La prima
volta tentai di impiccarmi col cordone ombelicale. Un'infermiera mi salvò la vita
recidendolo e mia madre pianse di gioia non appena mi sentì urlare a pieni polmoni.
La seconda volta tentai di soffocarmi con un potente rigurgito di latte. La stessa
infermiera mi salvò di nuovo. Mi avevano tolto da quel calore confortevole, da quella
penombra rassicurante dove i rumori giungevano ovattati, odiavo tutti. I miei genitori
furono sempre così solleciti nel proteggermi che mi restò sempre piú difficile attuare
il proposito di uccidermi.
Mi affidarono ad una persona che non mi mollava un istante. Stava letteralmente incollata
a me. Odiavo il suo contatto, il suo profumo mi nauseava. Quattro anni: mi regalarono una
biciclettina. Immediatamente pedalai fina alla discesa davanti casa e mi ci buttai a
capofitto.
La violenza del colpo contro il muro che delimitava il marciapiede mi fece
rimbalzare come un fantoccio. La bicicletta era distrutta io anche, ma non ci fu verso.
Dopo un mese di cure ero ancora in vita.
Sei anni: ingollai un flacone di sonniferi. Lavanda gastrica, cure adeguate ed ero vivo.
Otto anni: gita a Pisa. Scorrazzai un poco nella piazza, poi convinsi i miei a portarmi su
quella strana torre. Arrivai in cima in un baleno. Abbracciai la colonna che strapiombava
e mi misi col corpo fuori. Senza guardare giú mollai la presa e cominciai a cadere. Vidi
la cima della torre allontanarsi. Non percepii l'impatto. La cima era sempre piú
lontana... sembrava di cadere in un pozzo senza fine, la luce si stava allontanando mentre
una calda penombra mi stava avvolgendo.
Questa volta nessuno sarebbe riuscito a modificare quello stato di beatitudine
riconquistato, finalmente. Mai piú vivrò in quella luce accecante e quella confusione di
fretta esaperata del mondo.
Sono felice e cado... nell'emozionante orgasmo del nulla... cado...