Filomena si
svegliò, aveva la sensazione di aver fatto tardi. Guardò lorologio, notò che era
fermo. In lontananza le arrivò il tocco della campana.
Lo sapevo si disse, ho fatto tardi.
Era un mese che andava tutte le mattine alla prima messa. Don Enzo, il parroco nuovo,
diceva che questo era un buon modo per espiare i peccati.
Lei ripensò al suo. Quanti anni erano passati, ritornò indietro con la memoria a quella
sera. Era giovane, innamorata, lui cosi bello, il giorno dopo sarebbe partito militare,
cera la guerra, ricordò con nostalgia a quella sua unica notte damore.
Si affrettò, piccina e curva sotto il peso degli anni, verso la chiesa. Era ancora buio,
faceva freddo, si strinse lo scialletto intorno al corpo rinsecchito.
Arrivata sul sagrato notò la porta della chiesa socchiusa, si meravigliò ma spinse il
battente, entrò. La messa era già cominciata, aveva fatto tardi.
Si sedette allultimo banco, tirò fuori il libro delle preghiere ed intanto si
guardava intorno. Stranamente non vedeva nessun viso conosciuto, nessuna delle sue
compagne di preghiera. Solo figure sfuggenti, avvolte in manti scuri, il viso coperto
quasi a volersi nascondere.
Forse sono membri di una confraternita rifletté.
Don Enzo dallaltare alzò la testa guardandola severamente, dritta negli occhi, la
redarguì:
Filomena, sei in anticipo, vattene questa non è messa per te una vaga
inquietudine la prese.
Il suo vicino di banco aveva girato il viso verso di lei. Il ghigno di un teschio, due
orbite vuote la fissarono. Terrorizzata si alzò cercando di guadagnare luscita, ma
altri avevano sbarrato la porta. Lei si guardò intorno, era un incubo. In quel momento
lorologio della chiesa risuonò cupo la mezzanotte.
Filomena cadde a terra, le mani strette al seno, fece appena in tempo a ricordare che
quella era... la notte dei morti.