Colpo di (s)fortuna

Questo è un fatto! Ecco che cosa può a volte significare l'ultimo fiorino! E se io allora mi fossi perduto d'animo, se non avessi osato risolvermi?... Domani, domani tutto finirà!
Fedor Dostoevskij, Il giocatore

 

Stavo lì, con i muscoli tesi, sulla sedia elettrica. O almeno così mi sembrava.
Dalla mano destra si affacciavano cinque carte: semplicemente cinque carte, come un prolungamento delle dita. Guardai l'uomo davanti a me: ormai avevo capito. Mi fissò con i suoi occhi ipnotici, azzurri come l'amnio del mesozoico.
"Tu sei il diavolo." Gli dissi.
"Esagerato." Sorrise.
"Ho finito i miei soldi, uomo." Annunciai, attento a non lasciar trasparire alcuna emozione.
Non avevo mai visto una cosa del genere: il suo volto non fece una piega. Neanche un movimento impercettibile; era seduto davanti a me, i gomiti sul tavolo, le sue carte tra le mani. Si mossero soltanto le labbra:
"La tua donna." Stavolta era assolutamente serio.
"Che cazzo..." provai a ribattere.
"Ci giochiamo la tua donna."
Lanciai l'ennesima occhiata alle mie carte. Non so spiegarvi il motivo. So soltanto che dissi:
"Le regole le faccio io. La mia donna in cambio di tutto il banco."
"Quante carte vuoi?" chiese, semplicemente.
"Due." Risposi, senza aggiungere altro.
Mi passò le carte, come due lame nella carne. Le afferrai, tremante. Poi scartai due delle mie.
"Io passo. Cos'hai in mano?"
Non volevo dirlo. Avevo paura. Una paura fottuta.
"Doppia coppia", annunciai alla fine. Non poteva superarmi.
Mi guardò negli occhi. Nel suo sguardo si agitava uno zodiaco di bagliori, come scosso da convulsioni.
"Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate star saldi contro le insidie del diavolo. Poker."
Espose sul tavolo la sua mano: un poker di sei, più un quattro di cuori.
"Santo Iddio..." fu tutto quello che riuscii a dire.
"Diane è mia." Le sue labbra si mossero armonicamente, come una danza nel plenilunio.
"Sei pazzo."
"Dammi le carte."
Mi alzo e me ne vado, pensai. Questo è uno psicolabile fortunato al gioco, tutto qui. Ma sentivo che non era così semplice. C'era anche un'altra cosa: quello sguardo. Quei fari azzurri che mi facevano l'autopsia. Ebbi un fremito, sperai che mi sarei alzato. Invece rimasi seduto.
Diedi le carte.
"Cosa..." tremavo nel formulare quella domanda "Cosa ci giochiamo stavolta?"
"Se perdo, avrai indietro tutti i tuoi denari e la tua donna."
Aspettavo, con il palato completamente asciutto. Non un solo filo di saliva.
"Se vinco, io avrò la tua anima."
Devo aver sentito male, pensai. Non riuscivo a crederci.
"Senti amico, qui stiamo degenerando. Abbiamo scherzato, sono stato al gioco: non male quella storia della mia donna. Ma adesso è ora di smettere."
I due proiettili azzurri stavano lì, profondamente seri. Addirittura più seri di prima.
"Ti consiglio di comperare da me dell'oro purificato dal fuoco, per arricchirti; e delle vesti bianche per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità; e del collirio per ungerti gli occhi e vedere."
"Che cosa..."
"Apocalisse, 3 e 18. Io cambio una carta."
Gli consegnai la sua carta, lui scartò una delle sue. Soltanto dopo puntai gli occhi sulle mie. Oh merda. Stavolta gli avrei dato una lezione. Non avevo bisogno di cambiare nessuna carta. Le calai sul tavolo, in maniera teatrale. Volevo fare un po’ di scena.
"Poker di sette, amico. Finalmente riprendo i miei soldi."
Non si scompose di un solo muscolo. Lanciò uno sguardo ai quattro sette, sembravano tarocchi di una chiromante allineati simmetricamente sul tavolo. Lo notai, e sentii un brivido freddo su per la schiena. Avevo riconosciuto quella occhiata. Indifferenza.
"Queste ricchezze vanno perdute per qualche avvenimento funesto; e se ha generato un figlio, questi resta senza nulla in mano. Ecclesiaste, 5 e 14. Poker di assi."
Fu a quel punto che la sentii. Un fitta alla testa: non avevo mai provato una cosa simile in tutta la mia vita. Riuscivo a distinguere a malapena la figura davanti a me. Poi capii. Guardai le carte, che formavano sul tavolo una natura morta. Avevo soltanto una cosa da fare.

 

"Jack, dove sei?"
Sentivo la donna che si muoveva nell'oscurità. Con lo sguardo tentava di abituarsi al buio. Ma era inutile.
"Jack, sono Diane! Sono tornata! Sei ancora lì a fare il tuo solitario?"
Poi urtò contro il tavolo. Fece qualche passo indietro, tastando i muri della stanza fino a trovare l'interruttore. Luce.
La prima immagine che la catturò fu quella del quadro sulla parete. Il vecchio quadro; riusciva sempre ad inquietarla. Era dipinto a colori scuri, che ricordavano una distesa infernale. E c'era l'uomo: tutto in nero, con quegli occhi azzurri, prepotentemente azzurri. Teneva in mano cinque carte da poker, dalla cornice pareva arrivare un flebile sorriso.
Poi Diane spostò lo sguardo sul tavolo da salotto. Io le davo le spalle, ma si accorse che qualcosa non andava. Fu lì che si rese conto.
"Ciao, Diane." Dissi semplicemente.
"Jack, ma cosa..."
"Un male verrà sopra di te, che non saprai come scongiurare; una calamità ti piomberà addosso, che non potrai allontanare con alcuna espiazione."
Parlavo a bassa voce. Sul tavolo, si allargavano le macchie di sangue. Tre assi: quadri, fiori e picche.
"Dio mio, Jack! Santo..."
La guardai intensamente. Sentivo l'asso di cuori conficcato nella mia gola. I bordi intagliati ed affilati provocavano zampilli di sangue. Il liquido della verifica totale.
Continuavo a guardarla. Un attimo dopo, lei non c'era più.
Dolore alla gola. Sapevo di non riuscire a parlare. Non avrei mai composto un'altra frase. Non con quella bocca. Rivolsi lo sguardo verso quel quadro. Ancora la figura nera, ancora i fari azzurri nell'oscurità. Poi notai la seconda figura nel quadro. Mi si stava annebbiando la vista. Cazzo, è un'allucinazione, pensai.
"Ci giochiamo la tua donna."
Diane. Eccola lì, in cornice. Accanto al ritratto del giocatore. Le sue labbra erano stravolte da un urlo disumano.

 

"Cazzo Jack, ma ti vuoi svegliare?"
"Oh merda." Blaterai. Non riuscivo a crederci.
Mi raddrizzai a stento, sul tavolo ricoperto dal tappeto verde. Nel mezzo, una candela. Il resto era in penombra. Tentai di mettere a fuoco, e lo vidi.
L'uomo era davanti a me, con i suoi occhi azzurri. Lanciai un'altra occhiata. No. Gli occhi erano neri, famigliari. Fu così che lo riconobbi.
"Chris... Gesù, cosa è successo?"
Lui si portò le mani sulla pancia, cominciando a ridere sguaiatamente.
"Venerdì sera, cazzo. La partita settimanale. Mi allontano un attimo, e ti ritrovo allungato sul tavolo. Un colpo di sonno in piena regole. E con le carte in mano, per giunta."
Venerdì sera, ripetei mentalmente. La partita settimanale. Con le carte. In mano. Per giunta.
Guardai il tavolo. Le carte si erano rovesciate, scoprendosi completamente.
"Accidenti, ho fatto poker."
Chris pareva sbalordito. Fissava le mie carte, un poker di sei più un quattro di cuori.
"Diavolo, io avevo soltanto doppia coppia. Hai vinto, amico."
Presi a guardare il suo volto. Doveva essere sulla trentina. In quel momento, ogni piega della sua faccia sembrava triste. Una tristezza profonda ed inconsolabile. Diosanto, ha solo perso una mano, pensai.
"Io non me la prenderei così tanto, fossi in te."
Si stava alzando. Mi guardò, accennando un timido sorriso.
"Hai ragione, Jack. E' la vita."
Io ero rimasto seduto, mentre lui si era alzato davanti a me. In piedi, la sua pancia era davvero enorme; ignorava la cintura ed usciva dai pantaloni, torturando la sua camicia bianca. Poi infilò una mano sotto il tavolo. Rumore metallico.
"Cosa c'è sotto il tavolo?" avevo una sensazione strana.
"Te l'ho appena detto, amico. E' la vita."
Sentii soltanto un colpo, secco. E il fumo. Una nuvola densa e maleodorante, che si espandeva.
Scattai in piedi, elettrizzato. Gli schizzi di sangue avevano raggiunto le pareti. Chris si era accasciato sul pavimento, in una posizione innaturale. Mi ricordava una bambola con le articolazioni spezzate. La pistola era stretta nella sua mano, con la canna ancora fumante; il suo volto non esisteva più, non era riconoscibile.
Stavo per urlare, le corde vocali volevano liberare il loro terrore. Poi me ne accorsi, e mi bloccai. Una fitta al collo. C'era qualcosa che stringeva. Quando ero seduto, intontito, non me n'ero accorto; ma ora ero perfettamente consapevole. Alzai gli occhi, lentamente, mentre il dolore si intensificava. La corda pendeva da una trave sul soffitto, fissata da un autentico nodo scorsoio; poi il cappio arrivava fino al mio collo, lo abbracciava nella sua stretta. L'altro lembo penzolava dalla parte opposta, pronto per l'esecuzione.
Mi girai a novanta gradi. Se non sto attento mi strozzo, pensai. Volevano farmi la pelle. Adesso davo le spalle al tavolo e al cadavere di Chris. Riuscivo a vedere il fondo della sala. Nell'angolo, immersa nella semioscurità, una figura era legata per i piedi come un quadro surrealista; eccola là, sollevata a mezz'aria, a testa in giù, con il nastro adesivo sulla bocca. Il suo volto era immerso in un secchio d'acqua fino all'estremità del collo. Il liquido fuoriusciva dal secchio, lasciando una serie di bollicine. Ascoltai per un attimo il sottile gorgoglio di sottofondo: stava lottando. E' ancora viva, riuscivo a pensare soltanto questo. E' ancora viva. Tentai uno scatto per liberarla. Fitta lancinante al collo. D'improvviso, capii. Dovevo correre verso di lei, stava morendo; ma sapevo che bastavano altri due passi per finire impiccato. Non potevo muovermi.
Non riuscivo a fissare quell'immagine. Mi sedetti sulla sedia, allentando la stretta al collo. Ora riuscivo a respirare; ma non potevo credere a tutto questo. Chris era sempre lì, sul pavimento. Morto. Guardai le carte sul tavolo.
La sua doppia coppia. Il mio poker di sei. Sei, sei, sei, sei. Aveva perso e si era sparato. Ma c'era dell'altro.
Notai soltanto allora la terza sedia. Le cinque carte erano calate sul banco. Due di cuori. Quattro di fiori. Cinque di quadri. E poi donna di picche. E donna di cuori. Era una coppia: una semplice coppia.
Lanciai un altro sguardo alla sedia vuota. Sapevo chi era il terzo giocatore; dietro di me, intanto, il gorgoglio si andava spegnendo. Nel buio non l'avevo vista in faccia, ma sapevo che quella donna era Diane. E sapevo che era morta.
"Esci fuori, brutto figlio di puttana! Fatti vedere!" stavolta urlai, con tutta la forza di un animale ferito.
Nessuna risposta.
"Voglio vederti in faccia, maledetto bastardo!"
Poi ricordai il colpo di sonno, la figura del quadro. Puntai gli occhi sulla parete. La candela sul tavolo si andava consumando, riuscivo a scorgere solo una piccola parte. Ma gli occhi azzurri c'erano. Erano lì, immobili. La sentenza di morte. Sentivo suoni, dolori lancinanti. Ma erano soltanto nel mio cervello.
"Io non me la prenderei così tanto, fossi in te."
"Hai ragione Jack. E' la vita."

E' la vita. La vita. Vita.
Diane aveva tra le mani le sue carte. Aveva calato la coppia. E aveva perso. Chris aveva la sua doppia coppia. Anche lui aveva perso. Ero io che avevo vinto, con il mio poker di sei.
Mi rivolsi al quadro, mentre la fiamma della candela era agli ultimi spasmi.
"Ho capito." Dissi "Sono stato io. Li ho ammazzati tutti. Ho vinto la partita e li ho ammazzati tutti."
Ancora nessuna risposta. Ma ormai avevo ricordato. Le memorie galleggiavano ancora nella mente, quando la candela ormai si era spenta del tutto. Avevo nelle narici l'odore forte della cera bruciata. Avvertivo la presenza nel dipinto. Sapevo di avere quei due fari azzurri puntati addosso. E nell'oscurità mi preparai per l'ultimo ricordo.

 

"Cazzo! E' una proposta da pazzi, Jack! Tu devi essere suonato..."
Eravamo seduti al tavolo. Tre sedie. Occupate. Al centro, il mazzo di carte. Io fissavo Chris, con la pistola tra le mani.
"Non essere bugiardo, amico. Mentire è peccato. Ti sei scopato Diane. Me ne sono accorto, sai?"
Guardai la donna, adagiata sull'altra sedia. Lei non riusciva a sostenere il mio sguardo.
"Una semplice partita a poker. Come tutti i venerdì sera." Continuai, sforzandomi di non mostrare alcuna espressione.
"Jack..." Era Diane.
"Pensaci un attimo, Diane. Pensaci. Tu e Chris vi odiate, lo leggo nei vostri occhi: non poteva durare tra voi. Odiate anche me. Anche io vi odio, voglio soltanto la vostra morte. Come voi, d'altronde. Siamo in tre: due di noi stanotte moriranno. Ognuno di noi deve essere pronto per morire, e non deve essere in grado di salvare gli altri, neanche volendo. Il terzo uscirà da questa stanza lasciandosi dietro due cadaveri. Vedrà realizzato il suo fottuto desiderio."
"Io ci sto."
Stavolta Chris mi aveva sorpreso, come un pugno nello stomaco. Forse stavo farneticando. Forse. Ma questo non me lo sarei mai aspettato.
Puntammo gli occhi su Diane. Doveva soltanto annuire. Le carte erano già sul tavolo. Mi alzai, presi una candela, tornai. Avevo staccato la corrente. Ero seduto di nuovo al tavolo: nella luce della timida fiamma, potevo vedere le lacrime sulle guance di Diane. Piangeva in silenzio.
"Io... avete ragione. Per me va bene."
La guardai un'altra volta. Non provavo nessuna sensazione.
"La pistola è sotto il tavolo." Annunciai a Chris, appoggiando delicatamente l'arma. Poi presi a distribuire le carte.
"Inizia la partita del venerdì sera." dissi, e non potei fare a meno di sorridere. Nella penombra al mio fianco, sentivo Diane singhiozzare. Poi parlò Chris, con voce roca:
"Ci giochiamo la vita."

Emanuele Di Nicola