potrai sottoporre i terrestri alle tue induzioni magnetiche e potrai far credere tutto
ciò che vorrai.
L'occhio settimo!
Sapeva che se l'occhio settimo avesse emesso luce rossa, il suo meccanismo si sarebbe
presto degenerato ed in breve sarebbe stato ridotto ad un ammasso di plastica, relais e
lampade colorate.
E sapeva che se non avesse ingerito la solita dose di Q4 la lampada rossa si sarebbe
accesa.
Rogen mise in azione la sfera Undici del suo cervello, riservata agli studi chimorganici:
si trattava di scoprire la formula terrestre dell'elemento Q4 e gli usi a cui gli abitanti
del terzo pianeta lo riservavano. Che l'elemento Q4 fosse presente sulla Terra non
esistevano dubbi: lo aveva avvertito il rivelatore incorporato nel condotto auricolare di
Rogen al momento in cui era sceso dall'astronave.
Impostato il problema, Rogen si dispose ad attendere la risposta. I gangli della sfera
Undici si misero in movimento e portarono a termine le 72.345 operazioni in undici secondi
e cinque decimi: l'elemento Q4 veniva usato dai terrestri come disinfettante, se ne
trovava negli ospedali in discrete quantità. La maniera di individuarlo era affidata
all'odore caratteristico che emanava a contatto con l'ossigeno che circondava l'atmosfera
terrestre.
Immediatamente entrò in funzione la sfera Ventuno, quella dei cinque sensi che servivano
agli umani, tra cui l'olfatto. La sede centrale del cervello assegnò alla sfera Ventuno
la tipologia degli odori che si presentavano nell'ambiente. L'ordine trasmesso a Rogen fu
molto conciso: <Percorri l'intero edificio in cui ti trovi: quando sarai vicino
all'elemento Q4 sentirai accendersi la spia luminosa che porti sul torace, parte sinistra
e immediatamente la sfera Quaranta si metterà in agitazione. Tu dovrai, nel giro di sette
minuti, impossessarti dell'elemento Q4. Se non riuscirai, la tua missione sarà
fallita>.
***
Indossò il camice bianco che l'infermiera gli aveva consegnato al
momento di accompagnarlo nella sua stanza. Non avrebbe destato l'attenzione di tutta
quella gente. Percorse alcune sale, entrò, per subito uscirne, in molte camere di uomini
e donne in pigiama. Era gente strana, quella! Diversi da Ala Sirial o dal dottor Oliver.
Questi lo guardavano fisso e negli occhi avevano come un brillio che increspava anche le
labbra.
Entrò nella stanza di una giovane la quale, appena lo vide gli corse incontro e lo
abbracciò prendendo a baciarlo freneticamente e mugolando parole strane.
<Decisamente le donne della Terra vogliono abbracciare e baciare gli uomini che
incontrano> - rifletté il robot che ricordava il comportamento dell'unica donna che
aveva conosciuta: la pittrice.
Riuscì a svincolarsi dall'abbraccio della ragazza la quale, per tutta risposta, lo battè
con la mano aperta, sulla guancia.
Notò con indifferenza la smorfia di dolore della ragazza che ritirò la mano e se la
massaggiò con l'altra, come per distendere i muscoli.
Chiese la spiegazione al cervello:
<La donna terrestre - rispose il cervello di Rogen a Rogen - ha sentito il dolore
perché colpendo la tua guancia indistruttibile, i muscoli della sua mano sono stati
sottoposti ad una resistenza superiore alla capacità di resistenza di quei muscoli detti
dai terrestri tendini>.
***
Rogen vagò per l'immensa clinica ancora per qualche tempo. La sfera
Ventuno taceva. Altrimenti lui avrebbe sentito il calore della lampada che si accendeva
sul torace.
Quando ebbe esplorato tutti i locali, salutato spesso dagli uomini e dalle donne in camice
bianco, Rogen si imbatté in una cabina molto ampia sulla quale c'era una scritta che non
comprendeva.
Rogen, infatti, aveva imparato l'inglese parlato in tre minuti e quaranta secondi, per
mezzo della sfera Tre, ma non aveva imparato l'inglese scritto.
Impiegò altri due minuti, esatti, per saper leggere ogni possibile parola scritta in
inglese e potè decifrare il significato della scritta luminosa: SUB, sotterraneo,
profondo.
Entrò nella cabina, un montacarichi, lesse le istruzioni per manovrarla e premette il
bottone. Le porte si chiusero e cominciò la breve corsa verso i sotterranei della grande
clinica per alienati. Si riaprirono poco dopo e Rogen si trovò in un corridoio molto
spazioso. C'erano, vuote, due barelle. Un tubo fluorescente correva per tutto il soffitto
curvo del corridoio. Da qualche parte proveniva un rumore continuo, non molto elevato ma
di frequenza molto alta. Rogen controllò, oltre alla frequenza del suono che interessava
la sfera Ventuno, anche la temperatura. Lui non poteva sentire caldo o freddo, ma sapeva
che erano fenomeni esistenti tanto per i terrestri che per i marziani ed il suo padrone
voleva a questo proposito avere notizie precise. Una delle 764.872 risposte che lui
avrebbe dovuto dare a missione compiuta.
La temperatura in quel luogo era molto bassa: tre sotto zero.
Si diresse verso lo sbocco a sinistra del corridoio. In giro non c'era nessuno.
Si trovò in una stanza piuttosto piccola, quadrata nella quale si apriva una porta assai
pesante: chiusa. Provò a scuoterla ma la porta resistette. Allora chiese istruzioni al
cervello:
<Metti in azione il concetto di forza>, rispose il cervello di Rogen <in maniera
di mettere in funzione la sfera Otto>.
Rogen ubbidì e riprovò ad aprire: la massiccia maniglia bloccata da una serratura
d'acciaio spessa cinque centimetri si spezzò come un fuscello nella mano delicata di
Rogen rinforzata da un flusso di energia pari a due tonnellate per centimetro quadrato.
Il mutante artificiale ebbe la presenza di spirito di interrompere il flusso di energia e
tolse il contatto con la sfera della forza. Altrimenti avrebbe demolito ogni cosa al solo
sfiorarla.
Non appena la porta di ferro fu aperta, la sfera Ventuno entrò in agitazione
psico-motoria artificiale. Sentì accendersi la spia luminosa rossa sul torace e un
secondo dopo anche la sfera Quaranta, quella ove risiedevano i suoi poteri fondamentali,
compreso quello di mettersi in contatto col suo padrone e di dare l'allarme, entrò in
agitazione psicomotoria.
ORA AVEVA SETTE MINUTI PER ASSIMILARE L'ELEMENTO Q4! Guardò l'ambiente ove si trovava:
c'erano otto piani di color bianco translucido, alti un metro o poco più e lunghi pressa
poco quanto un uomo.
La luce non era forte. Fece qualche passo in direzione dell'ottavo piano di appoggio, in
fondo. E vide.
Sul piano, stesa in posizione supina, completamente priva di indumenti, stava una donna.
Rogen sentì che i suoi meccanismi agivano spasmodicamente e provò qualcosa di molto
simile al parossismo negli umani, fenomeno sul quale aveva assorbito duecentoventitrè
volumi marziani.
Si avvicinò deciso ad impadronirsi dell'elemento Q4. Nessuno lo avrebbe fermato.
Guardò la donna e non fu necessario chiedere al cervello la spiegazione di quella
immobilità: conosceva l'aspettto della morte, comune sia ai terrestri che ai marziani. Il
cervello della donna era stato operato. Si vedeva il segno delle incisione della calotta
cranica, riaccostata alla meglio al resto del cranio.
C'era un foglio di alluminio accanto al cadavere, scritto in inglese. Dopo l'indicazione
del nome e dell'età della morta, veniva spiegata la ragione del decesso: <affetta da
crisi isterica di tipo schizofrenico, ha aggredito un altro paziente il quale, afferrato
un corpo contundente (agli atti) l'ha colpita ripetutamente alla testa. Sottoposta ad
operazione, è spirata per la gravità delle lesioni>.
Rogen era ormai vicino al suo elemento. La sfera Ventuno, preposta ai cinque sensi umani
non poteva sbagliare: l'elemento era SU quella donna o IN quella donna.
Avvicinò la testa e annusò il cadavere. Arrivato alla testa, ebbe la certezza:
l'elemento Q4 si trovava nella testa della donna. Mancavano solo due minuti alla scadenza
del suo terribile traguardo. Il potere del professor Boreo si rivelò, brutale: lui, Boreo
Secondo sulla Terra, chiamato Arko, Rogen, non poteva mancare lo scopo della sua missione.
Boreo Secondo era condizionato in modo da provare anche il SENSO DEL DOLORE.
Allungò le mani sottili sulla calotta cranica della morta e la asportò. <Ecco
l'elemento Q4>, pensò Rogen-Boreo Secondo, <un disinfettante che i chirurghi
terrestri usano per le loro operazioni. Nel cervello di questa donna morta c'è abbastanza
perchè io possa portare a termine la missione>. Si abbassò e poso le labbra sul
cervello della morta.
Avidamente, fino a suggere l'ultima stilla di elemento Q4. In quell'attimo scattava il
sessantesimo secondo del settimo minuto dall'inizio della crisi psico-motoria del suo
organismo para-umano.
***
Riequilibrato dall'immissione del suo indispensabile elemento, Rogen si
avviò verso l'uscita dell'obitorio.
Fu in quel momento che entrò un uomo vestito con una tuta azzurra. L'uomo guardò Rogen
ed assunse subito una espressione terrorizzata: l'uomo in camice bianco che gli stava
davanti era tutto sporco di sangue e dalle labbra gli colava una sostanza grigiastra
striata di rosso cupo.
- Ah! - Il grido dell'uomo in tuta azzurra risuonò sinistro nel triste luogo mentre
Rogen, azionato dall'istinto di conservazione che Boreo gli aveva inoculato insieme a
tante altre reazioni umane, gli scaricava direttamente dalle cellule fotoelettriche aventi
l'aspetto di normali occhi, un fascio di ultrasuoni ad altissima frequenza che fecero
scoppiare il sistema cardio-vascolare del disgraziato, un inserviente.
Rogen scavalcò il morto ed uscì dalla scala; chiuse la pesante porta e si avviò verso
l'ascensore.
Una volta dentro la cabina i suoi occhi caddero su un piccolo specchio collocato in un
angolo (probabilmente da qualche giovane infermiera addetta al mesto rito di accudire ai
cadaveri che per ragioni di studio o altro dovevano sostare nell'obitorio della enorme
clinica). Per la prima volta da quando era stato costruito, Boreo Secondo vide se stesso
riflesso in uno specchio: qualcosa in lui cedette, in quel momento. Fu un attimo. Chiese
spiegazioni al cervello ma la risposta che ebbe, lo lasciò perplesso:
<La miscela esplosiva chiamata dinamite fu scoperta da uno scienziato svedese di nome
Nobel>.
Insistè per ottenere la risposta giusta: Il cervello funzionava ancora con la solita
rapidità:
<Marylin Monroe fu una bellissima attrice cinematografica americana del secolo scorso.
Contrasse quattro matrimoni ed uno dei suoi mariti fu lo scrittore e commediografo Arthur
Miller>.
Le risposte che seguirono disorientarono completamente Rogen: il cervello, senza alcuna
richiesta da parte sua, spiegava la formula della maionese, cibo terrestre fatto con uova
olio e limone, dava la formula dell'allume di rocca e precisava in che anno Giulio Cesare
aveva conquistato la Britannia, antico nome dell'attuale Gran Bretagna.
Di nuovo preda della agitazione psico-motoria, Rogen risalì rapidamente nella sua camera,
cambiò il camice con la giubba che portava prima e corse fuori, verso la pianura sulla
quale ventiquattro ore prima era disceso.
Passò per le strade come una furia: agitando i suoi pugni potenti come mazze, rovinava
muri, vetrine, veicoli. Uccise molti uomini. Ricevette molte pallottole nel corpo. Ma non
sentiva alcun male. Cominciò a correre. Spiccò un salto di quasi due metri. La parte non
avariata della sua memoria gli diceva che tra le sue possibilità c'era anche quella del
volo all'altezza di pochi metri, tuttavia spiccò un salto ma rotolò sul tetto spiovente
di una fattoria. Cadde. Si rialzò mentre una donna anziana che aveva assistito alla scena
guardava muta per il terrore e con le mani aperte e posate sulle guance.
Arrivato nel mezzo della pianura si fermò ed il suo dispositivo di autoconservazione mise
in azione l'allarme: <Venite a riprendermi. Altrimenti cadrò in mano ai terrestri>.
Il messaggio guizzò per gli spazi siderali e giunse a Boreo dopo un certo tempo che
calcolato col tempo marziano equivaleva a poco più di mezz'ora. In capo a pochi secondi,
Boreo impartì l'ordine: recuperare Boreo Secondo, in missione sulla Terra.
***
Quando Boreo Secondo discese dall'astronave, il professor Boreo,
attorniato dai suoi più intimi collaboratori, stava ad aspettarlo.
Boreo Secondo, assai mal ridotto, si avvicinò al padrone e, non appena questi gli fu a
tiro, gli saltò addosso e lo morse tra collo e mascella.
Boreo Primo e Boreo Secondo caddero avvinghiati a terra e lottarono.
Poi Boreo Primo si rialzò, lacero, ferito, ma vincitore. Il mutante artificiale, l'uomo
di laboratorio, il robot quasi umano era ai suoi piedi, spento per sempre.
In quell'attimo la scintilla scoppiò nella mente di Boreo e lui fece una lunga,
incomprensibile risata all'indirizzo dei presenti che lo guardavano senza capire.
Poi Boreo pronunciò alcune parole sconnesse, si strappò gli abiti, cominciò a fare
delle capriole sul terreno, afferrò una pistola ad ultrasuoni e stese una decina di
personaggi del seguito.
Allora tutti gli altri si gettarono su Boreo e lo fecero a pezzi. Lottavano per lo più a
morsi e gran parte del terribile onnipotente tiranno di Marte non si trovò più sul
terreno ed in nessun altro luogo.
Ma quello fu appena il principio: Boreo Secondo reduce dalla sua missione sulla Terra
aveva portato la pazzia che aveva assorbito quando aveva calato la bocca famelica sul
cervello della folle morta.
Contrariamente che sulla Terra, però, la pazzia su Marte era contagiosa.
E su Marte fu il caos...
Racconti rari dell'orrore scelti da Sergio Bissoli. Apparso su Terrore Sansoni n. 2 luglio 1962. E' un racconto di fantascienza orrorifica di autore irreperibile. Racconto rarissimo, inesplicabile e pieno di imprevisti.