Come dietro un vetro smeriglio

La luce che filtra tra gli infissi della persiana abbassata evidenzia il pulviscolo che ristagna in bande orizzontali.
L’uomo è seduto sul letto sfatto. Ha le maniche della camicia rimboccate ai gomiti ed il nodo della cravatta all’altezza dello sterno.
Osserva attentamente la foto ingiallita formato cartolina. Risale ai tempi del college. Non sa cosa sia a rendere la ragazza così particolare. Il sorriso forse, oppure quella fossetta sul mento.
- Oh, Meg... Meg... - sussurra in tono di bonario rimprovero mentre scuote la testa impercettibilmente.
I lineamenti del suo viso si induriscono ed un rivolo di sudore gli scende giù da una tempia. Alza la testa verso il soffitto inspirando profondamente.
La mano si chiude a pugno sulla foto.
Serra così fortemente che le nocche scolorano.
Riapre lentamente il pugno ed abbassa lo sguardo sulla pallottola di carta. L’osserva con sbigottimento come fosse un uccellino che ha deliberatamente stritolato. Il suo è stato un gesto estatico, liberatorio.
La foto scivola dalla sua mano ed atterra sul pavimento tra i fiocchi di lanugine.
L’uomo si alza, si dirige verso il telefono e comincia a digitare un numero.

- Quel Patrick ti ha chiamata?
Meg annuisce.
- Ai tempi del college avevamo seguito dei corsi insieme – dice. Poi, con studiata noncuranza, aggiunge: - Lui, ad un certo punto, mi si era anche dichiarato.
- E tu?
- Ci pensai per un po’, poi gli dissi no.
- Oh Meg, tu devi essere pazza. Non riesco a credere alle mie orecchie.
Si precipita a prendere una rivista da uno scaffale e la sfoglia con dita nervose. Infine sbandiera una pagina davanti alla faccia di Meg.
- Guarda qua – dice. – Il tuo Patrick nominato dal New Economist uno dei Sette Vampiri della Finanza! E tu piccola sciocca dici no.
Meg sorride.
- Quando lessi l’articolo – dice – non potei che sentirmi sconcertata. Ma davvero tu credi che sia lui il ragazzo che conobbi? Sia chiaro, non voglio dire che non siano la stessa persona. Semplicemente ho riflettuto su quanto si possa mutare con il trascorrere degli anni. Dove è andato a finire quel ragazzo impacciato e sempre alla ricerca della sua anima gemella? Ricordo che l’unico scopo nella sua vita sembrava essere quello di formarsi una famiglia. Sognava un esercito di piccoli Patrick ai suoi piedi...

 

***

 

Mentre lasciano i soprabiti Meg nota lo sguardo estasiato della ragazza con la crestina.
La banconota accartocciata passa dalla mano dell’uomo a quella della ragazza con la naturalezza di un gioco di prestigio.
- Sei diventato una celebrità – dice Meg mentre si dirigono al tavolo. Patrick si stringe nelle spalle. Quel gesto, stranamente inadeguato addosso ad un uomo come lui, ha il potere di richiamare alla sua mente il Patrick di un tempo, quello che lei ebbe modo di conoscere.
Il locale, con i suoi zoccoli di legno alle pareti fino a metà altezza ed i tavoli divisi tra loro da paraventi di legno traforato, sembra essere riservato a pochi intimi.
L’orchestrina sulla pedana suona musica cool. La cantante miagola languidamente sopra le note del pianista jazz.
- Cosa ricordi del tempo del college? – chiede Meg.
La sua domanda è un azzardo e lei ne è consapevole.
Fino a quel momento la serata è trascorsa in modo noiosamente prevedibile. Hanno mangiato cibi molto elaborati accompagnati da vino italiano.
L’espressione dell’uomo si fa estremamente introspettiva.
- Ho ricordi confusi – dice con voce opaca. – Ripensare al college per me è come guardare attraverso un vetro smeriglio.
Meg annuisce comprensiva. Dentro di sè sente però la necessità di lasciare cadere il discorso.

 

***

 

- E’ stata una serata piacevole – dice Meg passandosi la punta del tovagliolo sulle labbra.
- Ti riaccompagno a casa – propone Patrick.
- Preferisco prendere un taxi.
- Un taxi? Sicura Meg?
- Sì Patrick. Non chiedermi il motivo ma mi sento frastornata. Ho bisogno di starmene un po’ sola. Prima però ti riaccompagno alla macchina.
- Come vuoi, Meg – dice lui senza insistere.
Escono ed imboccano il vicoletto laterale dove lui ha parcheggiato.

 

***

 

L’uomo è salito a bordo della sua decappottabile.
C’è solo il tempo per un ultimo congedo, poi le loro strade forse non si incroceranno più.
Meg, in piedi, sente la necessità di un estremo chiarimento tra loro.
- Patrick, provi risentimento verso di me? – dice.
E’ stata una domanda avventatamente scoperta.
L’uomo non risponde. Passa il polpastrello lungo gli inserti in radica sul bordo del volante. Sembra assorto in profonde riflessioni.
- Mi dispiace, sai? – prosegue lei. – Io... noi... forse eravamo ancora troppo giovani...
- A volte sento le voci di tutti i bambini che non abbiamo avuto – la interrompe Patrick. – Li sento urlare incessantemente dentro la mia testa.
Meg ha un sussulto. Ha percepito come una frattura, un piccolo shock temporale. E’ come se quelle poche parole avessero avuto il potere di incrinare la liscia superficie di tutte le sue certezze.
- Ma questo non ha senso... - prova a protestare.
- Ti diverte l’amore, Meg? – chiede lui.
- Non capisco...
- L’amore, Meg. Ti diverte? Sono le fantasie che sai di suscitare negli uomini ad eccitarti, vero?
Meg si passa la lingua sulle labbra divenute improvvisamente aride. Ci sono bagliori di lampi in lontananza. Una luminaria appesa ad un cavo tirato tra due edifici, oscilla mossa dal vento, allungando ed accorciando le ombre che si proiettano sul marciapiede deserto creando un effetto di fondale marino.
- E’ bello sentirsi puttana, Meg?
- Cosa ti prende Patrick? Se è uno scherzo, ti avviso che mi stai spaventando...
L’uomo sorride.
- Oh Meg, sembri tanto viva. Ed invece sei solo merce avariata.
Lì per lì lei non afferra il significato sinistro di quelle parole. Vede però la canna della pistola spuntare come per incanto nella mano dell’uomo.
- Ma cosa stai...
Non fa in tempo a terminare la frase. Un lampo accecante. Un improvviso fragore nel cervello. Per qualche istante ancora come grida e risate, poi più nulla.
L’uomo inspira profondamente e si sporge dall’abitacolo della macchina. Meg è riversa sull’asfalto. Dal foro al centro della fronte zampilla ancora il sangue che inzuppa l’elegante vestitino da sera.
La pioggia comincia a scrosciare, improvvisa e violenta.
Senza curarsi di chiudere la cappotta, Patrick alza la faccia verso il cielo e lancia un urlo rabbioso, primitivo, che riecheggia a lungo per le vie deserte. Poi, quando anche l’ultima eco è sfumata, gira la chiave nel quadro sul cruscotto e lascia andare la frizione.
La macchina scivola via silenziosamente.

Gino Spaziani