La lama
trapassa il corpo da parte a parte con un leggero schiocco, entra così a fondo che faccio
fatica a tirarla fuori.
Dopo il primo colpo ne infliggo un altro e ancora e ancora... infierisco su quella schiena
fino a ridurla ad un ammasso di carne grondante sangue nero. Finalmente si piega in avanti
e crolla a terra in una posa scomposta.
Riprendo fiato prima di trascinare il cadavere fino al mio rifugio dove poterlo smembrare,
abbrustolire e mangiare con calma, rosicchiando dalle ossa quanta più carne possibile.
Quando li uccido rimangono nel più totale silenzio, non oppongono resistenza né provano
a scappare, mi piace pensare che capiscano perché lo faccio.
Ho affilato il coltello da una scheggia d'acciaio del relitto, prima usavo un bastone ma
hanno la testa dura e ci impiegavano un sacco di tempo a morire. Prendendoli da dietro poi
non devo sopportare le loro espressioni stupite e stupide mentre li colpisco.
Mangio, guardo l'orizzonte e sospiro; questa terra non è la Terra dove sono nato.
Siamo venuti in pace, messaggeri di un mondo lontano e di una civiltà progredita, ma
quando la missione è stata forzatamente interrotta per colpa di un piccolissimo guasto
che ha fatto schiantare al suolo l'astronave, ho dovuto riconsiderare alcuni dei miei
principi morali di uomo e di scienziato.
Ho perso i compagni, le attrezzature e soprattutto le scorte alimentari; io ho provato a
nutrirmi della vegetazione autoctona, degli animali inferiori, ma l'unico cibo
commestibile si è rivelato essere proprio la specie senziente che eravamo venuti ad
incontrare e conoscere.
Sono ad uno stadio ancora primitivo della loro evoluzione, paragonabile all'Età della
Pietra; ho preparato qualche effetto luminoso e sonoro, tuoni e fulmini, e mi sono
proclamato loro Dio... e anche gli Dei hanno fame.