Fasci di luce nel buio mi trafiggono le pupille, e poi passi che si avvicinano di corsa, respiri affannosi che si calano su di me, mani che frugano, che tirano, strappano, poi rinunciano. Sono costretta in una posizione impossibile, immobile, un ginocchio ripiegato, le spalle incassate in una morsa glaciale. Non riesco a muovere un muscolo. Posso solo ascoltare il mio respiro, ed è una cosa che odio, mi mette angoscia, mi costringe a pensare alla debolezza della vita. Ancora fasci di luce su di me, intermittenti. Altri uomini attorno, e allimprovviso un calore intenso, fiamme alte e brucianti. Poi il silenzio. Aspetto e non capisco. Non ricordo. Silenzio irreale. Solo il tintinnio di una goccia dacqua che perpetua allinfinito ed una puzza di benzina fortissima, che mi punge le narici. Stringo forte la sua mano, appoggio la testa ai suoi capelli morbidi. Sul collo il profumo dolciastro del suo dopobarba mi inebria. Dove siamo?, chiedo sempre più forte. Riflesso nello specchietto vedo la borsetta di perline di Eva, le sneakers di Fausto abbandonate sul sedile posteriore. Ci siamo addormentati in un campo?, insisto, tento di sedermi diritta, non ce la faccio. Dallesterno le voci mi intimano di stare ferma, di resistere. Poi mi sollevano di peso e sento lerba bagnata sulle mie guance, il freddo che si insinua tra la maglietta, lodore nauseante del sangue che ho addosso. E che non è solo il mio. E mi dicono di stare tranquilla. Che è finita. Finita cosa?. La corsa della macchina lungo il fossato. Ricordo lo stridere delle ruote, la frenata, e la sensazione di stare dentro ad una sfera di cristallo che gira, gira... Ricordo. E capisco. Sono lunica viva qui sopra. Non sento più il mio respiro, sono le urla di pazzia a ricordarmi che esisto.