Tutte le
notti mi sveglio a quest'ora. C'è una voce che mi chiama dai recessi del subconscio e mi
solletica le palpebre, le scolla dal sonno. C'è anche un'ombra che accarezza con la mano
i miei occhi chiusi; me ne accorgo perché il buio diviene ancora più nero, per un
attimo. So che, se spalancherò le palpebre, sarà lì a fissarmi.
Il cuore impazzisce, sbatte nel petto come una bestia in gabbia; sento i battiti
forsennati in gola, nelle tempie, nelle orecchie e nello stomaco. Il sangue romba
indemoniato nelle vene. La fronte s'imperla di sudore... se è lì a fissarmi, avrà
capito che non sono mai stata così sveglia...
Fa scivolare il lenzuolo dal mio corpo sudato; sento i suoi occhi percorrere il perimetro
delle mie forme, soffermandosi sopra ogni particolare. So che ora è più vicino a me;
sento il suo odore, ma lo sento nell'angolo più recondito della mia mente: un odore di
sangue e rabbia, di bestia che risponde ad istinti atavici, un odore arcano di lussuria e
morte; sento la saliva inondargli la gola, mentre si eccita, gustandosi con lo sguardo il
mio corpo nudo... divorandolo fino a scavarmi nella carne.
Mi sento trasparente.
Dall'ultima luna piena, ogni notte è lì a fissarmi; ogni notte promette di fare ritorno
la successiva, fino al prossimo plenilunio e mi porrà la stessa domanda con voce
proveniente dalla culla di ogni dolore umano: "Cosa sono io?"; non ho mai avuto
il coraggio di guardare, le palpebre si stringono in una morsa di terrore che è più
forte di ogni istinto... se non risponderò farà di me ciò che vorrà, poi dilanierà il
mio corpo con artigli infettati da sangue innocente.
È l'ultima notte. Di nuovo mi domanda... di nuovo non so rispondere.
Mani calde si chiudono intorno alle mie caviglie, lentamente corrono sui polpacci e
accarezzano le cosce tremanti; si stringono attorno alla vita per riaprirsi, scorrendo sui
miei seni.
Sento freddo e paura, mi si accappona la pelle e i capezzoli violacei s'inturgidiscono;
divengono duri come pietre e incredibilmente sensibili. Una vampata di calore, improvvisa,
mi scuote: la creatura accarezza le mammelle con la punta della lingua, posso sentirne la
calda umidità, poi vi chiude intorno le labbra e succhia...
Apro leggermente gli occhi, ma non abbastanza per scorgere l'essere che mi sta di fronte,
in fondo, preferisco non sapere. Non lo guarderò.
Mi lascio andare, mi perdo in quest'incubo, mentre la creatura percorre il mio ventre,
leccandomi. D'istinto, serro le cosce, ma l'idea che qualcuno stia assaggiando la pelle mi
aiuta a realizzare nitidamente di essere in balia di un pericolo sconosciuto... senza via
di fuga: ciò accende un eccitamento finora latente, sepolto, del quale un po' mi
vergogno. Rilasso ogni muscolo, perché labbra secche e dure stanno baciando il mio pube e
mi cattura la voglia di accarezzarmi e toccarmi, ma le braccia non rispondono al comando.
Apro leggermente le gambe, mostrando all'essere il mio sesso umido. Egli si avvicina,
sento il respiro caldo tra le cosce, poi avverto la superficie ruvida della lingua, così
nuova e sensuale, che scivola sul clitoride.
Gemo e, mentre il demone mi esplora, i miei sensi si sciolgono e il bacino oscilla,
ondeggia, dapprima incerto, poi sempre più bramoso.
Il calore dell'essere si distende sul mio corpo: si è sdraiato sopra di me. Il peso del
corpo sconosciuto preme sul mio torace e rende difficile respirare.
La sua pelle non è morbida, non produce quel piacere nato dal contatto tra due corpi
caldi e frementi, anzi, pare ricoperta di ispidi peli che si conficcano nel mio ventre,
nel mio seno, nelle mie spalle e nel collo. Eppure questo fastidio mi eccita. Non posso
accarezzarlo, perché le sue dita grezze e indurite dal male commesso sono strette attorno
ai miei polsi. Voglio stringerlo a me, così piego le ginocchia e abbraccio i suoi fianchi
scoperti. Immagino le sue natiche muscolose e sode, le cosce vigorose, ma contenute in
dolci curve. Sollevo le gambe, allargandole ancora, per offrirgli ciò che desidera, ciò
che cerca.
Dolcemente, appoggia il glande al clitoride, tra le grandi labbra, e lo lascia scorrere
fino alla vagina; subito mi penetra con tutto il suo membro. Un grido muore nella mia
gola. Il dolore è improvviso, inaspettato, violento. Vorrei svenire. Mi sento lacerare,
spezzare, come se mi avesse ficcato una lama dentata nel ventre.
La creatura si arresta, incastrata dentro me, fusa col mio corpo.
Il dolore scema leggermente.
Al mio irrigidimento, la bestia risponde con un lento movimento del bacino, questa volta
morbido e leggero. Il fallo accarezza le pareti del mio sesso, seguendo il ritmo di una
melodia inconscia, e i testicoli solleticano l'ano. Le secrezioni aumentano e la
penetrazione si fa più agevole, veloce ed energica.
Intense vibrazioni di piacere attraversano il mio corpo, come scosse elettriche. Ad ogni
brivido lascio sfuggire un mugolio da gatta in calore.
La creatura mi possiede completamente... e più mi prende, più mi offro a lei; desidero
il suo membro indurito dall'eccitazione, ne ho bisogno...
Godo. Ansimo. Il mio sesso è spalancato e fradicio.
L'orgasmo mi avvolge, ansante e gemente: al principio è distante, pare un'onda lenta, dal
moto eterno e sempre identico a se stesso, è una brezza lieve e fragile, temi che da un
minuto all'altro si plachi, lasciandoti in un deserto incompleto, poi esplode, portandoti
all'apice di un piacere primordiale.
L'orgasmo è come una possessione.
La tensione si concentra alla base del mio ventre e si effonde nei muscoli contratti delle
cosce; distendo interamente il mio corpo per donarmi all'essere ignoto che abusa dei miei
sensi, come una vittima sacrificale.
Dolcemente, il mio respiro si calma, la muscolatura si rilassa e mi pervade una piacevole
stanchezza. I succhi del mio sesso si ritirano, al modo della bassa marea, ed esso si
restringe un poco. Vorrei che il mostro si ritirasse, ma egli non smette di penetrarmi.
Di nuovo è il dolore che, al pari del piacere regalatomi pochi istanti fa, esplode e
m'imprigiona.
Il pene della creatura fatica ad entrare, così sforza energicamente. La mia pelle cede e
si spacca: sotto la vagina si apre una ferita che sanguina e brucia, molestata dall'ispido
pelo pubico dell'essere.
Egli non si ferma, finché non ha depositato in me il frutto del rapporto e lo sperma si
versa nell'utero, allora si ritrae; si solleva, lascia il letto.
-Guardami!- Ordina; apro gli occhi, ma non distinguo alcuna forma; cerco di ruotare il
capo intorno, per cercare un punto di riferimento, un appiglio alla realtà, ma sono
incapace di vedere.
Il demone mi issa tra le sue braccia, poi mi lascia cadere; atterro sull'avambraccio
destro e una fitta di dolore lancinante mi avverte che l'osso si è spezzato.
Spalanco le palpebre, e le pupille impazzite scandagliano il vuoto intorno a me: non c'è
più nulla di ciò che conoscevo, solo la densità opprimente del buio. Non so più dove
sono. Ho perso la strada per la realtà; quest'essere mi ha trascinata in una sorta di
mondo vuoto, una scatola oscura... oppure è la paura ad avermi fatto perdere il contatto
con le cose tangibili della mia vita. Forse non vedo perché sono troppo terrorizzata...
Faccio leva sul braccio sinistro, per sollevarmi; come pensavo, se posso appoggiarmi ad un
piano, significa che la realtà è intatta attorno a me, solo che mi sfugge. Cerco di
rialzarmi, sono in ginocchio. Sento la pelle tra le cosce umida e appiccicosa, immagino
sia lorda del mio sangue e del velenoso seme del mostro.
Lunghe dita afferrano la mia testa e la schiacciano a terra. La ruvida consistenza del
tappeto di lana, accanto al mio letto, mi graffia la guancia sinistra; in questa
posizione, il mio sesso è di nuovo completamente scoperto, vulnerabile...
Il fallo eretto del demone attacca di nuovo i genitali esausti, sfiancati. È un dolore
insopportabile, come se mi penetrassero con della carta vetrata. La ferita si squarcia
ulteriormente: mi spaccherò a metà! Sento la pressione del glande nell'utero, nello
stomaco e in gola; aspetto che mi sventri, da un momento all'altro, invece la creatura si
ferma. Mi libera.
Riesco a sdraiarmi supina. Ho i brividi, sentendo scorrere tra le mie gambe sangue caldo;
posso distinguerne l'odore ferroso.
I miei occhi non discernono nulla, ma so che quella cosa è ancora vicina.
La paura mi fa sudare e ansimare; improvvisa giunge una sensazione di freddo sulla pelle,
che dalla gola si sposta tra i seni e mi percorre fino all'ombelico: è una lama? Non può
essere; non ha la finitura precisa di un pugnale, ciò che scorre lungo il mio fisico
morbido e tondeggiante è un oggetto grezzo, volto a lacerare e squartare, più che ad
affondare rapidamente. È un artiglio.
L'orrida unghia compie un giro completo intorno al mio ombelico, lacera la carne e affonda
nel mio ventre, devastato dallo stupro. Contraggo ogni muscolo e mi raggomitolo su me
stessa. Lordo di sangue la mia carnagione pallida. Premo le mani sulla ferita, cercando di
fermare il torrente caldo che ne sgorga.
Il mostro afferra le mie ciocche castane, mi solleva il viso e scopre la gola. L'artiglio
penetra di nuovo.
Ricado a terra, esanime.
Lentamente avverto scorrere via il sangue dalle mie ferite... e con esso la vita.
Dall'ombra appaiono alcune forme familiari: il letto, la scrivania, i vestiti buttati
sulla sedia, con noncuranza...
È giunta l'alba; mi accarezza la luce, vuole consolare il mio dolore.
I colori si fanno fiochi, velati, gli oggetti divengono dolcemente sfocati. Tremo dal
freddo. Mi pervade la debolezza. Come ho potuto lasciare che accadesse? Come ho potuto
provare piacere da un incubo? Ora sono un groviglio di carne disfatto e guasto; il mio
corpo e l'anima sono stati insudiciati da un seme corrotto, mescolato al sangue della
vergogna.
Ho ribrezzo di me stessa. Non voglio piangere perché so di non avere diritto all'ultima
consolazione del penitente. Mi sento sporca, impura e corrotta: mi sono lasciata prendere
da una bestia ignota ed un'altra bestia, celata prudentemente nei recessi del mio io, si
è risvegliata nella mia carne.
Mentre scivola via quest'ultimo barlume di vita, domando alla mia anima "Cosa sono
io?"... ma non ho più tempo per le risposte.