La creatura
in agguato osservava la sua preda. Tutti i suoi sensi erano tesi e allerta, pronti
allo scatto finale sulla vittima inerme. Il cacciatore già pregustava il sapore caldo del
suo pasto, la fame che si placava morso dopo morso, finalmente dopo una così lunga
attesa.
La creatura sapeva di essere stata molto fortunata. Aveva percorso distanze smisurate
senza trovare nulla che potesse saziare il suo appetito, soltanto il vuoto intorno a sé.
Poi quasi per caso era capitata in mezzo a questo bottino inaspettato. Un branco di nove
prede, placide e ignare, che si muovevano pigramente le une tra le altre, godendosi il
calore del sole.
La creatura sapeva che un simile pascolo le sarebbe bastato a lungo.
Non per sempre,
ovviamente, ma comunque a sufficienza da crescere ancora, soddisfacendo la sua fame
infinita, a sufficienza da darle la forza necessaria per intraprendere unaltra
migrazione in cerca di nuove vittime.
Ecco, il momento era vicino. I muscoli frementi sul liscio corpo nero, la creatura si
preparò allo scatto che lavrebbe portata addosso al suo primo pasto designato.
Ancora un attimo, mentre la sua rossa vittima si muoveva senza cambiare velocità dritta
verso il cacciatore... e poi, in un baluginio di fauci, la creatura fu sulla preda, nera
come la morte, mascelle scure serrate su membra rosse. In breve la vittima fu fagocitata,
intera.
A 60 milioni di chilometri di distanza, nel Keck Observatory situato
alle Hawaii, un astronomo si strofinò gli occhi, fissò lo schermo collegato al
radiotelescopio, poi si tolse gli occhiali e li pulì con attenzione. Infine guardò di
nuovo lo schermo.
Devessere uno scherzo. Pensò.
Marte era appena scomparso.