Decisi di descrivere lo spettro
che mi si era posato
a mezzanotte sul cuscino.
(M.W. Shelley Frankenstein - Prefazione)
Non
trovando niente di meglio da fare Enrico prese il fucile e sparò quattro colpi in rapida
sequenza con lunico effetto di rovinare laffresco che era alle spalle
dellaltare dove la madonna di Florencia, in rosso e azzurro, stringeva fra le
braccia un bambino Gesù sorridente.
La luce del giorno scompariva lentamente lasciando il posto alloscurità che nera e
umida stava inghiottendo tutto. Dalle bifore un debolissimo raggio di luna faceva capolino
quasi restio a mostrarsi, ultima propaggine di una natura ormai deviata che lanciava le
sue frecce sullultimo sopravvissuto della cittadina. Era chiaro è assurdo quello
che stava capitando ai suoi amici, parenti e a tutti gli altri e sperava che quel posto in
cui si era rintanato lo potesse proteggere da quella situazione.
Ripensava a quando per la prima volta aveva sentito dire dei giorni che andavano
accorciandosi in maniera innaturale e di come fossero comparsi nei capanni di legno tutto
intorno alla città i fuochi azzurri che illuminavano una piccola porzione di terreno
rendendola cerulea per poi sparire poco prima che lalba rischiarasse la vallata.
Forse dei ragazzi che lasciavano accesi i fuochi per divertirsi nella notte oppure qualche
bracconiere che si riscaldava. In fondo a nessuno andava a genio né luna né
laltra di queste ipotesi ma propendevano quasi unanimemente per un non meglio
definito spirito delle campagne, daltronde quellazzurro speciale come
avrebbero potuto spiegarlo?
Ad Enrico piaceva questa spiegazione e ne contribuì alla sua propagazione inventandosi,
almeno questo e quello che diceva in giro, la storia della legione romana scomparsa in
quelle terre duemila anni prima dopo un saccheggio compiuto da quelle parti.
«Sono i contadini assassinati che bruciano i cadaveri dei romani. Gli spiriti dei
contadini assassinati», precisava. A nessuno importava se fosse possibile o meno, ma
riusciva però a smorzare la tensione crescente nella cittadina per quei giorni sempre
più corti. Poi se volesse placare gli animi o prendere in giro la comunità non era
chiaro nemmeno a lui.
Tutta la storia era montata fino al punto che anche dalle campagne vicine si organizzavano
escursioni per osservare quello che era stato etichettato come «fenomeno di giustizia
ultraterrena postuma».
Nessuno aveva però il coraggio di avvicinarsi ai fuochi. Nessuno voleva in realtà
trovare una spiegazione plausibile di quanto accadeva non fosse altro per il fatto che
questo avrebbe avuto delle ripercussioni sulleconomia di un paese che stava
diventando ricco grazie a quella faccenda.
Il tutto andava avanti da mesi ormai tanto da far diventare Florencia il paese più noto
in quella parte della regione. Ogni abitante aveva un qualche interesse o una qualche
occupazione relativa ai fuochi. Chi erigeva altari in onore dei defunti assassinati, chi
diceva messe, chi vendeva generi di conforto ai pellegrini che giungevano sempre più in
massa e così via fino al punto in cui tutti avevano reciso ogni legame con le loro
precedenti occupazioni. Niente più medici, avvocati, panettieri, spazzacamini, levatrici
e così via. Tutto si era trasformato, o meglio convertito.
Enrico visse intensamente solo le prime settimane della mania. Poi, una violenta febbre lo
costrinse a rimanere in casa fino a quando gli eventi lo costrinsero a indirizzarsi
in chiesa. Si lamentava, spesso bestemmiando, del fatto che era
impossibilitato a partecipare a quella frenesia che contagiava sempre più persone. Era
ingiusto, pensava continuamente fino a farsi spaccare la testa per larrovellamento.
Aveva fatto labitudine al fatto che molto spesso i suoi familiari non rientrassero a
casa ma preferissero passare la notte a respirare il profumo benefico dei fuochi, almeno
così lo ritenevano in città. Anzi spesso ne faceva a meno per tre, quattro giorni senza
avvertire alcuna preoccupazione ma anzi vivendo con rabbia quella dannata condizione che
gli impediva di poter essere parte dellossessione comune. A volte trascorrevano
settimane intere.
Quando poi cominciò a stare meglio venne la pioggia. «No, cavolo! Proprio adesso che
stavo guarendo» sbraitava imbestialito. E la pioggia che scendeva era impressionante,
quasi che il cielo volesse porre fine a quel culto pagano che aveva soppiantato ogni credo
e ogni attività.
Enrico accompagnava ogni goccia con imprecazioni e maledizioni scagliate contro qualunque
cosa gli venisse in mente.
La vita cambia e non te ne accorgi.
Stava uscendo di casa Enrico per rimediare a quel fiume che veniva giù dal cielo. Voleva
mettersi in ginocchio e pregare affinché tutto smettesse.
Sono piccoli i passi che segnano il nostro futuro.
Uscendo di casa, passò davanti allo specchio e intravide qualcosa che in prima battuta
non riuscì a definire ma che lo gettò nella più orrida delle situazioni.
Quando tutto diventa chiaro un piede è già sullorlo del precipizio.
* * *
Non era la scomparsa dei capelli che ritrovò sul cuscino, né la
perdita delle orecchie che vide sorde per terra ai piedi del letto né tanto meno le
fasciature che aveva un po sparse in tutto il corpo e che non ricordava
assolutamente di essersi applicato. Erano i suoi occhi che lo facevano impazzire. Grandi
occhi neri che pareva volessero uscire dalle orbite tanto erano gonfi o peggio, cresciuti
che conferivano al suo volto dei tratti animaleschi.
«Ma cosa mi sta capitando?» ripeteva singhiozzando. Era paralizzato da quello che
vedeva. Andò di corsa in camera dei suoi genitori. Lì cera lo specchio grande.
Doveva sapere cosa era successo al suo corpo e immediatamente doveva dare una risposta ai
suoi terrori.
Si accorse di non avere più un pigiama ma che solo alcune fasciature erano sparse qua e
là. Le tolse con la palpitazione di chi è immerso in un incubo. Chiuse gli occhi e
cominciò a svolgere le bende. Non avvertiva dolore e scivolando con il dorso della mano
si accorse della presenza di escrescenze, alcune molli, altre dure come sassi.
Era nudo, immobile davanti allo specchio, ma non riusciva ad aprire gli occhi. Restò come
paralizzato per un bel po fino a quando urla disumane provenienti dalla strada lo
fecero precipitare nellabisso da cui non sarebbe più tornato.
«Madre mia» esclamò. Il suo corpo era ricoperto di una specie di fluido verde che si
allargava dalle cicatrici e dalle escrescenze presenti un po dappertutto. Alcune
sembravano ormai in via di guarigione, altre spurgavano un fluido che colava lento. Le
mani erano rugose, così come i piedi che tendevano a torcersi verso linterno
arcuando le gambe che però non sembravano essere state colpite dallinfezione.
Era questa la cosa a cui pensò subito, uninfezione, poi di nuovo quelle urla lo
scossero come un terremoto e non poté fare a meno di affacciarsi e osservare il delirio
mostruoso che strisciava per le strade.
* * *
«Diventerò così» pensava terrorizzato, «diventerò come quei...
mostri!», urlò disperato. Il grido distolse trenta esseri dallorrendo cibo che
stavano ingurgitando. Forse qualcuno che come Enrico aveva conservato un aspetto...
migliore, stava finendo nelle viscere di quegli esseri mostruosi.
Adesso lo stavano fissando con quegli occhi enormi e neri carichi di un odio feroce che
ancora non aveva invaso Enrico che prorompente come una valanga, inesorabile come una onda
gigantesca cominciò a strepitare rivolto al cielo. «I fuochi! Maledetti quei fuochi e
chi li ha accesi. Maledetti! È colpa loro».
Come attratti da un richiamo irresistibile gli esseri si avventarono sul muro della casa
quasi a volerlo scalare, potevano farlo, ed Enrico cominciò la sua corsa folle per la
sopravvivenza. Uscendo dalla casa prese il fucile di suo padre cacciatore e tutte le
munizioni che aveva nelle scatole.
In strada vide che qualcun altro, ancora non infetto, sparava raffiche terribili che
falciavano quei corpi posseduti da chissà cosa. Si udivano urla e bestemmie accompagnare
le serie di colpi e suoni orribili uscire da quella specie di rane erette, così le
visualizzava Enrico, che cadevano squarciate dai pallettoni.
Erano troppe però. E molti di quelli che sparavano venivano sopraffatti dal numero
crescente dei mostri. Percorse le viuzze strette dellantico borgo e arrivò nei
pressi della piazza grande nascosto da alcune vetture parcheggiate. La chiesa era immensa
e dominava la piazza dove ai lati si erano formati capannelli di esseri che banchettavano
con i cadaveri di altri sfortunati. Stava finendo le munizioni quando si accorse che sul
sagrato quelle creature parevano non volersi avvicinare. Un timore del sacro che non si
sarebbe mai aspettato di trovare in quelle cose immonde. Corse come il vento riuscendo a
schivare gli artigli affilati come lame che cercavano di ghermirlo. Entrò nella chiesa
sprangandone il portone.
* * *
«Un po di silenzio», pensò stremato. La chiesa era in penombra
per il giorno che finiva sempre più in anticipo ma i quadri appesi davano a quella
situazione un po di tregua soprattutto le figure in atto di preghiera vestite dei
colori pastello.
Trascorse forse unora quando un sibilo illuminò a giorno linterno. Enrico
sentiva distintamente i suoni che emettevano quelle cose là fuori farsi sempre più
vicini, accrescendo la disperazione che non si era evidentemente mai sopita.
Fece per voltarsi verso laltare quando ciò che vide lo gettò a terra stremato.
Dietro le colonne che sorreggevano il baldacchino dellaltare la figura era enorme e
troneggiava al di sopra di quella della madonna azzurra di Florencia affrescata sul muro
dellabside.
Illuminata da quella luce sibilante una riproduzione gigantesca, di quelle cose là fuori,
alzava le braccia, o almeno quello che ad Enrico sembravano tali, con i palmi rivolti in
alto nellatto di offrire quegli stramaledetti fuochi a qualche essere superiore. In
basso, ai piedi della figura, erano raffigurate schiere di esseri umani in adorazione dei
fuochi e alla destra una processione di quei mostri dirigersi verso quelle che sembravano
città.
Poi la luce sparì ed Enrico imbracciò il fucile e fece fuoco contro il ricordo di
quellimmagine. Il mare di pensieri lo distrasse dal corteo che attirato dai colpi
inesorabile avanzava alle sue spalle. Alzò gli occhi e guardò la luce della luna, unica
spettatrice del pasto di centinaia di bocche fameliche che si avventarono su di lui.