"Un famoso film recitava che quando all'inferno non ci sarà più
posto, i morti cammineranno sulla terra! Io vi dico che all'inferno non c'è più
posto!".
L'intervento di Tom iniziò così. Proprio lui che aveva sempre sofferto di claustrofobia,
si trovava chiuso nella chiesetta del paese, insieme a tutti i cittadini ancora capaci di
respirare.
"Non siamo in grado di spiegare la cosa scientificamente, almeno per il momento, ma
ci stiamo lavorando".
Un patetico tentativo di alimentare una vana speranza di sopravvivenza.
Quale speranza? Non c'era speranza. Bisognava solo pregare.
Tom la fede l'aveva persa all'inizio del mese, quando vide la madre morire, rinascere e
masticare carne umana.
La uccise.
"I feriti nel rifugio atomico dovranno essere soppressi, non possiamo rischiare che
si trasformino, è crudele ma non c'è alternativa".
Grida di madri echeggiarono nella chiesa, dolorose come piaghe, ma Tom aveva concluso
l'intervento e lasciato il pulpito.
Scese le scale che portavano ai sotterranei, percorse il lungo corridoio, bussò, si fece
riconoscere ed entrò.
Estrasse la beretta dalla fondina.
Sudava.
Si diresse verso i letti.
Il ticchettio dei mocassini, sul marmo sporco, scandiva il tempo.
Puntò l'arma verso il vecchio Sam, un uomo buono che lo aveva tenuto sulle ginocchia...
SPARO'!
Poi fu la volta di Helen, bella come ai tempi del liceo...
SPARO'!
Nel terzo letto giaceva la piccola Patty, che in silenzio attendeva il suo turno, con la
forza che solo l'incoscienza dei suoi undici anni poteva darle.
Guardava Tom.
I suoi occhi erano vuoti come biglie di vetro.
Lui non resistette, l'accarezzò, versando l'ennesima lacrima.
Un dolore lancinante.
Patty aveva morso.
Ritirò la mano. Guardò la bambina. Puntò la bocca di fuoco.
SPARO'!
Tom cadde a terra in un vischioso lago di morte.
Lo aveva detto lui stesso: "Tutti i feriti devono essere eliminati".