Bella di notte

E' molto tardi stasera e non sarò a casa prima di mezzanotte. Sto pensando a questo mentre percorro in bicicletta la strada di campagna.
Attraverso il Borgo di notte a tarda ora. I pochi fanali rischiarano appena la via semideserta con le case basse.
Il paese appare accucciato. Porte e finestre sono tutte chiuse. Solamente in fondo al paese da una vecchia osteria escono voci smorzate e tintinnii di bicchieri.
Appena finisce la via rientro nella notte di agosto, afosa e immensa. La notte buia è piena del canto dei grilli e del gracidare delle rane.
Improvvisamente sento i sassi della strada sotto di me. Ho forato la ruota posteriore!
Il paese che mi sono lasciato alle spalle è a qualche chilometro perciò decido di proseguire ugualmente. Dopo un po’ sono tutto sudato per la fatica, e l’andatura è così lenta che mi conviene camminare a piedi. La campagna si stende tutto intorno e mi restano ancora due paesi da attraversare.
Una fattoria con i lumi rossastri è come sperduta nella notte. In cerca di aiuto devìo per la stradina erbosa e mentre mi avvicino chiamo per farmi sentire.
Passo sotto alcuni archi in muratura, entro in un portico profondo e buio ingombro di carri, rastrelli in legno e altri attrezzi. Una lanterna accesa sta attaccata a un chiodo.
C’è una ragazza ancheggiante vestita di bianco ad accogliermi. É magra con le labbra rosa. I capelli a chignon sono raccolti in un nastrino d’argento. Con movimenti flessuosi sta ammucchiando mazzi di saggina per le scope e tutte le volte che passa davanti alla lanterna il suo corpo si profila controluce come se fosse nuda.

In fondo al portico passa qualcuno nell’oscurità. É un vecchio che spinge una carriola la quale cigola orribilmente. Poi una voce rugginosa chiama:
“Deridre. Deridre.”
Alcuni giovani, probabilmente fratelli, vengono a darmi una mano per riparare la bici. Portano una cassetta di attrezzi e incominciano a smontare la ruota.
Intanto una vecchia mi fa cenno di seguirla in casa. Lascio i ragazzi al lavoro e la seguo con la speranza di rivedere la ragazza.
Attraversiamo un corridoio scuro con ai lati mensole e ciuffi di pannocchie appese ai muri. Entro in una grande cucina dove alcuni uomini e donne sono seduti a tavola.
Il camino acceso ha la cappa sostenuta da due grifoni di marmo. Una lucerna a fiori di vetro celeste e rosa con lunghi steli bianchi spande una luce quieta. Sulla tavola massiccia sono rimasti i resti della cena fra le bottiglie semivuote.
La vecchia mi indica il secchiaio dove posso lavarmi le mani. Poi mi siedo insieme a loro. Spiego cosa mi è successo e qualcuno vuole offrirmi del vino. Restiamo così, in silenzio.
Parlano poco in questa casa però sono molto ospitali. Per evitare tutti quegli sguardi su di me, fingo di interessarmi alle foto appese oblique al muro. Raffigurano vecchioni con folte barbe bianche; probabilmente sono gli antenati.
Il tempo passa ed aspetto di rivedere Deridre, invece lei non viene mai in cucina.
Qualcuno entra, ma è solo un ragazzo: viene ad avvertirmi che la bici è riparata. Ritorno nel portico. Ringrazio tutti, do loro una piccola mancia e me ne vado pedalando forte per recuperare il tempo perduto.
Solo quando sono quasi arrivato a casa mi ricordo del mio cappello che ho lasciato laggiù, sulla sponda del carro. Non fa niente. Avrò il pretesto per tornare a riprenderlo un’altra volta e potrò così rivedere la ragazza.

 

***

 

Circa un mese dopo, un pomeriggio d’autunno mi capita di dover passare ancora da quei posti.
Attraverso un ponte piatto sostenuto da otto colonne. Nel piccolo fiume passano galleggiando strati di mele marce. Il tramonto rosso porpora ha strisce d’arancio, come macchie di sangue rappreso.
La fattoria appare sullo sfondo dei pioppi gialli e tremuli nel cielo azzurro. É un palazzetto color arancione con due alberi di kaki carichi di frutta ai lati. Gonne rosse e viola stanno appese alle finestre.
Il portone è spalancato, bloccato dai rampicanti. Su un pilastro leggo la scritta sbiadita: Località Stellapersa.
Quando sono arrivato più vicino vedo che non sono gonne ma le foglie di una vite. Foglie bruciate, di un rosso maligno con sfumature violette.
Chiamo forte per farmi sentire ma questa volta nessuno risponde. Ci sono tini neri e sfasciati, una meridiana sbrecciata. Tralci secchi della vite pendono dalla ringhiera di ferro arrugginita. I gatti corrono sui tetti bassi dei pollai e sulle ceppaie tarlate. Il vento ha portato alcune foglie sulla soglia dell’ingresso, disponendole casualmente tutte oblique.
Il portico è molto più malandato di come lo ricordavo. Alcune travi sono tarlate e ho paura che non reggeranno a lungo il tetto. Entro e ritrovo il mio cappello sopra uno strato di polvere, là dove lo avevo lasciato. Chiamando di nuovo apro la porta, percorro il corridoio ed entro in cucina.
Rimango sbalordito mentre sento un brivido freddo corrermi per tutto il corpo. La stanza sembra abbandonata da decenni. Ci sono ancora le sedie attorno alla tavola, come se le persone si fossero appena alzate dopo una partita a carte. Ma è tutto pieno di polvere e sporcizia. Polvere sulla tavola e sui mobili sfasciati che cadono in pezzi. C’è ancora un ceppo nel camino dove i ragni hanno tessuto tele enormi.
Allora salgo lo scalone che porta ai piani superiori. La luce arancione del tramonto ristagna nei saloni vuoti. Le imposte sbattono e il vento entra nelle stanze. Una camera da letto marcita è abbandonata ai tarli e all’umidità.
In un’altra stanza ci sono dei barattoli arrugginiti, una macchinetta per l’insetticida. Più in là c’è una bambola rotta.
Sconsolato mi avvicino a una finestra e rimango a pensare e guardare fuori. Il cielo è turchino con trasparenze tendenti al lilla. Le foglie secche delle viti stridono come vetro. Dal fiume si alza la nebbia. C’è tanta bellezza e solitudine.
Le prime ombre della sera si allungano nelle stanze. Mi sembra di percepire fantasmi silenziosi, forse gli spettri di coloro che sono vissuti tra queste mura.
La casa si anima di misteriosi fruscii, di scricchiolii. Sono i conciliaboli del silenzio che si sentono in tutte le case vuote.
Qualcosa di strano sul pavimento attira la mia attenzione. É una mattonella a forma di losanga di colore leggermente diverso dalle altre. Mi chino e vedo che è falsa perché è fatta di legno e si muove. É uno spioncino, come erano soliti metterli nelle case di campagna.
Sollevo la mattonella e riconosco la stanza sotto di me. É la cucina. Una vecchia sta impastando le lasagne. Una donna fa uno scialle seduta accanto alla finestra...
Mio Dio! Non è possibile questo! La fattoria era disabitata! Devo accertarmene subito se non voglio impazzire.
Corro verso le scale ma passando da una finestra vedo qualcosa di bianco che si muove laggiù fra le viti. Mi arresto di colpo con un tuffo al cuore:
“Deridre!!!” grido.
Come un forsennato corro giù dai gradini, attraverso il salone ed esco dalla parte posteriore.
Nel cortile ci sono grossi alberi di fichi lungo il muro nord fra ombra e umidità. Una sella da cavallo è appesa sopra alla porta.
La sera è scesa sul vigneto. Una brezza fredda mi fa rabbrividire.
Nulla. Nessuno. Dalle distese di vigne rosse violacee arriva il crepitìo delle foglie secche. Sotto un cespuglio di lillà un vecchio dondolo sfasciato oscilla nel vento.
Avanzo alcuni passi nell’erba alta e la vedo di nuovo.
“Deridre! Deridre!” chiamo con voce roca dall’emozione.
Poi corro verso di lei ma le erbacce alte e le ortiche rallentano il mio slancio. Una bambina bionda appoggiata a un pagliaio mangia una mela e mi guarda.
Mi fermo smarrito tra i filari contorti delle viti.
Una forma bianca passa laggiù, sinuosa e veloce.
“Deridre! Deridre!”
La chiamo di nuovo e la mia voce ha una nota disperata mentre riprendo a correre affondando nelle erbe alte, rosse di siccità.
“Deridre! Deridre!” urlo agitando le braccia.
Corro come un pazzo, come un invasato. Le mie scarpe si riempiono di sementi. Cado più volte; ogni volta mi rialzo sempre più sporco, infangato e mi rimetto a correre.
Il mio inseguimento diventa una ossessione. Sento di essere al limite delle forze. Sento che tra pochi istanti cadrò per terra stremato ma non voglio pensarci e continuo a correre e a gridare.
Le foglie delle viti intorno a me sono rosse, arancione, gialle, marrone, violette, blu...

Sergio Bissoli