Ci
trovavamo tutte le sere intorno al tavolo illuminato, al centro, dalla luce lattea della
lampada. Essi entravano quasi senza nè salutarmi, nè rivolgendomi frasi cortesi.
Effettivamente non ce n'era bisogno.
Noi ci vedevamo soltanto per giocare a poker e ciò durava sino al mattino all'alba, ogni
notte.
Non ho mai saputo i nomi dei miei compagni tranne i piccoli nomignoli che nascono intorno
ai tavoli da gioco: Mano d'Oro, Cip, Piatto Doppio.
Se debbo dire il vero non conoscevo nemmeno bene le loro fisionomie perché, quando
entravano, la stanza era già nella penombra con l'unica macchia abbacinante al centro,
diretta sul tavolo verde, e quando sedevano la banda d'ombra del paralume nascondeva i
loro volti sino al mento.
Era consuetudine di mesi, ormai.
Essi giungevano, picchiavano con moderazione alla porta ed entravano in silenzio in fila
indiana: prima Piatto Doppio, grosso e tarchiato, poi lo scheletrico Cip e quindi il
gobbetto Mano d'Oro.
L'unico a dire qualcosa, e ciò non accadeva mai tanto spesso, era Piatto Doppio che
brontolava: SERA, e si metteva a sedere al suo solito posto. Gli altri lo imitavano e solo
una volta Cip disse:
- Giochiamo anche la notte di Natale, bella roba.
Mano d'Oro sogghignò.
Poi cominciavamo a distribuire le carte e il gioco prendeva man mano il suo ritmo e la sua
tensione.
Era ormai tanto tempo che giocavamo insieme che si può dire nessuno vincesse nè
perdesse. Le forze erano equilibrate; ognuno sfoggiava il suo carattere di giuoco.
II fumo delle sigarette, perchè tutti fumavamo in gran copia, si addensava sotto il
paralume e, dopo pochi minuti, ci vedevamo attraverso una nebbia azzurrina come se fossimo
immersi in un acquario.
Poi all'alba Mano D'Oro diceva: giro fisso.
Facevamo le ultime puntate rischiose, quindi i conti; ognuno pagava e i tre, in fila
indiana, così come erano entrati, se ne andavano.
Piatto Doppio, dalla soglia, brontolava, senza voltarsi: GIORNO.
La porta si chiudeva con garbo alle loro spalle.
Ma una sera non vennero. Il fatto che ciò fosse accaduto dopo tanto tempo, mi mise in
subbuglio. Sapevo che erano di una puntualità cronometrica e già un ritardo di dieci
minuti mi doveva convincere che non sarebbero più venuti. Invece attesi tutta la notte.
Prima camminai avanti e indietro nervosamente. Poi sedetti al tavolo iniziando un
interminabile solitario.
Ogni tanto tendevo l'orecchio a spiare i rumori per le scale. Il fruscio di un gatto o il
picchiare lieve del vento contro le imposte mi faceva sobbalzare e spingere, ancora con
maggiore tensione, i miei nervi fuori della stanza.
II vento fresco dell'alba, che agitava le tende della finestra, mi spinse verso la camera
da letto. Mi gettai così vestito, abbattuto da un'amarezza senza confini, sul materasso e
dormii.
Solo più tardi compresi perché essi non erano venuti.
Il giorno prima un Pastore Battista aveva preso in affitto lappartamento sotto al
mio e, prima di entrare in casa, aveva asperso davanti al portoncino, con una breve
preghiera, dellacqua benedetta.
Essi non sarebbero più venuti.
I loro spiriti maledetti avrebbero vagato in altri luoghi, meno santi, alla ricerca di un
tavolo di poker dove ci fosse solamente il quarto.
Racconti rari dell'orrore scelti da Sergio Bissoli.