Non una
manovra brusca e improvvisa David accostò in uno spiazzo circondato dalle felci alla sua
sinistra. Eliza non si scompose, continuava a fissare le fronde scure dal finestrino. Lui
provò a toccarle la spalla ma lei si ritrasse senza dire nulla. Si limitò a guardarlo
con occhio avvelenato. Irritato, David colpì il clacson facendolo suonare. Da un ramo in
fronte a loro un uccello bruno si levò in volo.
-E' colpa tua se ci troviamo in questa situazione, saremmo a casa da un pezzo se non mi
avessi fatto innervosire. Forse ci siamo persi. Mi stai ascoltando? Eliza!
-Nessun mio collega mi ha mai scritto cose tipo "ciao tenebroso sono Cristina,
stasera lavori fino a tardi?", poverino il mio David che lavora troppo. E non ci
siamo persi.
-Sì, ci siamo persi.
-Io non mi sono persa.
-Comunque Cristina è una storia vecchia, adesso ci sei tu, non è molto tempo lo so ma ti
amo, tu sei speciale lo sento. La prima che amo davvero.
-Quel messaggio è di sei giorni fa. Quando non siamo potuti andare al cinema perché
avevi un cliente grosso la sera. Un cliente importante.
Ironia tagliente e viperina nel timbro della sua voce. Sorrise scoprendo denti piccoli e
bianchi come l'avorio. La sua era una tecnica affinata in secoli di femminile esperienza.
Sapeva di renderlo furioso negandogli i suoi occhi chiari e continuando a puntare il
verde.
-Eliza ti prego! Te lo posso giurare, fra me e Cristina non è più successo niente da
quando ti ho conosciuta! Niente! Eliza, amore, lo giuro sulla mia stessa vita!
Sfondò il vetro anteriore, maciullando il cranio di David. Un tentacolo. Ne seguirono
molti altri, viscidi e neri, lavoravano la carcassa come formiche operose. Estraevano
dall'auto e sfamavano nell'ombra dei rovi. Eliza smontò.
E sorrise.